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Quello sulla sicurezza è l’ultimo decreto in ordine di tempo approvato dal parlamento dopo un doppio voto di fiducia.
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Il governo Meloni ha emanato 98 decreti legge dal suo insediamento. Ne produce mediamente allo stesso ritmo degli esecutivi che hanno affrontato la pandemia.
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Il 37% delle leggi approvate sono conversioni di decreti. È il dato più alto dal 1996 a oggi.
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I temi più rilevanti sono quasi sempre affrontati per decreto. Le leggi ordinarie trattano principalmente temi tecnici o comunque non particolarmente politicizzati.
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Il governo Meloni pone in media 2,9 questioni di fiducia al mese.
[Questo post è stato originariamente pubblicato su Openpolis]
Nelle ultime settimane il dibattito pubblico si è concentrato, fra le altre cose, sulle questioni legate al referendum sul lavoro e la cittadinanza. Un altro tema molto dibattuto tuttavia è quello legato all’approvazione del cosiddetto decreto sicurezza. Un provvedimento contenente alcune misure controverse (che peraltro aveva iniziato il suo percorso come disegno di legge ordinario per poi essere trasformato in decreto) su cui il governo ha posto la questione di fiducia in entrambi i rami del parlamento, sterilizzando così la discussione in aula.
La pratica di adottare decreti legge (Dl) non solo per affrontare situazioni emergenziali ma anche per trattare tematiche potenzialmente divisive e di porre poi la fiducia non è certo nuova. Tuttavia, con l’attuale esecutivo tale prassi sta raggiungendo numeri ragguardevoli.
Tale dinamica ridimensiona in maniera significativa il ruolo del parlamento. Fondamentalmente infatti i provvedimenti più rilevanti sono adottati in larga parte su iniziativa dell’esecutivo per mezzo dei decreti. Quest’ultimo poi chiama a raccolta la maggioranza che lo sostiene affinché voti compatta in aula.
Altro elemento spesso sottovalutato riguarda il fatto che i decreti legge devono essere convertiti dalle camere entro 60 giorni. Quando si accumula un numero eccessivo di Dl da convertire diventa fisiologico il ricorso alla fiducia per evitare che questi decadano. Questo però non solo limita la capacità di intervento del parlamento nel processo legislativo ma anche del tempo e dello spazio necessari al dibattito pubblico. In questo modo diventa difficile per la società comprendere, valutare e discutere davvero le scelte politiche che la riguardano.
Naturalmente bisogna tenere presente che i vari governi hanno avuto durate diverse. Nello specifico l’attuale esecutivo è il terzo più longevo, al momento, dopo i governi Berlusconi IV e Renzi. È quindi molto più interessante andare a valutare la media di Dl pubblicati al mese da ogni governo.
Da questo punto di vista possiamo osservare che i governi Draghi e Conte II riportano il valore più alto con una media di 3,07 decreti legge al mese. L’esecutivo Meloni (3,05 Dl al mese) si colloca subito dopo con un valore sostanzialmente identico a quello dei due governi che hanno dovuto fronteggiare le fasi più acute della pandemia. Nonostante siano passati più di 3 anni dalla fine dello stato di emergenza Covid quindi la frequenza nel ricorso ai decreti è sempre la stessa.

Leggi ordinarie e decreti
Un ricorso sempre più frequente ai decreti legge emerge abbastanza chiaramente facendo un confronto di lungo periodo. Da questo punto di vista sono molto interessanti le statistiche sull’attività legislativa messe a disposizione dal senato. Queste infatti forniscono dati aggregati per legislatura e ci consentono di tornare indietro fino al 1996.
In particolare, dall’ottobre 2022 a oggi, possiamo osservare che le leggi entrate in vigore in totale risultano essere 211. Tra queste, 85 sono di natura ordinaria, 78 sono conversioni decreti legge, 40 ratifiche di trattati internazionali, 7 legate al bilancio dello stato e 1 costituzionale. La quota di conversioni è stata quindi pari al 37% circa. Si tratta del valore più alto nel periodo compreso tra il 1996 e il 2025. Il secondo dato più elevato è quello della XVIII legislatura con il 33,3% (105 conversioni a fronte di 315 leggi totali) mentre il terzo è quello della XIV legislatura con il 29,2% (200 conversioni a fronte di 686 leggi totali).
Chiaramente, considerando che il confronto è sull’intera legislatura non si tratta tanto di attribuire responsabilità politiche quanto di rimarcare una tendenza. È abbastanza evidente infatti che negli ultimi anni c’è stata una forte accelerazione. E, come già detto, se i valori della XVIII legislatura sono stati evidentemente influenzati dal Covid, dall’altro la pandemia ha avuto un impatto tutto sommato contenuto per quanto riguarda la legislatura attualmente in corso.
