A ciccio de sellero

“A ciccio de sellero”, cioè al momento giusto, in modo opportuno e tempestivo. Ci sono poche cose a Roma che possono essere più perfette, per tempistica ed efficacia, di un “ciccio de sellero”. Il sellero è il modo romanesco di chiamare il sedano. Ma perché al sellero, in questo caso, viene attribuito un valore tanto positivo?

Questo è uno di quei modi di dire in cui non tutti sono della stessa opinione nel rintracciarne le origini. Una delle ipotesi che è stata fatta, vuole che il sedano fosse, nei secoli passati, molto più raro rispetto a oggi e che quindi trovarlo o averlo a disposizione fosse un colpo di fortuna.

Esistono però opinioni diametralmente opposte e che elencano le grandi fortune che ha avuto il sedano nella cucina romana, già a partire dall’epoca imperiale, quando faceva da ingrediente principe per la ricetta del “moretum”, una focaccia a base di formaggio fresco, erbe, olio d’oliva, aceto e noci.

In questo caso, il sedano assume una valenza positiva non per la sua rarità, ma per il fatto di essere molto apprezzato in cucina e per le qualità che gli venivano attribuite.

Qualità di tipo terapeutico, come indicato nel medioevo dalla Santa Ildegarda di Bingen, che ne consigliava l’uso, per combattere la “tetraggine”, ossia la depressione, suggerendo di triturarne i semi e di mescolarli con la noce moscata.

Qualità anche di tipo afrodisiaco, tanto che Michele Savonarola, medico e nonno del più famoso Gerolamo, metteva in guardia le donne dal consumo di questa pianta, se volevano restare caste. Un consiglio che forse non tutte riuscivano ad ascoltare, quando qualche bel giovane si presentava loro nel modo e nel momento giusto. Cioè: “A ciccio de sellero”.

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