Roma Lido, roba da duri

Definire il Lido di Roma “un piede a mare” della Capitale, una specie di longa manu della metropoli sulla riva del Tirreno, è davvero improprio.
La valle del Tevere, che digrada verso la costa, tra ettari di macchia mediterranea, con i suoi popolosi quartieri di Magliana, Vitinia, Malafede, Casalbernocchi, Acilia, Dragona, Dragoncello, Ostia antica (antico porto di Roma), ed Ostia, è il quadrante più verde della Capitale, oltre che uno tra i più ricchi e densamente popolati.

Ogni giorno, una moltitudine ingente di pendolari, dal Municipio X, ma anche dal IX, si imbarca verso il centro città, per andare al lavoro, a scuola o all’università.
Ogni mattina uno studente, un impiegato, un operaio, un professionista, si alza, e sa che dovrà correre per non perdere un treno in ritardo, squinternato, ed inaffidabile, probabilmente l’ultima speranza della mattina di raggiungere la scuola, l’ufficio, il tribunale.
Perciò, quando ti svegli, in questa “terra di mezzo” (mai appellativo fu evocatore di più tristi pensieri) , non importa se tu sia studente o impiegato o operaio: comincia a correre.
Ecco uno dei motivi, probabilmente il più “pesante”, per cui i lidensi ed i loro confinanti, da decenni, hanno imparato a sentire l’Urbe come un qualcosa di lontano e per certi versi anche ostile, una sorta di Leviatano accigliato ed inospitale, ma soprattutto ingrato dei sacrifici di una vita.

Foto di Altotemi diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

La linea ferroviaria che collega i Municipi X e IX a Roma si chiama “Roma Lido”: da sempre una strada ferrata ricchissima di utenti, oggi utilizzata da circa 55.000 viaggiatori giornalieri. Fino a qualche anno fa ne fruivano 100.000 pendolari, ma quasi la metà ha mollato, ripiegando sull’uso dell’automobile, alla faccia dell’ecologia, preferendo avvelenarsi anima e polmoni su raccordo o strade urbane al collasso, pur di avere la certezza di arrivare in tempo in ufficio o a dare un esame all’università.  

Il  cuore di Roma, la città unica al mondo, insieme ad Atene, ad avere reticolo stradale che si dipana in mezzo a monumenti e testimonianze piccole e gradi di civiltà millenarie, vede ingrigire ogni giorno di più i suoi templi, gli altari, i Fori, le massicce mura Serviane, la ruvida corazza del Colosseo, le fontane barocche.

La policy cittadina degli ultimi 40 anni, di tutti i colori , da destra a sinistra, è stata per lo più costante, in merito. Considerare la Roma-Lido come una pattumiera, su cui riciclare treni malaticci e affannati, molto cagionevoli, usurati dal lungo lavoro sulle linee cittadine, e per questo “declassati” ad una strada ferrata secondaria, figlia di un dio minore.   

La Roma-Lido si conferma una delle peggiori ferrovie d’Italia. Ha vinto il poco onorevole Premio Caronte (un primato che spetta ogni anno alla peggiore linea ferroviaria del paese) per quattro anni di seguito, ma nel 2019 è scesa al secondo posto nazionale. A precederla è la Roma Nord, meglio conosciuta come Roma-Viterbo. Entrambe surclassano da anni anche la leggendaria Circumvesuviana.

La Regione Lazio, proprietaria della linea, che è affidata in concessione ad Atac, ha tentato, un po’ a singhiozzo, in questi ultimi anni, di trovare delle soluzioni. Ed ha così lanciato una gara, nel 2014, per trovare un nuovo concessionario a cui affidare un project financing, cioè un piano di gestione per rilanciare la Roma-Lido. Una sfida aperta anche a investitori europei. Dopo una trattativa molto altalenante, durata due anni, nel 2016 sembrava essere giunti ad una svolta. L’azienda pubblica che gestisce il trasporto su rotaia a Parigi, la Ratp, aveva presentato un piano di investimento e di ristrutturazione della tratta a dir poco rivoluzionario ed avveniristico. 

