Dal sarcasmo al movimento. Dalle barche fermate al “blocchiamo tutto”: quando il gesto simbolico risveglia la coscienza collettiva e diventa azione politica.
Chi vive all’estero – ma anche chi qui ci vive – forse l’ha guardata con stupore: un’Italia che torna in piazza, che blocca porti e stazioni, che si riconosce in un gesto collettivo dopo anni di disillusione. Un’Italia che, per una volta, non reagisce solo online ma nello spazio fisico, con corpi e voci. Un milione, forse due, in piazza.
Eppure è successo davvero.
È passato appena un mese da quando, il 2 settembre scorso, avevo scritto che la Flotilla era “una missione che non serve, e proprio per questo serve”.
Non perché potesse rompere il blocco israeliano, ma perché il suo potere era nel gesto, nella sfida all’impotenza, nella capacità di dire che restare fermi a guardare non è l’unico orizzonte possibile.
Poi è accaduto quello che succede quando un gesto simbolico diventa reale: all’inizio qualcuno, poi molti, infine milioni, lo prendono sul serio.
L’indignazione per gli attacchi dei droni, la violazione palese del diritto internazionale e l’arresto dei volontari nelle acque di Gaza hanno smosso qualcosa che sembrava intorpidito. L’Italia che non si rassegna – ma che finora non aveva trovato l’occasione, o il coraggio, di esprimersi fino in fondo – si è rimessa in moto. Come non si vedeva da tempo.
La missione non è arrivata a Gaza, ma ha acceso la scintilla che ha riattivato il Paese.
Dal sarcasmo alla scintilla
“Buffonata.” “Passeggiata nautica.” Persino: “terroristi.” La Flotilla è stata accolta da una parte con speranza, dall’altra da un coro di sarcasmi e insulti, bollata come un esercizio velleitario. Ma l’ironia, quando è su temi maledettamente seri, come il massacro di Gaza, finisce per fare da carburante. L’ostilità e gli arresti hanno avuto l’effetto opposto di quello desiderato: invece di spegnere la fiamma, hanno acceso la miccia.
Sminuire è un modo di addomesticare. Ma qui l’effetto è stato un boomerang: il conflitto di sguardi si è fatto nitido, e l’empatia ha preso il posto del sarcasmo.
Perché se un gesto non disturba, non muove niente.
La Cgil parla di oltre due milioni tra sciopero e piazze; altre fonti dicono centinaia di migliaia di persone in più di cento città. Una partecipazione enorme, diffusa, intergenerazionale. Le cifre cambiano, ma la sostanza no: i porti si sono fermati, le stazioni bloccate, le strade invase da cortei che non si vedevano da molti anni.
Il primo scatto
Il primo scatto non è venuto dal mare, ma dallo stop. Non dalla partenza della Flotilla, ma dagli abbordaggi, dai droni, dagli arresti, dalle minacce di detenzione. E da un ministro israeliano, Itamar Ben-Gvir, che ha pensato bene di chiamare “terroristi” dei volontari.
È lì che la storia ha cambiato direzione: un linguaggio di piombo per zittire un gesto pacifico. E invece quel linguaggio ha acceso la miccia. “Se li toccano, blocchiamo tutto.” Lo slogan più spontaneo — e più vero — degli ultimi anni.
Poi è arrivato il vento contrario, quello politico. Il governo ha liquidato la Flotilla come “iniziativa politicizzata”, “weekend lungo”. Eppure ogni parola spesa per ridicolizzare è finita, come spesso succede, a fare da carburante.
È una legge non scritta: più tenti di delegittimare, più la piazza si riconosce.
Non è orgoglio: è fisica sociale. La spinta nasce dove volevi mettere il freno.
C’è anche la semplicità del segno. “Gaza” è diventata un contenitore immediato, capace di tenere insieme troppe cose rimaste scollegate: il diritto umanitario, la responsabilità europea, i costi morali del nostro benessere. Una parola sola, ma abbastanza grande da farci stare dentro tutto.
E poi la spina dorsale, quella organizzativa. Lo sciopero generale ha trasformato l’indignazione virtuale in corpi veri, nello spazio pubblico. Nei porti, soprattutto, dove il passaggio dal mare alla terra è sembrato naturale: dalle barche ai blocchi, come se la storia non avesse bisogno di autorizzazioni, ma solo di mani che si muovono insieme.
Infine, il respiro più ampio, quello internazionale. La Global Sumud Flotilla è un coro di imbarcazioni, più di quaranta Paesi, medici, attivisti, artisti. Anche quando una nave viene fermata, la voce passa a un’altra, da un porto all’altro, come una staffetta. E così l’Italia si è scoperta parte di qualcosa di più grande. Non ha guidato il movimento. Si è mossa con lui.
L’eredità della Flotilla
Resta una grammatica nuova, ancora tutta da imparare. Non “arrivare a Gaza”, ma interrompere l’inerzia. La prossima volta, forse, il passaggio dall’indignazione all’azione sarà più corto. E meno timido.
Resta anche una coalizione che non si vedeva da anni: lavoratori portuali, studenti, famiglie, reti civiche. Un’alleanza improvvisata, ma sorprendentemente solida. Come se i pezzi di un Paese, per un attimo, si fossero riconosciuti al volo.
E poi resta la politica, con il suo eterno ritardo. La maggioranza ha scelto la via comoda della delegittimazione, l’opposizione si è mossa a corrente alternata, guardando e aspettando. La domanda è se questa energia riuscirà a restare viva,
o se finirà — come quasi sempre — nel grande archivio delle occasioni perdute.
Forse sì. Ma intanto, qualcosa si è mosso comunque — fuori dai palazzi, tra le persone. Ed è lì che si misura il senso di tutto.
“Se solo li toccano, blocchiamo tutto”
“Se solo li toccano, blocchiamo tutto.” Uno slogan brillante, promessa operativa. E così è stato.
Ma non è solo protesta. Come ha scritto la giornalista Ida Dominijanni, qui sta succedendo qualcosa di stupefacente perfino per chi ha lanciato le mobilitazioni: “Gaza” è diventato il significante che tiene insieme indignazione, urgenze e desideri troppo a lungo compressi. E insieme riaffiora la memoria inconscia di un Paese che aveva rimosso il suo passato di insubordinazione.
È lì che torna il senso di tutto: non un revival, ma una crepa nell’inerzia. Un gesto che, pur “inutile”, ha rimesso in moto un meccanismo collettivo — fragile, imperfetto, ma vivo.
La Flotilla è stata come una riscoperta di coscienza condivisa. E chi non capisce, chi distorce, chi mente, forse non sarà travolto dalla storia, ma da un corteo che gli passa sotto casa. Senza averlo messo in conto.
