Pregi & difetti della nuova ciclabile da Monte Ciocci a San Pietro
A criticare si fa sempre presto ed è anche facile: vorrei che questo mio commento fosse più uno stimolo e una riflessione, che il solito cahier de doléances.
Novecento metri, forse 1.000 (belli, tortuosi e articolati: lo vogliamo negare?) per aprire un tratto di connessione della pista che dal San Filippo Neri (Monte Mario), passando per Monte Ciocci, conduce fino alle Mura Vaticane e/o alla Stazione San Pietro.
Sette milioni di euro di spesa per recuperare un ponte e una galleria abbandonati e disegnare questa bretella, anche pedonale, che diviene il fiore all’occhiello di questa amministrazione in fatto di mobilità dolce.
E ci sta pure! Purtroppo però siamo sempre nel solco di una mobilità pensata per i weekend e non adatta a favorire un uso della bici quotidiano/lavorativo. Meritevole opera giubilare, ma che non si gemella con una conservazione e un impegno di manutenzione delle piste ciclabili disegnate e protette realizzate ai tempi del Covid dalla precedente amministrazione. Spesso abbandonate, sbiadite, con i cordoli saltati e oggetto di zero manutenzioni.
Ci si concentra su un opera fashion e di immagine sicuramente utile, non pensando però alle connessioni e al mantenimento dell’esistente per creare una mobilità radiante che effettivamente spinga un numero maggiore di romani a utilizzare la bici anche nei giorni feriali. Siamo sempre un 4-5%, secondo le statistiche, un manipolo di visionari che vorrebbero crescere ed influenzare le scelte degli amministratori sempre timidi a progettare delle vere reti ciclabili.
Vogliamo fare due esempi tanto per chiarirci?
La pista che arriva a San Pietro prosegue sotto il Gianicolo nella galleria Pasa e termina dopo aver attraversato il Tevere. Poi? Cavatevela da soli. Se invece si scende da Monte Ciocci su Via Anastasio II, zero ciclabili per connettersi a Piazzale degli Eroi, dove inizia una ciclabile che da una parte va al Foro Italico o, proseguendo, raggiunge la grande ciclabile del Tevere o perfino consente di salire a Belle Arti e ai Parioli connettendosi a Villa Ada o Villa Borghese.
Bene, questi 700 metri significativamente assenti su Via Cipro, assolutamente necessari, sarebbero un “ricamo essenziale” per dialogare con la città e con i pedali, dando fiducia alla ciclabilità quotidiana e urbana.
Un’altra riflessione riguarda la frequentazione di queste ciclopedonali (e ribadisco: ciclopedonali) da un numero pressoché pari di cittadini fra pedoni e ciclisti.
Come si può notare, percorrendola, ci sono parecchie curve anche a gomito e non ben aperte alla visibilità che piacciono tanto ai ciclisti “agguerriti” quelli del “vorrei andare in montagna a pedalare ma a pranzo c’ho le fettuccine” che prediligono la dimensione urbana. Ignorano i pedoni, si sentono dei novelli Pogačar; disprezzano il campanello che fa tanto anziano, e sfidano le curvette creando sempre dei contrasti accesi con pedoni tranquilli. Mi sono trovato lì in mezzo a fare da paciere già due volte. Speriamo bene, non vorrei essere un cattivo presàgo di qualche problema che va oltre il battibecco. Abbiamo lungo il percorso anche due attraversamenti stradali dove bisogna prestare la massima attenzione!
A ciò aggiungiamo che non è stato tenuto in minima considerazione il progetto del Comitato di Monte Ciocci che, tentando di dialogare con l’Amministrazione, aveva ipotizzato un approccio dolce al ponte e quindi a Monte Ciocci, su un percorso alternativo laterale, per evitare i secchi tornanti che portano al magnifico belvedere. Invece, 2 metri di larghezza di ciclabile su 5 tornati a doppio senso che fanno tanto Stelvio per gli appassionati del genere. Meno male che qui i pedoni hanno della scalette alternative!
Luci e ombre, insomma.
Un caro saluto da uno che fa 200 km a settimana a Roma in bici e 100 a piedi per lavoro e per piacere. E non si schiera a giorni alterni.