D’altra parte si potrebbe anche osservare che la quota di leggi ordinarie approvate nel corso dell’attuale legislatura è superiore rispetto a quelle di conversione. Nel periodo considerato non è sempre stato così. Nella XIV, XV e XVIII legislatura infatti la percentuale di conversioni è stata superiore a quella delle leggi ordinarie. Tuttavia è opportuno rimarcare come i temi più rilevanti o anche politicamente controversi siano ormai regolarmente affrontati tramite decreto. Mentre sono lasciati alle misure di natura ordinaria ambiti di intervento meno sensibili dal punto di vista politico.
Per fare qualche esempio, dall’inizio dell’anno sono stati già convertiti 15 decreti. Con questi atti il governo è intervenuto su diversi aspetti particolarmente rilevanti. Tra questi possiamo citare almeno due Dl che si sono occupati di Pnrr, oltre che di altre materie. Si tratta dei decreti 1/2025 e 45/2025. Troviamo poi un intervento volto a contrastare il caro bollette, uno riguardante il caso dei centri per migranti costruiti in Albania, uno riguardante la revisione delle norme circa l’ottenimento della cittadinanza italiana, fino ad arrivare al tanto contestato decreto sicurezza.
Le leggi di altra natura approvate nello stesso periodo sono state quasi il doppio (29) ma raramente si sono occupate di temi politicamente consistenti. Da questo punto di vista possiamo citare ad esempio la legge quadro in materia di ricostruzioni post-calamità, la modifica delle norme in tema di intercettazioni, la cosiddetta legge Morandi che prevede benefici in favore delle vittime di crolli di infrastrutture (testo che peraltro il presidente della repubblica ha invitato a rivedere) e le disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese.
Più spesso le leggi ordinarie approvate hanno riguardato temi non particolarmente incisivi. Oltre a 5 ratifiche di trattati internazionali, altri temi oggetto di intervento normativo sono stati, tra gli altri, l’istituzione del Parco ambientale per lo sviluppo sostenibile della laguna di Orbetello, la promozione della pratica sportiva nelle scuole e istituzione dei nuovi giochi della gioventù, l’abrogazione di norme pre-repubblicane, l’introduzione di norme in materia di competizioni sportive su strada e l’adozione di disposizioni per la promozione delle manifestazioni in abiti storici.
Di diverso tenore invece le due leggi delega approvate nel periodo considerato che però di fatto restituiscono al governo il potere di normare attraverso decreto legislativo.
I temi trattati in questo caso sono il superamento del numero chiuso per quanto riguarda i corsi di laurea in discipline sanitarie e la riforma organica dei mercati dei capitali.

Le questioni di fiducia
Legato al tema dell’uso eccessivo dei decreti legge vi è poi quello riguardante il ricorso altrettanto frequente ai voti di fiducia. Tale prassi, anche in questo caso non certo una novità, viene spesso utilizzata per velocizzare l’iter di conversione dei decreti ed evitare che questi decadano. Questo però ridimensiona di molto il ruolo del parlamento.
Anche su questo fronte, considerando esclusivamente le questioni di fiducia poste ai fini dell’approvazione dei disegni di legge nelle ultime 4 legislature, possiamo osservare come il governo Meloni, in termini assoluti, si trovi al primo posto con 91 voti dall’ottobre 2022 al giugno 2025. Al secondo posto troviamo il governo Renzi con 68, seguito dall’esecutivo Draghi con 55.
Ovviamente bisogna tenere in considerazione che i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno tutti avuto diversa durata. Di conseguenza, per fare un confronto omogeneo, è più indicativo affidarsi al numero medio di questioni di fiducia poste al mese. Da questo punto di vista al primo posto troviamo l’esecutivo guidato da Mario Monti (2,89). Governo che si trovò ad affrontare un altro passaggio molto difficile per la storia del nostro paese: quello innescato dalla crisi economica del 2008. Il governo Meloni si attesta al secondo posto, con un dato medio di 2,85 voti di fiducia al mese. Seguono i governi Draghi (2,68) e Conte II (2,22).
Come detto, il caso più eclatante del ridimensionamento delle camere è quello in cui al disegno di legge di conversione dei decreti legge viene apposta la questione di fiducia in entrambi i rami del parlamento. Da questo punto di vista possiamo osservare che con l’attuale esecutivo ciò è avvenuto in 38 casi. Si tratta del dato più alto in assoluto. Seguono gli esecutivi Renzi (22) e Draghi (20).