La stazione di Porta San Paolo della Roma-Lido. Foto di Antonello Tanteri diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

L’ammodernamento completo del parco rotabile doveva essere garantito grazie all’introduzione di 17 nuovi treni più performanti, confortevoli e a minore impatto ambientale. Il progetto prevedeva inoltre numerosi interventi per migliorare la qualità e il comfort sia del viaggio, sia del transito sulla linea (miglioramento di aree attesa, segnaletica e sistema di informazione, controlli in remoto degli impianti di servizio come ascensori, scale mobili).
Particolare attenzione veniva riservata all’incremento dei livelli sicurezza delle stazioni (rifacimento di recinzioni e video sorveglianza, controllo e assistenza ai passeggeri con squadre itineranti, nuovi impianti antincendio e rilevatori di fuoco) e al loro restauro conservativo e restyling (percorsi tattili per ipovedenti, rifacimento di sottopassi e sovrappassi, coperture delle banchine, interventi di efficienza energetica).

Tuttavia, ad un passo dalla firma del contratto, La Regione si è ritirata dall’accordo, motivando la sua scelta con l’eccessivo costo delle richieste di Ratp. Le istanze della società francese, infatti, prevedevano che nell’investimento fosse comunque riservata una quota all’intervento pubblico, e quindi la Regione avrebbe in ogni caso dovuto continuare ad intervenire con i propri capitali, nella gestione annua della linea. 

Dopo due anni di incontri e trattative, dunque, il progetto è naufragato, e tutti i suoi incartamenti sono andati direttamente a fare un giro nel Tribunale Amministrativo del Lazio, al quale la Ratp si è rivolta, chiedendo che venisse imposta alla Regione la penale di quattro milioni di euro. Il contenzioso, in prima battuta, ha dato ragione  a Ratp, che però non ha ottenuto il riconoscimento al diritto al pagamento della penale. 

La stazione di Porta San Paolo. Foto di TrainPhotographyDe diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Il tutto, mentre la nuova stazione di Acilia Sud, una vera e propria Fabbrica di San Pietro, resta un cantiere fermo ormai da anni, un cadavere abbandonato sulla via Ostiense, monumento all’inettitudine italica. Non solo continua il rimpallo di responsabilità tra Atac (cioè Comune) e Regione, ma si è scoperto da qualche tempo che il progetto non prevede alcune strutture indispensabili, come ad esempio un ponte pedonale di collegamento con la stazione, per i cittadini dei quartieri di Dragona e Dragoncello, che sono al di là della Via del Mare. 

A dicembre scorso, il Presidente della Regione Lazio Zingaretti ha annunciato che la Regione ha deciso di intervenire: prenderà in gestione direttamente la linea Roma Lido e Roma Viterbo, investendo 800 milioni di euro per nuovi treni e sulla tecnologia per avere delle linee decenti.
Chi vivrà vedrà.

Intanto, i coraggiosi ma esasperati utenti delle due linee continuano nella loro odissea quotidiana, a partire dai tornelli di ingresso alle stazioni, dove ogni abbonato pagante assiste ogni giorno impotente al salto del tornello dei dieci furbi che non comprano il biglietto, e poi sale su treni giocattolo, per un viaggio molto simile ad un tragitto in diligenza, nel vecchio west, nelle polverose terre Sioux.
Ci sono stati fenomeni di agitazione, manifestazioni di pendolari, proteste da parte di rappresentanti delle decine di migliaia di utenti. Ma nulla di davvero eclatante.
Per molto meno, i francesi, storici professionisti del dissenso e della “rivoluzione”, avrebbero attaccato la Bastiglia. Ah, no l’Eliseo. Ma fa lo stesso. Il loro cipiglio é lo stesso, da quel lontano 1789.

la stazione di Ostia Antica. Foto di Philip Mallis

Per comprendere davvero questa leggendaria e granitica tolleranza del popolo italico, è molto significativo l’episodio raccontato dallo storico Salvemini, subito dopo lo Sbarco dei Mille in Sicilia, nel 1860, quando le mitiche Giubbe Rosse, i giovani garibaldini, risalivano la penisola, liberandola dai Borbone, con furore ed entusiasmo. Uno di essi, attraversando i campi dei latifondi del meridione, incrociò un contadino che lavorava la terra. Cercò di convincerlo ad unirsi a lui, parlandogli di ideali, unità, lotta di libertà, emancipazione dagli oppressori, necessità di coraggio ed eroismo. L’agricoltore lo stette ad ascoltare perplesso, con la zappa in mano e la faccia bruciata dal sole. E alla fine replicò: “Ma il pane? Questo Garibaldi, ce lo dà il pane?”.

 

[La foto del titolo è di Massimo Angelini ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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