M, il magazine settimanale del quotidiano francese Le Monde, ha dedicato un articolo ai 50 anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini e al ruolo dell’avvocato Stefano Maccioni, già noto ai lettori di Roma Report.
In coda, una breve replica che Simona Zecchi ha inviato a Roma Report dopo aver letto la sintesi.
Questa è una breve sintesi dell’articolo (in francese) di Luca Minisini.
Il brutale omicidio di Pier Paolo Pasolini, la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, continua a essere uno dei casi più enigmatici e dibattuti della storia italiana. Il corpo dello scrittore e regista fu ritrovato massacrato e investito da un’auto in un terreno di Ostia. Da subito, Giuseppe “Pino” Pelosi, un diciassettenne prostituto e piccolo delinquente, confessò il delitto sostenendo di essersi difeso da un tentativo di violenza sessuale. Condannato nel 1976, Pelosi ritrattò però nel 2005, affermando che Pasolini fu in realtà ucciso sotto i suoi occhi da più persone.
Fra coloro che non si sono mai arresi di fronte alle zone d’ombra del caso spicca Stefano Maccioni, avvocato penalista romano di 59 anni, che da quasi vent’anni dedica gran parte della sua vita alla ricerca della verità. Nel suo studio, a sud di Roma, Pasolini è ovunque: libri, fotografie, ritagli di giornale. “Sono in simbiosi con questo caso. Oggi Pasolini fa parte di me”, confessa Maccioni, che racconta come anche nella vita privata fatichi a staccarsi dal caso. “Ogni cosa che faccio, mi chiedo se possa servirmi per l’inchiesta su Pasolini”, spiega, seduto alla sua grande scrivania.

L’impegno di Maccioni sul caso inizia nel 2008, quando, durante un convegno giuridico a Cipro, si imbatte nei documenti processuali e resta colpito dalle numerose incongruenze e omissioni. Da allora ha studiato migliaia di pagine, visto ore di filmati, parlato con testimoni, e investigato archivi sparsi in tutta Italia. Lo fa senza compenso: una “follia”, dice ridendo. Nella sua analisi, individua diverse falle nell’inchiesta: dalle prove mai analizzate a fondo (come tracce di DNA di tre persone sui vestiti di Pasolini) alle testimonianze ignorate, come quella del medico legale che già la notte dell’omicidio ipotizzò la presenza di più aggressori.
Uno dei punti su cui Maccioni si concentra è il romanzo incompiuto Petrolio. Pasolini, in quelle pagine, alludeva a un intreccio di mafia, logge massoniche (come la P2) e poteri economici, e accusava apertamente Eugenio Cefis di essere coinvolto nella morte di Enrico Mattei, presidente dell’ENI, morto nel 1962 in un misterioso incidente aereo. Secondo Maccioni, è proprio in questi equilibri delicati il movente politico dell’omicidio Pasolini. Sostiene infatti che un intero capitolo di Petrolio, dove Pasolini avrebbe dettagliato complotti legati a Mattei, sarebbe sparito dopo la sua morte.
Oggi Maccioni ripone speranze nella commissione parlamentare d’inchiesta che dovrebbe indagare nuovamente sul caso. L’iniziativa è stata proposta dalla senatrice Ilaria Cucchi, cara amica dell’avvocato per aver condiviso altre battaglie giudiziarie, come quella per la morte in custodia cautelare del fratello Stefano Cucchi. Maccioni vede nella commissione un’occasione unica per riesaminare le prove scientifiche, convocare nuovi testimoni e far luce finalmente su uno dei misteri più intricati della storia italiana.
Tuttavia, la ricerca della verità resta complessa. Diverse teorie si scontrano tra loro: c’è chi, come il regista Abel Ferrara nel film Pasolini, continua a raccontare la versione del delitto a sfondo sessuale; altri, come la giornalista Simona Zecchi, ritengono che Maccioni sia troppo concentrato sulla pista politica e trascuri invece i legami fra Pasolini e ambienti neofascisti. Maccioni replica che tutte queste divisioni finiscono solo per “creare confusione a scapito della verità”.
A cinquant’anni dalla morte di Pasolini, il caso continua ad affascinare e dividere. Ma per Stefano Maccioni, “non possiamo accettare di non sapere perché una delle voci più libere della nostra storia sia stata ridotta al silenzio”.
Da Simona Zecchi: