Ukiyoe, da Roma al Giappone attraverso le “immagini del mondo fluttuante”

Un autentico viaggio, lontano nel tempo e nello spazio, attende il visitatore grazie al percorso espositivo di 150 opere realizzate tra il 1603 e il 1868, durante il regime di ‘shogunato’ di Tokugawa nella città di Edo, ribattezzata Tokyo nel 1869. Il senso dell’Ukiyo, che nel pensiero buddhista rappresentava l’attaccamento illusorio al mondo terreno, fu rivoluzionato dalla classe emergente dell’epoca: ricchi commercianti che investirono il loro potere nell’arte, nell’intrattenimento e nella moda, creando uno stile che avrebbe sfiorato l’Europa e l’Italia dopo la riapertura agli scambi con l’Occidente, avvenuta dalla metà dell’Ottocento.

Passo dopo passo, il visitatore può approfondire le opere originali tramite le tecniche multimediali utilizzate con discrezione: pannelli che ingrandiscono i “rotoli” in seta finemente dipinta, nei quali sono rappresentate scene di vita dell’epoca; un filmato che illustra la tecnica della ‘serigrafia’, stampe in policromia realizzate con una matrice di legno su carta, spesso ridipinta a mano per intensificarne i colori; didascalie chiare e complete per facilitare la comprensione di volti dalla mimica intensa, scorci paesaggistici e vita di città.

Le opere erano prodotte in serie presso gli atelier degli editori, che coordinavano decine di pittori, intagliatori, calligrafi, più o meno negli stessi anni in cui, a Magonza, Johann Gutenberg  inventava la stampa a caratteri mobili e, a Venezia, Aldo Manuzio rivoluzionava la cultura con l’adozione del carattere ‘italico’ (il corsivo) alla portata di molti lettori.

Lo spirito del Giappone ‘Edo’ era innovativo, ma non accessibile a chiunque: le opere mostrano teatri con il ‘tutto esaurito’ di spettatori e le passeggiate in città si associano spesso ai ‘quartieri del piacere’ dove le Geishe, definite ‘beltà’, eseguivano con grazia la cerimonia del tè in apposite sale, riccamente decorate.

Poco alla volta il visitatore si predispone a condividere, se non proprio ad accogliere, una cultura diversa, scoprendo i ritratti degli attori più noti del teatro ‘kabuki’, la forma che aveva sostituito l’aristocratico ‘nō’, portando in scena storie di amori infelici, aneddoti, avventure, così da eludere la censura, che vietava di affrontare temi politici.

Si scopre altresì che le donne detenevano il potere culturale attraverso quattro discipline: il ‘koto’, ovvero la musica, eseguita con strumenti a corda simili al liuto; il gioco da tavola, oggi conosciuto come ‘go’; la calligrafia e la pittura, cui, in epoca tarda, si aggiunsero l’ikebana e la cerimonia del tè.

Spiccano i nomi noti di Katsushika Hokusai, autore della celebre “La grande onda presso la costa di Kanagawa”, opera di piccole dimensioni e di grande impatto emotivo; di Kitagawa Utamaro e le sue ‘beltà’ ritratte nel leggere una lettera d’amore o immortalate in una danza pudica; della scuola di Utagawa Kuniyoshi, uno degli ultimi rappresentanti della ‘serigrafia’ Edo e la serie delle ‘cento vedute’ del Giappone con il richiamo ai tre tipi di bianco: la cima innevata del Monte Fuji, la luna piena riflessa nelle acque notturne, il ciliegio nella sua fioritura.

Senza il bisogno di conoscere la storia o la lingua giapponese, ecco che si scoprono le eco delle volute dorate sugli oggetti di valore o sulle sete, ravvisabili nella Europea ‘Art Nouveau’ che, non a caso, nasce a ridosso del tramonto dell’arte Edo. Non a caso, va sottolineato: le quindicimila opere del Museo di Arte Orientale “Chiossone” di Genova provengono dalla collezione privata dell’incisore Edoardo Chiossone “invitato, insieme allo scultore Vincenzo Ragusa, dal governo giapponese Meiji di fine Ottocento come formatore negli istituti di grafica e arte” scrive Aurora Canepari.

Il quadro si ricompone, dunque, sulla base di alcuni elementi che suggeriscono l’influenza dello stile Ukiyoe nell’arte occidentale, rappresentata da decoratori quali Gustav Klimt a Vienna; Victor Horta e Henry van de Velde in Belgio; Mariano Fortuny a Venezia; Duilio Cambellotti, infine, a Roma con le vetrate della ‘Casina della Civette’ di Villa Torlonia. Le preziose penne di pavone delle opere giapponesi, le sete ricamate, i dettagli ispirati alla Natura vengono rielaborate nello stile Liberty, quindi nella Secessione, secondo il processo con cui l’Ukiyoe aveva rivoluzionato l’arte giapponese.

Il critico Ugo Ojetti, nel 1906, in occasione dell’Esposizione di Milano, aveva scritto che la ‘moderna arte floreale’ traeva da “stili coloniali cioè asiatici, con incomprensibile amore, tante ispirazioni (…) tra cui l’ispirazione alla natura, di cui studia gli elementi strutturali, traducendoli in una linea dinamica e ondulata”.

La Natura è declinata nelle sue espressioni, non ultima la musica: nel 1908, Gustav Mahler compone il suo capolavoro, “Das Lied von der Erde” (“Il canto della Terra”) tratto da una raccolta di poesie cinesi tradotte in tedesco.

Le “immagini del mondo fluttuante”, infine, non sono così lontane.

UKIYOE. Il Mondo Fluttuante. Visioni dal Giappone

fino al 23/06/2024, Museo di Roma.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.