L’estate non è solo afa e relax: è anche tempo di attenzione generale per la salute mentale, di educazione alla noia e di adattamento. I gatti e la maggior parte degli adolescenti sanno come affrontarla con stile. In un mondo che corre, forse loro ci insegnano qualcosa: rallentare non è fallire, è adattarsi.
Fa caldo.
Caldissimo.
L’estate, da un punto di vista etologico e neurofisiologico, rappresenta una sfida adattativa. Per tutti. Per i gatti, notoriamente animali termo-sensibili e crepuscolari. Per gli adolescenti, notoriamente scontenti e termicamente incompatibili con qualsiasi forma di attività imposta. Entrambe le specie sviluppano strategie comportamentali simili, soprattutto sotto stress ambientale: diventano creature notturne, evitano gli adulti, rispondono con irritabilità agli stimoli, e mettono in atto un comportamento di coping passivo.
Etologia del caldo: felini e la termoneutralità
Il gatto domestico (Felis catus) ha un range di termoneutralità (la zona in cui il dispendio energetico per mantenere la temperatura corporea è minimo) che si colloca tra i 30 e i 38 gradi. Oltre questa soglia, adotta comportamenti di risparmio energetico come la riduzione dell’attività motoria, la ricerca di superfici fresche (pavimenti in ceramica, lavandini), allungamento posturale per massimizzare la dispersione di calore e la diminuzione dell’interazione sociale, incluso il rifiuto del contatto tattile.
Insomma, il gatto d’estate è un monaco zen del metabolismo: ogni gesto è misurato, ogni passo è una scelta ponderata. Come un adolescente costretto al campo estivo con sveglia alle 7:30 e giochi di squadra alle 9:00, reagisce con silenzioso sdegno e dichiarato distacco. Oppure, per punirci, ci si piazza addosso facendoci andare in combustione perché se soffrono loro ,gatti e adolescenti, devi soffrire molto di più tu.
Neurobiologia dell’accidia: caldo, corteccia prefrontale e motivazione
L’aumento della temperatura ambientale riduce le performance cognitive negli esseri umani e in altri mammiferi. Non è che si diventa più scemi, la questione è più complessa. Prima di tutto, col caldo l’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale si riduce e quest’area, coinvolta nei processi decisionali e nella pianificazione motoria, induce noi e i mammiferi a uno stato di inerzia globale da galleggiamento cosmico: un po’ come un’astronauta che ha staccato il tubo di sicurezza dall’astronave madre.
Come dimostrano numerosi studi sul comportamento estivo, sia i gatti che gli adolescenti adottano modelli di risposta passivo-difensivi: non combattono, non fuggono, ma ignorano. Un meccanismo neurocomportamentale noto come “learned energy conservation”, che può essere interpretato come adattamento funzionale in condizioni di stress termico cronico.
Tuttavia in questo stato non siamo molli e pacifici, ma aumentiamo l’aggressività reattiva dovuta a squilibri dopaminergici e cortisolemici insieme ad un aumento della latenza di risposta a stimoli esterni (in gatti e adolescenti: “eh?”).
Cito e non a caso la scena iniziale di Un giorno di Ordinaria Follia, che ricorda molto quello che si vive sulle nostre strade d’estate: quattro ore per fare 130 chilometri, 41 gradi emessi dall’asfalto e pensieri funesti su chi ammazzare per primo, a partire dall’adolescente dietro che mangia le patatine in macchina o il gatto che vomita l’anima nella gabbietta.
In generale però il film citato insegna che bisogna sempre tenersi lontani da chi viaggia in camicia e cravatta in estate: sono individui ad un passo dalla strage.
Cicli sonno-veglia e omeostasi energetica: quando dormire è un atto politico
Il sonno diventa la principale attività estiva di entrambe le specie. Non per svogliatezza, ma per termoregolazione e risparmio cognitivo. Dormire nelle ore più calde non è solo un lusso da divano, ma una strategia filogeneticamente conservata. I gatti dormono in media tra le 12 e le 16 ore al giorno, con picchi fino a 20 ore durante i periodi più caldi.
