L’Europa accelera sul riarmo per contenere Mosca, ma Washington guarda al Pacifico. La NATO si rafforza, ma si scopre più sola.
[Questo post è stato pubblicato originariamente su Strisciarossa]
Vediamo se qualcuno è in grado di venire a capo di questo paradosso. Il vertice della NATO che si è tenuto martedì 24 e mercoledì 25 giugno all’Aja ha stabilito che i membri europei dell’alleanza e il Canada entro il 2035 dovranno raggiungere il tetto del 5% del loro prodotto interno lordo in investimenti per armi e sicurezza perché, come dimostra la guerra in atto in Ucraina, la Russia costituisce una “minaccia imminente”, tanto imminente che – parola del segretario generale dell’organizzazione e anche della presidente della Commissione UE – ci si deve attendere che nel corso dei prossimi cinque anni proverà ad attaccare un paese della NATO. L’obiettivo del 5% è fortissimamente voluto dall’attuale presidente americano, il quale però mostra nei fatti di non credere minimamente alla “minaccia imminente”, tanto che si è opposto al fatto che nel documento ufficiale sulle conclusioni del vertice l’invasione dell’Ucraina venisse definita come “guerra di aggressione”, come nelle conclusioni dei vertici passati. Peraltro, nonostante l’affermazione secondo la quale “gli alleati ribadiscono il loro impegno sovrano a fornire sostegno all’Ucraina”, sempre per non dispiacere a Trump la dichiarazione evita ogni riferimento a un futuro ingresso di Kiev nella NATO.
C’è una qualche logica in tutto ciò? L’unica che abbia un senso è che l’aumento delle spese europee (e canadesi) per la NATO non abbia tanto a che vedere con una “minaccia russa” tutta da verificare, quanto con un interesse molto americano già molto verificato, peraltro conseguente alle pretese che le varie amministrazioni di Washington perseguono da decenni in nome del burden sharing, ovvero di una (giusta) distribuzione dei carichi finanziari per la difesa comune.
Interessi economici, cospicue vendite di armi (girano voci di commesse per tre miliardi solo per quanto riguarda l’Italia), e interessi geostrategici. Ce ne ha offerto una traccia illuminante una apparentemente sorprendente affermazione del ministro della Difesa italiano Guido Crosetto, il quale un paio di giorni prima del vertice dell’Aja ha dichiarato che “La Nato non ha più ragione di esistere perché una volta il centro del mondo era l’Oceano Atlantico, ora è il mondo”. Se alla seconda menzione del “mondo” sostituite l’area dell’Indo-Pacifico avrete un’idea di quello che realmente voleva dire il ministro e di quanto esprimesse, in realtà, molto dello spirito con cui l’attuale presidente americano consideri del tutto trascurabili gli interessi degli europei in uno scenario in cui la competizione vera non è affatto con la Russia, nonostante la sua aggressione a un paese europeo che in fin dei conti ai suoi occhi non può essere altro che una bega fra abitanti del continente al di là dell’oceano, ma con la Cina, il vero Grande Nemico.
Proviamo perciò a leggere con questa ottica quanto è avvenuto all’Aja nelle poche ore del più breve summit della NATO mai consumato da quando esiste l’alleanza. A cominciare dalla desolante pessima figura del servilismo esibito nei confronti dell’uomo di Washington dal segretario generale dell’alleanza Rutte che ha riempito di stupore e di sdegno non solo gli osservatori politici e gli operatori dell’informazione ma anche (almeno si spera) i responsabili delle cancellerie europee, o almeno di alcune. Che il messaggio di ributtante piaggeria inviato a Trump non fosse solo la prova della leggerezza di carattere d’un personaggio già molto discusso messa in piazza con il candore dell’adoratore dell’io più famoso al mondo, Rutte ha pensato bene di confermarlo con l’atteggiamento che ha tenuto fino all’ultimo atto pubblico del vertice, la conferenza congiunta con il suo amato presidente che a un certo punto ha pensato bene di chiamare daddy, paparino.

Al di là dei suoi aspetti grotteschi, la vicenda va al di là dei confini della gaffe di un personaggio abbastanza screditato di suo che, solo per dirne una, si dovette dimettere dalla guida del governo olandese per uno scandalo sulla pelle di migliaia di famiglie di immigrati, per assumere il carattere di una prova della realtà dei rapporti che una parte dei leader politici europei intrattiene con il padre (daddy) padrone di Washington. Le penose insistenze della nostra tv di stato sull’intimità che si sarebbe instaurata tra la presidente del Consiglio italiana e il tycoon durante la cena di gala con i reali dei Paesi Bassi indicano dove andare a cercare anche altrove simili atteggiamenti.
