19 Luglio 2025

Referendum, come è andata. E come potrebbe andare alle elezioni

In linea con i sondaggi delle scorse settimane, i 4 referendum abrogativi sul lavoro e quello sulla cittadinanza non hanno raggiunto il quorum, e quindi non sono passati. 
Il governo aveva invitato all’astensione e dunque ha cantato vittoria. Il centrosinistra li aveva sostenuti, e dunque esce formalmente sconfitto.
Ma al tempo stesso i partiti del cosiddetto campo largo (Pd, M5s, Avs) pretendono che il referendum sia stato un test positivo per le prossime elezioni: perché gli elettori che sono andati a votare, ascoltando il loro appello, sono più di quanti hanno votato per il centrodestra nel 2022.

Al prossimo voto per le elezioni politiche mancano due anni (2027), sempre che non si vada al voto anticipatamente, per una irrisolvibile crisi di governo. Ma il governo di Giorgia Meloni al momento gode di buona salute, nonostante qualche scaramuccia interna al centrodestra, con la Lega che vuole maggiore visibilità. 
Chi ha votato al referendum è certamente un elettore di centrosinistra? In gran parte sì, ma ovviamente non tutti. E c’è anche un possibile paradosso: chi ha votato da sinistra e centrosinistra per abrogare norme sul lavoro volute in gran parte dal governo Renzi potrebbe ritrovarsi a fare i conti, alle prossime elezioni, con una possibile alleanza del centrosinistra con lo stesso Renzi e la sua Italia Viva, oltre che con Azione di Carlo Calenda e probabilmente anche con +Europa, il partito che mette insieme radicali e vari esponenti di centro. 
Perché la legge elettorale attuale premia le coalizioni: più larga è la coalizione, più facile vincere.

La segretaria del Pd, Elly Schlein, è lontana da Renzi, e sta cercando di recuperare i delusi. Da quando è diventata leader – grazie al voto alle primarie di molte persone che probabilmente non sono elettori abituali del Pd, ma che l’hanno sostenuta perché era una figura nuova e abbastanza inusuale – ha registrato buoni risultati elettorali. Ma deve fare i conti con un’opposizione interna che non gradisce il legame con la Cgil (è stato infatti il sindacato di Maurizio Landini a promuovere i quattro referendum) né alleanze con il M5s. L’opposizione interna, “riformista”,  vorrebbe recuperare il rapporto con Renzi, Calenda e le varie forze più o meno centriste. Un disegno abbastanza chiaro, ma che non ha i numeri per vincere le elezioni: al massimo, per tornare al governo come partner di un esecutivo tecnico, come ai tempi di Mario Draghi.
Quindi, è immaginabile che il Pd resterà il perno centrale nel tentativo di costruire un’alleanza più vasta possibile, che vada da Renzi al M5s, passando per radicali e Avs. Per farlo, dovrà avere una proposta convincente. O, soprattutto, dovrà scommettere sulla disfatta del centrodestra. Che potrebbe arrivare certamente per un insanabile dissidio interno (la Lega è riuscita a far esplodere il governo con il M5s proprio perché Matteo Salvini sperava di diventare premier, salvo entrare nel governo Draghi e poi perdere voti a vantaggio dei competitor di Fratelli d’Italia alle successive elezioni) o per un peggioramento delle condizioni economiche internazionali tale da minare anche la “crescita” che Meloni rivendica da tempo.

Il valore positivo del referendum, per il partito di Schlein, è dunque quello di sostenere la mobilitazione permanente o almeno fino alle prossime elezioni. Con la manifestazione contro il massacro di Gaza, quella contro il decreto sicurezza e altre iniziative simili, il Pd cerca di ritrovare la sintonia con un elettorato che vuole un partito più combattivo, più schierato, che prenda le distanze dal suo stesso recente passato: non più il partito di Renzi, ma che con Renzi etc dovrà trovare però molto probabilmente una mediazione. 
Piacerà questo al suo elettorato? Non è che il centrodestra, in quanto a contraddizioni, sia messo meglio. Ma gli elettori di FdI, Lega, Forza Italia etc sembrano propensi ad accettare compromessi anche complicati, pur di vincere.

Foto Fillea Cgil diffusa con licenza creative commons su Flickr.com

 

L’inganno dei referendum

Quella di cambiare l’Italia per via referendaria, nel frattempo, resta un’idea che non sembra avere fondamento, e però che trova sempre estimatori. Credevano di riuscirci i radicali, che hanno proposto tantissimi quesiti referendari, quasi sempre senza esito. Credono di riuscirci numerosi gruppi o partiti che hanno proposto referendum senza riuscire a raccogliere le firme sufficienti, o che sono stati fermati dalla Corte Costituzionale (come il clamoroso caso di quelli sulle droghe).
Da tempo, almeno dalla fine degli anni Novanta, i referendum che riescono a mobilitare davvero gli elettori sono quelli contro qualcosa che l’opinione pubblica ritiene un’importante minaccia: contro il temuto ritorno del nucleare, o l’altrettanto temuto aumento del costo dell’acqua pubblica (2011). Oppure, contro qualcuno: contro Silvio Berlusconi e la sua riforma costituzionale (2006) o contro Matteo Renzi per le stesse ragioni (2016), contro i partiti e i politici (2020). Non si vota mai per, si vota sempre contro, ai referendum. 

Ci sono differenze, chiaramente, tra le varie consultazioni referendarie.
La prima differenza, è che il referendum abrogativo (come nel 2011 e quest’anno) impone il quorum del 50% più uno, il referendum costituzionale (2006, 2016 e 2020) invece non prevede quorum.
La seconda differenza, è che il no alla riforma di Berlusconi arrivò quando il centrodestra era già stato sconfitto nelle urne e Romano Prodi era già arrivato a Palazzo Chigi; mentre la bocciatura di Renzi giunse mentre il premier – che aveva annunciato le dimissioni in caso di sconfitta referendaria – era in carica. 
La terza differenza, è che al referendum costituzionale del 2020 per votare contro la “partitocrazia” gli elettori scelsero il sì, cioè approvarono una riforma (voluta dal M5s e sostenuta dal Pd) che diminuiva il numero dei parlamentari, con un’affluenza anche molto larga.
(C’è un altro sì al referendum costituzionale che va ricordato: quello del 2001 alla riforma regionalista del centrosinistra; e forse si potrebbe leggere, in questo caso, come un voto contro il centrodestra, che si era insediato da poco a Palazzo Chigi).

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