La chiamavano Trinità

Ve la ricordate Audrey Hepburn che mangia un gelato seduta sulla scalinata di Trinità de’ Monti e qui viene raggiunta da un fascinoso Gregory Peck, che la porta con sé in un indimenticabile giro tra le bellezze della Città Eterna? È una delle scene chiave di un film che è un’icona della cinematografia mondiale: “Vacanze romane”.

Be’, se fosse girato oggi, quel film avrebbe tutt’altro svolgimento. Hepburn, infatti, non farebbe in tempo a sedersi, che verrebbe subito redarguita da un pizzardone di pattuglia e fatta rapidamente allontanare. Perciò, di conseguenza, niente più incontro con Gregory Peck e niente mitico giro in Vespa per le vie di Roma. La storia del cinema verrebbe riscritta e l’immaginario popolare legato alla capitale perderebbe una delle sue immagini simbolo. Il tutto in nome del decoro.

Foto di David Mc Spadden tratta da Flickr.com, con licenza creative commons

È uno degli effetti paradossali del nuovo regolamento urbano in vigore a Roma da luglio. Già, perché in base alle nuove disposizioni approvate a inizio estate, in prossimità dei monumenti romani non solo non è più permesso il bivacco, ma è anche vietato semplicemente sostare e sedersi, pena severe sanzioni da parte di una Polizia Municipale apparentemente molto solerte nell’applicare il divieto, soprattutto sul famosissimo scalone che sormonta Piazza di Spagna.

Potrebbe essere una buona notizia per molti di voi e per chi vi scrive, da sempre innamorato di Roma, rispettoso delle sue bellezze artistiche e fautore di quella che viene chiamata la regola delle finestre rotte (una teoria sociologica in base alla quale un quartiere degradato attira nuovo degrado, mentre un quartiere ben tenuto crea un circolo virtuoso che riduce non solo il degrado ma anche la criminalità).
Potrebbe essere una buona notizia ma forse non lo è.

la zona di Piazza di Spagna, durante l’epoca papalina, è stata per secoli il quartiere a luci rosse della città, la zona della trasgressione, un’area ai limiti della legalità al punto da non essere nemmeno sotto la giurisdizione del Papa, vitale e frequentata da romani e da turisti anche grazie a questa sua caratteristica di centro dei piaceri

Passeggiavo pochi giorni fa accanto alla fontana della Barcaccia, quando la mia attenzione è stata richiamata dai ripetuti fischi dei vigili urbani, che intimavano di alzarsi ad alcuni turisti ignari, rei di voler sostare sugli scalini di Trinità de’ Monti.
Alzando lo sguardo ho visto perciò, per la prima volta, quella scalinata completamente vuota, in tutta la sua maestà. Una scalinata meravigliosa, come sempre, forse più di sempre, ma di una bellezza che appariva innaturale, senza vita; una “musa inquietante”, fredda come un quadro di De Chirico.
Ho guardato a lungo quegli scalini bianchi e vuoti, chiedendomi se, forse, l’eccesso di decoro non si stia cominciando a rivelare un boomerang, una scelta che, anziché ridare lustro alla città, la sta trasformando in un sepolcro imbiancato, privo di vitalità e in contrasto col suo passato, la sua storia, la sua anima.
D’altronde, la zona di Piazza di Spagna, durante l’epoca papalina, è stata per secoli il quartiere a luci rosse della città, la zona della trasgressione, un’area ai limiti della legalità al punto da non essere nemmeno sotto la giurisdizione del Papa, vitale e frequentata da romani e da turisti anche grazie a questa sua caratteristica di centro dei piaceri.

Foto di Sean Munson, diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

“Cuel’inferno de le puttane
de Piazza de Spagna”

Che il più antico mestiere del mondo abbia spesso avuto un ampio mercato nell’Urbe, anche ai tempi dello Stato della Chiesa, è cosa nota. Meno noto è che il meretricio, per lunghissimo tempo, si concentrasse soprattutto nella zona adiacente a Piazza di Spagna. Perché proprio lì?
Il primo motivo è logistico. Per i tanti visitatori e pellegrini che si recavano nella Città Eterna, venendo da nord, il primo punto di arrivo era, attraverso la Cassia, la Flaminia e Porta del Popolo, proprio Piazza di Spagna.
Perciò gli alberghi, le locande, le osterie, le botteghe, si insediarono rapidamente nella zona. Le prostitute furono fra le prime ad operare in quell’area, attirate lì da una banalissima, ma determinante considerazione: i viaggiatori dell’epoca erano quasi tutti maschi.

C’è però un secondo e forse più importante motivo. Infatti, a partire dalla fine del Seicento, la zona godeva della giurisdizione di extraterritorialità, a favore della corona spagnola. Lì aveva sede l’ambasciata di Spagna (da cui l’attuale nome della piazza) e la Spagna (insieme alla Francia, che gestiva la parte alta di Trinità de’ Monti) aveva contribuito fattivamente ed economicamente alla ricostruzione e rinascita dell’area, parzialmente distrutta dopo il sacco di Roma operato dai Lanzichenecchi nel 1527.
A titolo di “ringraziamento”, l’intero quartiere era perciò passato sotto la giurisdizione e la protezione spagnola, che aveva facoltà di escludere ogni ingerenza amministrativa e di polizia dello Stato della Chiesa. In pratica, quella era una zona franca per ogni attività economica, compreso l’esercizio della prostituzione.

