18 Luglio 2025

La barca che cantava, a Ostia

Un podcast di Rai Play Sound rievoca la storia dei barconi del litorale romano, crociere popolari tra musica, tuffi e sirene senza inganni: memorie d’infanzia tra il Lido e “il mare più blu”.

 

C’è un inganno in cui ogni tanto cadono, gli esseri umani, anche coloro che sono più avvertiti: quello di credere che una certa storia inizi o finisca con loro. Ecco, neanch’io vi sono sfuggito. Mi è accaduto con la storia dei barconi che per anni hanno portato noi bagnanti – adulti, ragazzi, bambini – “dove il mare è più blu”, al largo di Ostia, dove sono cresciuto. 

Crociere da mezz’ora, un’ora forse, per poche lire. Non so se siete cresciuti su un’altra spiaggia e avete però ricordi simili, o se questo dei barconi fosse invece un business tutto locale, un’invenzione di cui gloriarsi per la sua originalità. Io ho sempre creduto che quelle barche di ex pescatori (o pescatori che arrotondavano così le entrate, probabilmente magre) che ci prendevano sul bagnasciuga, richiamando la nostra attenzione e quella dei nostri genitori con frasi divertenti e musica sparata dalle casse acustiche – come sirene, ma senza intenti sanguinari: volevano solo i nostri soldini – avessero iniziato a solcare le acque del litorale romano negli anni Sessanta, per poi cessare definitivamente il loro servizio all’inizio degli anni Ottanta. Cioè esattamente quando ero diventato adolescente e non mi curavo più di loro. Anzi, a dire il vero, quando avevo iniziato a guardarli dall’alto in basso, in modo altezzoso, come se fossero solo un passatempo per coatti

Invece no. La stagione di quei barconi è continuata almeno fino al 2005, forse al 2010. Lo ho scoperto ascoltando un curioso podcast intitolato “La barca che canta”. “Un viaggio sonoro nella memoria estiva di Ostia”, recita la presentazione sul sito di Rai Play Sound. “Attraverso il filo dei suoni, delle testimonianze e delle canzoni, un gruppo di abitanti di Ostia ha ripercorso la storia del Jolly, la barca che per oltre mezzo secolo ogni estate ha toccato le spiagge del mare di Roma e portato i bagnanti a largo per fare “un tuffo dove il mare è più blu”.

Foto dal sito web “La mia Ostia”

Io il Jolly non lo ricordo, come non ricordo il Tre Sorelle, ma l’Invincibile e il Settebello mi pare di sì. Ce n’erano poi altri, non molti, che si contendevano i clienti: tutti simili, dalla decina di metri in su. Salivi a bordo dalla scaletta sulla prua, pagavi (un prezzo che in qualche anno è lievitato, per i più piccoli, dalle 500 lire alle 5.000 lire e poi ai 5 euro, spiega nel podcast l’attuale proprietario del Jolly) e partivi. Una volta al largo (a poche centinaia di metri dalla spiaggia, direi a memoria; ma forse sbaglio) potevi tuffarti in acqua. 

Molti lo facevano, io no: ho sempre avuto paura, e anche oggi, se mi tuffo, non è senza qualche disagio, e spesso più per cedere alle richieste di familiari e amici. Se non ti tuffavi, guardavi gli altri, respiravi l’inconfondibile aroma di sale misto a nafta, e soprattutto scrutavi il mare, talvolta alla ricerca del fatidico pescecane (credo che a quell’epoca, complici il film di Spielberg e qualche verdesca che popolava e forse ancora popola il mare di Roma, si gridasse allo squalo una volta alla settimana almeno, e si usciva dall’acqua ridendo, ma con un fondo di apprensione).

Su quei barconi avrò fatto due o tre viaggi, non di più. Però, il loro richiamo era irresistibile. Arrivavano davvero cantando, richiamavano sempre l’attenzione del popolo delle spiagge, là dove approdavano, grazie alle performance – talvolta eccessive e sguaiate, certe volte coi toni ispirati dell’avanspettacolo, altre volte prese di peso dalla chiacchiera tipica dei conduttori radiofonici, delle radio libere, allora ancora giovani – dei nostromi dei barconi. 

Ecco, il mare di Ostia produceva questo, in estate: un tot di mini-crociere in barcone, un tot di allarmi per lo squalo, un tot di nuovi ospiti per il CTO, il centro traumatologico, dove finivano, magari restando a volte in sedia a rotelle, quelli che si erano esibiti in sfortunati tuffi.

Il podcast – anzi, l’audiodocumentario – nato come performance andata in scena nel 2024 al Teatro del Lido, è frutto del lavoro collettivo di Magazzino dei Semi e Zona Incerta, all’interno del laboratorio SONODRAMMA (montaggio di Alessandro Floridia e Ivan Gasbarrini, adattamento radiofonico e finalizzazione di Irene Dani). Un intervento di memoria locale, e anche un’operazione nostalgia (nostalgia della gioventù, soprattutto), curiosamente giunta nei giorni scorsi fino alle frequenze nazionali di Radio Tre e di “Tre Soldi”, la trasmissione che nel fine settimana propone, a ora di pranzo, una serie di documentari sonori dai temi curiosi.

https://www.raiplaysound.it/playlist/labarcachecanta

 

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