Non serve aspettare che la città si svuoti per le vacanze estive per avvistare animali selvatici in giro – o in volo – tra i palazzi e le strade di Roma. Basta osservare con un po’ di attenzione anche solo un’aiuola che resiste tra le colate d’asfalto, per accorgersi che la natura pulsa ancora, silenziosa e ostinata, ai margini del nostro presunto dominio.
Durante la pandemia da Covid-19, si diceva spesso che il “selvatico si stava riprendendo i propri spazi” grazie all’assenza degli esseri umani. Ma la verità è che a Roma la fauna selvatica c’è sempre stata. E non è forse una lupa, emblema del selvaggio e del materno insieme, il simbolo della nostra città? Siamo noi, semmai, troppo distratti. Troppo presi dalle nostre frenesie quotidiane per dare un’occhiata più attenta o rallentare un istante. Ed è un vero peccato. Perché la natura, anche in città, continua a dare spettacolo.
Le gang dei pappagalli (parrocchetto monaco e parrocchetto dal collare) si lanciano in voli chiassosi tra i platani, dove costruiscono nidi che sembrano condomini di edilizia popolare. Le volpi compaiono all’alba o al tramonto nei parchi cittadini, dalla Caffarella al Parco degli Acquedotti, insieme alle loro prede naturali: conigli selvatici, arvicole, piccoli roditori. A Villa Borghese e Villa Ada capita spesso di vedere scoiattoli che si aggirano tra le panchine, noncuranti dei bipedi a passeggio. E un tasso è stato fotografato addirittura tra le rovine dei Fori Imperiali.
Eppure, nonostante l’abituazione alla nostra presenza, questi animali non sono confidenti. Non si lasciano avvicinare oltre una soglia di sicurezza. Non interagiscono. Restano diffidenti, elusivi. Vale soprattutto per i mammiferi, che mantengono un margine più ampio di distanza. Più libero, invece, è il comportamento degli uccelli, che si muovono in cielo senza ostacoli e sembrano adattarsi con sorprendente naturalezza alla vita cittadina.
I gabbiani, per esempio, spesso consumano le loro prede – piccioni, topi e spazzatura – comodamente appollaiati sul tettuccio di un’auto. Una scena che ormai circola regolarmente sui canali social dedicati al degrado urbano. Ma il problema non è il gabbiano tra le vie della città. Il problema è a monte: è la città, sporca, ad aver generato un mercato perfetto per queste colonie di opportunisti alati, attratti soprattutto dai nostri rifiuti.
Lo stesso vale per i cinghiali che, partiti dalla Cassia, si sono spinti fino a zone sempre più interne e urbanizzate: non sono loro a “invadere” la città, siamo noi a renderla irresistibilmente accessibile, a causa della cattiva gestione della catena di smaltimento dei rifiuti urbani – tanto per cominciare.
Ma questi sono gli aspetti patologici della convivenza. O meglio: della nostra incapacità di gestire una coabitazione sostenibile.
Esistono però anche storie diverse, sorprendenti, capaci di restituire uno sguardo più poetico – e forse più giusto – sulla presenza degli animali selvatici in città. Una di queste è la storia dei falchi pellegrini, che hanno scelto Roma come casa, tra le rovine dell’Appia Antica e i palazzi del centro. Ed è proprio a loro che è dedicato questo racconto fotografico.
Negli ultimi anni diverse coppie si sono insediate stabilmente in varie zone della città. Così l’Altare della Patria, il Gazometro, la sede della Regione Lazio e i resti della città antica sono diventati punti strategici per la vita di questi affascinanti rapaci. Qui allevano i loro pulli, cacciano al volo tra le correnti d’aria, e ci ricordano che Roma è ancora una città viva, verticale, selvaggia. Bisogna solo avere il coraggio di alzare lo sguardo.
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