 

Piazza di Spagna nel 1750, in un’incisione su rame opera di Giovan Battista Piranesi

Alla metà dal Settecento, il “quartiere spagnolo” si estendeva in un’ampia zona, che comprendeva, oltre a piazza di Spagna, l’attuale piazza Mignanelli, via Condotti, via della Mercede, via Mario de’ Fiori, via Capo le Case, via Gregoriana, piazza Trinità dei Monti, via Vittoria, via della Croce, via Bocca di Leone, via Frattina.
Ovviamente non si giunse mai ad un trattato ufficiale, che avrebbe comportato addirittura la cessione a una potenza straniera di una parte della città. Tutto era stabilito con una sorta di “accordo fra gentiluomini” fra il Papa e la corona iberica, attraverso il quale la Spagna, di fatto, esercitava il potere in quell’area, amministrandola con molta tolleranza verso tutte quelle attività che rendevano il “suo” quartiere il più cosmopolita e accogliente di Roma.

Fu solo nell’Ottocento che tutto questo ebbe fine. Tornato in pieno possesso della zona, il Papa emanò perciò ordinanze che equipararono l’area al resto della città, riducendo tutte le precedenti libertà e proibendo il meretricio, tra lo sgomento di molti e il giubilo di altri cittadini.

È un gran birbo futtuto chi sse lagna de le cose ppiú mmejjo der Governo. Come! Ner cor de Roma cuel’inferno de le puttane de Piazza de Spagna?!” scrisse, nel 1832, Giuseppe Gioacchino Belli, in un sonetto intitolato “La Giurisdizzione”. Un apparente plauso, da parte sua, a quella stretta papale.
Un plauso che è però smentito qualche riga dopo, quando Belli, con il suo solito sarcasmo, aggiunge: “Se fotte pe le case a la sordina, e ccor prossimo tuo come te stesso. Mo ttutto se pò ffà ccor zu’ riguardo co cquella ch’er Zignore te distina; e ar piuppiú cce pò uscí cquarche bbastardo”. Quello che sembrava un sostegno, si rivela essere, perciò, una denuncia sottile dell’inutile ipocrisia papalina, che aveva reso solamente più nascosto ciò che per secoli, sotto la giurisdizione spagnola, avveniva alla luce del sole.

Trinità de’ Moniti

Alzando lo sguardo verso quella scalinata così bianca e così vuota, ho un sentimento simile a quello che ebbe il Belli ai suoi tempi. Lì per lì mi viene da applaudire all’iniziativa e da storcere il naso verso chi l’ha criticata: “È un gran birbo futtuto chi sse lagna de le cose ppiú mmejjo der Governo!
Poi, però, osservo meglio, vedo quell’atmosfera immobile e irreale. Penso alla storia di quella Piazza, così diversa e lontana dall’idea di museo che dà oggi la scalinata deserta. La immagino attraversata da popolani, da nobili e da pellegrini, intrisa di odori, con le prostitute affacciate ai balconi e un qualche Franco Califano dell’epoca che, guardando una donna che gli sorride da una finestra, si mette a pensare: “è una di quelle, ma è bella e stasera mi va”; passa un’ora in sua compagnia e poi se ne va via.

Considerando tutto questo, mi rendo conto di come sia difficile amministrare una città come Roma.
E’ il destino di tutte le città dense di storia e di stratificazioni secolari. Tutte corrono sul filo di un complicatissimo equilibrio fra la tutela del patrimonio storico e la contemporaneità.
Basta poco per cadere in un eccesso o nel suo opposto. Basta pochissimo per distruggere arte e cultura millenaria in nome del progresso, o, al contrario, per uccidere il presente, trasformando una città viva e vitale in una falsa scenografia da cartolina, buona solo per il turista mordi e fuggi.

E così, nel cuore di Roma, se da una parte si lasciano proliferare nuovi locali, pub, ristoranti, che si concentrano nelle strette vie del centro storico, attirando una movida che genera spesso fenomeni di turbativa dell’ordine pubblico, dall’altra l’ampia scalinata di Piazza di Spagna viene messa sotto strettissima osservazione (mii verrebbe da dire “sotto naftalina”) e vietata persino alla sosta.
Un colpo al cerchio e uno alla botte, con due pesi e due misure che sembrano ben lontani dall’aver trovato un equilibrio. Nei rigidi divieti di Piazza di Spagna sembra infatti esserci un po’ dell’antica ipocrisia papalina denunciata dal Belli: da una parte pattuglie di vigili che non permettono a nessuno di sedersi, da altre parti forze dell’ordine che chiudono un occhio e spesso anche due su una movida infiltrata da malavita e spaccio.

Basta poco per cadere in un eccesso o nel suo opposto. Basta pochissimo per distruggere arte e cultura millenaria in nome del progresso, o, al contrario, per uccidere il presente, trasformando una città viva e vitale in una falsa scenografia da cartolina, buona solo per il turista mordi e fuggi

Ben venga quindi una battaglia per il decoro di Roma, ma a patto di non fare figli e figliastri, di non creare zone franche come ai tempi degli spagnoli. E’ bene usare ovunque lo stesso metro, un metro che punisca dappertutto i bivacchi e il degrado, ma al tempo stesso lasci vivere il cuore di Roma e, ogni tanto, ci lasci anche sedere mollemente sui gradini di Trinità de’ Monti (magari senza il gelato che aveva in mano Audrey Hepburn), a osservare il panorama di una città contraddittoria e meravigliosa, che è impossibile, nonostante tutto, non amare.

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