Andiamo oltre. Anche il modo in cui si è arrivati alla “decisione” del 5% va letta nell’ottica del rapporto distorto che, per debolezza se non per colpa, molti partner hanno instaurato con Trump e con il suo trombettiere Rutte. La dimensione del salasso che un livello di spesa per le armi a quel livello imporrebbe alle economie di tutti i paesi europei, esclusa, forse e fino a un certo punto la Germania, era prima del vertice chiarissima a chiunque: neppure un indebitamento stratosferico sulla pelle delle future generazioni potrebbe salvare dai gravissimi danni che verrebbero inferti allo stato sociale se non il puro e semplice suo smantellamento. Eppure nessuno dei leader europei aveva opposto un’obiezione finché non ha parlato il capo del governo spagnolo Pedro Sanchez e poi, sulla sua scia, i premier di Belgio e Slovacchia.
Come è noto, per far bere l’amarissima medicina Rutte aveva preparato un pacchetto piuttosto complicato. Il 5% era diviso in due diversi capitoli: il 3,5% da raggiungere in spese vere e proprie in armamenti e l’1,5% da coprire con misure per incrementare la sicurezza (cyberdifesa, servizi segreti, coordinamenti tra le intelligence e simili). Questo già offriva qualche scappatoia nella individuazione contabile delle percentuali di PIL effettivamente raggiunte. Si dice, a questo proposito, che per esempio il governo italiano sia stato abbastanza “creativo” per raggiungere, come dice di aver fatto, dall’1,6% la soglia del 2% precedentemente fissata.
Ma non bastava. Contro l’ipotesi del 5% Sanchez sosteneva che il suo paese avrebbe raggiunto i “criteri di sicurezza” necessari (che peraltro nessuno aveva indicato) con un livello di spesa contenuto in un solo 2%. Il leader socialista spagnolo si è preso gli insulti di Trump e di qualche governo europeo dei più “allineati”, ma ha mantenuto la posizione, che avrebbe potuto portare a un fallimento disastroso per l’immagine dell’alleanza in sé ma soprattutto per Mark Rutte, al suo primo vertice organizzato, oltretutto, proprio in casa propria. Ecco allora che il Segretario Generale, forse senza neppure consultarsi con Trump, ha trovato una via d’uscita. Nel 2029 – ha annunciato – lo stato di avanzamento degli impegni di spesa dei paesi subirà una verifica, un “tagliando” in gergo in base al quale verranno eventualmente ridimensionati gli obiettivi di spesa. Se la Spagna dimostrerà di garantire i “criteri di sicurezza” (che, ripetiamo, nessuno sa quali siano) potrà evitare di impegnarsi oltre il 2% che avrà già toccato e oltre il quale non andrà. Va da sé che Sanchez con la sua iniziativa ha offerto una strada da percorrere ai paesi che hanno le perplessità più pesanti sul 5%. Magari anche l’Italia. Ma va da sé anche che si tratta di un escamotage che rende tutto quello che si è discusso al vertice e anche per settimane durante la sua preparazione diplomatica una Grande Finzione. Tra quattro anni, a meno che non riesca a forzare la Costituzione per un terzo mandato, Trump sarà, per fortuna, in pensione. La minaccia della Russia si sarà dimostrata infondata, oppure – chissà – tanto fondata che saremo in piena guerra nucleare giacché le voci di un possibile abbandono da parte americana della clausola dell’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord che prescrive l’entrata automatica in guerra di tutti i paesi nel caso che uno venga aggredito sono state formalmente e autorevolmente smentite, anche da Rutte “con grande forza” e quindi se davvero la Federazione russa attaccasse – come paventano gli assertori della minaccia – una delle repubbliche baltiche o la Polonia non ci sarebbe proprio scampo alla guerra. Il peso dell’alleanza tra l’Europa e gli Usa si sarà spostato dall’Atlantico al Pacifico, come saggiamente preconizza Crosetto. Insomma, vivremo in un mondo del tutto diverso. E chi vivrà vedrà.

Invece viviamo in un mondo ben drammaticamente attuale per quanto riguarda le guerre che stanno avvelenando ora, non nel futuro, il mondo. L’Ucraina, che avrebbe dovuto essere il secondo punto all’ordine del giorno ma sulla quale il vertice è stato piuttosto afono per non turbare le manovre trumpesche verso il suo complice al Cremlino, ma soprattutto il Medio Oriente. Tutto lo svolgimento della riunione, soprattutto il suo secondo giorno, è stato movimentato dai balletti del presidente americano sull’Iran, il bombardamento del sito nucleare di Fordow, il cessate-il-fuoco proclamato sulla testa di Tel Aviv e Teheran, le durissime polemiche con l’intelligence americana che si è permessa di mettere in dubbio la “total obliteration” del programma nucleare degli ayatollah che il presidente sostiene di aver ottenuto con il suo raid, nonché con i soliti New York Times e CNN propalatori di fake news antipatriottiche. L’appuntamento dell’Aja non era forse la sede più appropriata per un confronto tra i massimi dirigenti delle due sponde dell’Atlantico sulle crisi mediorientali, ma a parte quella di Macron nessuna voce europea si è levata in difesa del diritto internazionale e della razionalità della politica degli stati. Ennesimo esercizio di imbelle silenzio. Nel quale restava solo l’eco della cinica verità disvelata dal cancelliere tedesco Merz: Israele sta facendo il lavoro sporco per noi europei. Fino a quando? Fino a dove?