Gli adolescenti, lasciati senza orari scolastici, tendono a uno shift circadiano che li porta ad andare a dormire più tardi e alzarsi tardi, un fenomeno noto come social jet lag. Entrambi i comportamenti non sono devianze, ma forme di auto-regolazione in risposta a stress termici e ambientali.
Caldo, clima e disagio mentale
Molte rassegne scientifiche concordano: nei mesi estivi e durante le ondate di calore si registrano picchi significativi nelle crisi psichiatriche, con aumento di accessi in pronto soccorso per malattie mentali con ricoveri per episodi maniacali, depressione maggiore, schizofrenia e disturbi della personalità soprattutto tra i soggetti adulti dopo i 50 anni.
Per gli adolescenti, il caldo si somma alla noia e alla solitudine soprattutto in contesto cittadino. Tuttavia, per i ragazzi più vulnerabili, visite al pronto soccorso per depressione, ideazione suicidaria o autolesionismo sono più alti in primavera e autunno, mentre in estate diminuiscono, segno che la scuola attiva stress significativo.
Cioè, i ragazzi più fragili non è che in estate stiano meglio, ma viene meno il peso delle performance scolastiche dei mesi precedenti. Gli altri in qualche modo si spostano da oratori, campus estivi e il nulla con l’entusiasmo di un bradipo che si attiva dopo le sei del pomeriggio.
Dobbiamo però tenere presente che le ondate di calore diventano più estreme e frequenti con il cambiamento climatico.
Sono ormai molti gli studi che analizzano gli effetti negativi delle alte temperature sulla salute mentale. L’aumento di solo 1 grado sembra correlato a una maggiore incidenza di decessi collegati a patologie psichiche (+2.2%), di slatentizzazione di disturbi psichici non diagnosticati, di peggioramento di quelli già in essere, tra cui ansia, depressione, e disturbo bipolare, incremento delle condotte violente.
Il fattore scatenante sembra proprio l‘aumento della temperatura inaspettato e protratto nel tempo che mette sotto stress l’organismo.
Gli studi parlano anche del rischio di alterazione, a causa del caldo, di alcune molecole comunemente contenute nei farmaci più in uso per i disturbi psichici, per esempio il litio, che si associa quindi ad una minore efficacia. Sudare eccessivamente perché fa caldo e bere poco altera la concentrazione di un farmaco e questo significa anche minori effetti favorevoli sulla persona.
Per cui, anche se, come i gatti, i nostri antenati venivano dall’Africa, il caldo stressa e rimbambisce se non ci sono fonti di refrigerio, ambientale e psichico, ad attenuarlo.
I beduini nel deserto o gli abitanti dei posti più assolati della Terra non è che si muovano nelle ore più calde della giornata. Noi in città invece lo facciamo, e forse prima o poi dovremo riflettere su alcune modifiche di vita lavorativa nei prossimi decenni.
L’aria condizionata ci può aiutare, ma in un’ottica di risparmio energetico globale non è proprio la soluzione né ideale né finale.
Prendere l’estate sul serio
Le evidenze neuroscientifiche, etologiche e psichiatriche convergono: l’estate, soprattutto in un contesto di cambiamento climatico, va presa sul serio. Può scatenare disagi mentali e risposte discontrollate.
Tuttavia gatti e adolescenti mostrano coping passivi e strategie adattative, ma noi adulti siamo tanto presi dal fare da essere poco attenti a capire che loro sopravvivono e noi ci stressiamo anche per loro, nel bisogno malato che facciano.
L’estate non è solo afa e relax: è anche tempo di attenzione generale per la salute mentale, di educazione alla noia e di adattamento. I gatti e la maggior parte degli adolescenti sanno come affrontarla con stile. In un mondo che corre, forse loro ci insegnano qualcosa: rallentare non è fallire, è adattarsi.
Anche l’adolescente apatico sotto il pergolato non è un ingrato, è un mammifero in modalità risparmio-energia, come previsto dalla neurobiologia evolutiva.
Dovremmo accettare l’idea che d’estate, tra termometri bollenti, attività forzate e aria condizionata, il comportamento più razionale è… fare bene ma lenti.
[Le immagini utilizzate per questo post sono state generate con una applicazione di intelligenza artificiale]