Il tramonto triste di Virginia Raggi

L’avevamo persa di vista affaccendati con il coronavirus, ma occorre ricordare che Virginia Raggi è ancora la sindaca di Roma. Anzi, pare che goda anche di buoni sondaggi. Verrebbe da dire a sua insaputa, se la stessa riemerge dal dimenticatoio perché provano a inserirle tra i collaboratori la compagna di un assessore, o perché in piena seduta del suo consiglio comunale, aula Giulio Cesare, il capogruppo 5s e il presidente dell’Assemblea (5s) si apostrofano con frasi tipo: “Ma ’nte fai schifo da solo? Fai schifo! Fai schifo!”. E al cospetto di tanto rovinoso sfacelo, lei, Virginia, che fa, che pensa, che ha in mente?

[Questo articolo è stato pubblicato originariamente il 24 marzo su HuffPost]

Ecco, per descrivere la metamorfosi di Virginia Raggi in rovina tra le rovine romane, conviene partire dal principio, da quell’affaccio emozionato sui Fori, nel primo giorno al Campidoglio, dove era entrata da sola in un tardo pomeriggio di giugno 2016. Da lassù, dal balconcino dello Studio del sindaco, come raccontava Filippo Ceccarelli, “figurina sopraffatta da una solitudine di cielo, pietra, abisso e splendore”, Virginia non lo sapeva, ma stava guardando se stessa.

Così, cinque anni dopo, mezza abbandonata dai suoi consiglieri comunali, lasciata al suo destino dai vertici di un Movimento in crisi psico-politica, dimenticata dai cittadini che ormai non ricordano nemmeno più di avere un sindaco, Virginia giace tra le vestigia di un potere che fu assoluto e fugace.

“Quant’è bella la Raggi! Speriamo ci faccia uscire da questi lager”. Tra capitelli, tronchi di statue ed erbacce, è solo un’eco il grido di speranza raccolto nei campi rom nei giorni del trionfo. Quando le periferie la votarono per disperazione. Quando si parlava di rivoluzione tranquilla delle madri – come a Torino, con Chiara Appendino – contro il sistema di potere dem.

Se “fare il sindaco di Roma è il mestiere più difficile del mondo” – come ha scritto Walter Veltroni che coerentemente lasciò lo scranno dell’Urbe per seguire la vocazione del nascente Pd – dopo l’esperienza Raggi c’è da averne il terrore solo a pensarci.

Virginia sul tetto del Campidoglio. Virginia che dice no alle Olimpiadi. Virginia tra i bus dell’Atac che vanno a fuoco – oltre 150, l’ultimo sul “sacro” Gra, all’altezza di Tor Bella Monaca. Virginia che non fa lo stadio della Roma. Virginia che non riapre le stazioni della metro, con scale mobili pronte a inghiottirti, come le altrettanto letali buche stradali. Virginia che viene assolta per falso in atto pubblico e si incazza contro il fuoco amico: “Tanti devono riflettere e per decenza tacere”. Virginia che rilancia la funivia di Casalotti. Che inaugura due volte gli stessi bus. Che vara migliaia di monopattini e twitta accanto a ceppi d’alberi rimossi.

Virginia che va avanti, nonostante tutto e tutti, e anzi, questi ultimi tende a cambiarli raggiungendo il record di 39 avvicendamenti tra vicesindaci, assessori, capi di gabinetto e di personale, dirigenti di municipalizzate. E i record non sono finiti – stando ai calcoli del dipartimento Risorse Umane del Campidoglio riportati da Repubblica – se consideriamo i 97 “collaboratori politici” che permettono al comune di spendere 5,3 milioni di euro nel solo 2020, surclassando le presunte “Parentopoli” di Ignazio Marino e Gianni Alemanno. Ma fa niente perché Virginia incassa il colpo e prosegue il suo percorso.

Intanto pare che la sua giunta non abbia più la maggioranza, e si inizia a parlare di mozione di sfiducia riproponendo quello che Christian Raimo nel suo recente “Roma non è eterna” ha definito “il guasto alla trama del dibattito politico. I mandati degli ultimi sindaci si sono conclusi con una dimissione, una cacciata, una condanna a corruzione”. Intanto Enrico Letta e Giuseppe Conte si incontrano anche per decidere della sua ricandidatura che Nicola Zingaretti ha già definito “una minaccia per Roma”. Pronta la risposta da perfetta vittima sacrificale: “Parole come pietre, io giovane donna minacciata dai clan”.

“Aridaje”, direbbe Beppe Grillo, se sapesse cosa vuol dire. Lei, Virginia, “sindaca guerriera” (sempre Grillo) in scadenza a fine giugno, dovrebbe resistere fino a novembre, in un trimestre “bianco” causa pandemia che rischia di trasformarsi in una lenta agonia per tutti.

La città dovrebbe farcela a sopravvivere. “Di Roma, – scrive Francesco Piccolo (The Passenger, Iperborea) – Joyce disse che gli faceva venire in mente ‘un uomo che si mantiene facendo vedere i turisti il cadavere della nonna’”. Insomma, figuriamoci se non ce la fa. Discorso diverso per Virginia, sempre che tra qualche mese riusciremo ancora a distinguerne la sagoma, lassù sull’affaccio dal Campidoglio (va messo in conto, potrebbe ricapitare), o rovina tra le rovine.

[Stefano Baldolini, giornalista, è caporedattore di Huffington Post e tra gli autori della trasmissione Rai “Mezz’ora in più”. Quest’articolo è uscito originariamente su HuffPost]

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