
La musica, per Gary Bartz, è sempre stata una forma di resistenza. Non solo un gesto estetico, ma un modo di stare al mondo: respirare dentro il caos, tradurlo in luce. In Damage Control – primo capitolo della trilogia in progress The Eternal Tenure of Sound – il sassofonista di Baltimora torna, a 83 anni, a questa idea originaria, rinnovandola con un’intimità inattesa. Ogni brano nasce dal bisogno di riparare, di dare forma alla fragilità senza nasconderla. Ogni nota porta in sé la dolcezza e la fatica di chi ha attraversato il tempo e continua a credere che la musica possa ancora guarire.
Bartz sceglie canzoni di Curtis Mayfield, Anita Baker, Patti LaBelle, DeBarge, Earth, Wind & Fire per rinegoziare la memoria afroamericana attraverso gli strumenti del presente. “Damage control” è un termine tecnico, usato in marina o in medicina, per indicare l’intervento che mantiene una nave o un corpo ferito in vita. È questa la chiave del disco: la musica come modo di respirare, come gesto che protegge senza chiudersi, che resta in ascolto. Ogni arrangiamento, ogni frase del suo contralto roco e luminoso, suggerisce che la bellezza coincide con la sopravvivenza.
A sostenerlo c’è un cast multigenerazionale: Kamasi Washington, Terrace Martin, Theo Croker, Brandee Younger, Nile Rodgers, Cory Henry, Kassa Overall, Barney McAll. Musicisti che incarnano la continuità di un linguaggio musicale in movimento, capace di unire groove, improvvisazione e canto collettivo. La produzione di Om’mas Keith, figlioccio di Bartz e collaboratore di Frank Ocean, costruisce un ponte naturale tra generazioni, senza nostalgia né compiacimento.
Le versioni di Fantasy degli Earth, Wind & Fire edi The Makings of You di Curtis Mayfiled rivelano un equilibrio raro tra grazia e intensità. Bartz non si limita a citare, scompone e ricompone, come se scavasse nella melodia per estrarne la linfa spirituale. Il suo sax non decora, racconta. Vibra, ferisce, consola. Quando canta – con quella voce fragile, quasi esitante – la vulnerabilità diventa parte del linguaggio, una forma di sincerità che si offre senza protezione.
Nel suo jazz è sempre presente una dimensione politica, anche quando resta sottotraccia. Negli anni Settanta, il Ntu Troop era un progetto di liberazione sonora; oggi Damage Control rappresenta la versione più intima di quella stessa spinta. “Non mi sono mai sentito al sicuro in questo Paese”, ha detto Bartz recentemente. Eppure il disco non si chiude su quel senso di insicurezza, lo attraversa e lo trasforma in energia, in solidarietà. È la testimonianza di chi ha vissuto decenni di mutamenti e continua a cercare unità, fiducia, continuità.
L’album è caldo, immersivo, aperto al dialogo. Pop e spirituale allo stesso tempo, intreccia sacro e sensualità con naturalezza. Ogni nota ribadisce che la musica, per Bartz, non è un solo linguaggio ma una forma di vita, un campo d’incontro in cui Coltrane e James Brown, Mingus e Curtis Mayfield, McCoy Tyner e Anita Baker condividono la stessa eredità sonora. È questa la logica profonda della musica afroamericana: la capacità di fondere corpo e pensiero, ritmo e memoria.
Quando Love Me In a Special Way chiude l’album, non sembra una fine, ma un passaggio di testimone. Bartz, con il suo sax e la sua voce, invita a condividere un momento di cura collettiva. La musica, sembra dire, non serve a cancellare le ferite, serve a contenerle, a trasformarle in canto.
Damage Control è un titolo tecnico che racchiude un’emozione antica: quella del musicista che ripara il mondo con il respiro. Gary Bartz non celebra la longevità; la interroga e la sfida. E ancora una volta risponde con ciò che gli è più naturale: il suono, eterno e fragile, come un atto d’amore.

