Salute dei pendolari? Variabile dipendente

Ogni giorno 300.000 pendolari arrivano a Roma per lavoro e si assiepano sui mezzi pubblici insieme a 600.000 studenti dell’area metropolitana: così almeno era fino al Covid.
Sono numeri cresciuti negli anni grazie a politiche che hanno spinto sempre più lavoratori verso la periferia, mentre concentravano lavoro e scuole al centro. Si viaggia su treni regionali con un’età media di 17,9 anni (+1,1% tra il 2015 e il 2019) contro i 15,4 della media nazionale (lo dice l’indagine Pendolaria 2019), su autobus nel 74,6% dei casi immatricolati prima del 2013 (nel reatino 91,7%), in un paese dove l’età media dei mezzi è 11,4 anni contro una media europea di 7,5 ( i dati sono Crca/Aci) e la produzione di bus è scesa dai 5.700 degli anni ’90 ai 500 del 2018 [e qui i numeri sono di Anfia).

Foto scattata il 27 ottobre alle 7.30 sul treno regionale 2380 di Trenitalia

A Roma l’età media dei bus è passata dai 4,9 anni del 2004 ai 10,6 del 2016. A fine anno coi nuovi acquisti dovrebbe scendere sotto i 10, ma i mezzi restano insufficienti: Atac ne usa poco più di metà, il resto è da rottamare, da riparare oppure esce dalle rimesse e si spiaggia su un marciapiede o prende fuoco per poca manutenzione (da gennaio oltre 20 roghi).
Nel 2018 la forbice tra servizio programmato ed effettivo è stata del 17% per Atac e del 13% per Roma Tpl e nel quinquennio precedente le corse di superficie perse sono quintuplicate. A Madrid solo il 32% dei residenti ha un’auto e il 39% degli spostamenti avviene su mezzi pubblici, a Berlino 35% e 44%, a Londra 36% e 52,2%, a Parigi 45% e 69%. A Roma invece siamo rispettivamente al 62% e al 19% (è sempre Pendolaria a dirlo). Altro che Green New Deal.

Questa sfilza di dati ci dice una cosa molto semplice, e cioè che quanto che sta accadendo sui mezzi pubblici è solo il prevedibile effetto di uno dei possibili eventi straordinari – in questo caso il virus, ma poteva essere un attentato o un attacco hacker, un blackout o una calamità naturale – su un trasporto pubblico che a stento regge l’ordinario.
Una débacle che non questo o quel partito o amministratore, ma un’intera classe politica senza eccezioni – nazionale, regionale e cittadina – prima ha reso possibile, poi non ha previsto (il piano nazionale antipandemico non viene aggiornato dal 2010) e infine oggi dimostra di non sapere/volere affrontare.

Alla dèbacle i nostri Raggi e Zingaretti, Conte e De Micheli replicano con un variegato repertorio di espedienti retorici. Primo: negare. La ressa alle fermate, nelle stazioni e sui mezzi è una “percezione”, “studi internazionali” mostrano che sul trasporto pubblico i contagi sono pari all’1,2% (poi si scopre che lo studio citato riguarda il contagio su treni, navi e aerei… in Francia).

Secondo: spostare l’attenzione. La gente si accalca nelle ore di punta? Loro vanno a inaugurare bus e treni nuovi in favor di telecamere e postano sui social. Le corse evaporano dagli schermi? E loro annunciano con cipiglio da Napoleone ad Austerlitz di aver già “predisposto il piano”, “costruito sinergie”, “sollecitato gli altri enti” (che un po’ di scaricabarile non guasta, soprattutto in vista delle elezioni) e “stanziato fondi”, gli stessi fondi evocati a ripetizione che girano in tondo come i carri armati di Mussolini. Tutte cose di cui, beninteso, nel mondo reale non si notano gli effetti, o perché sono state fatte il giorno prima invece che a tempo debito (vedi differenziare gli orari scolastici e fare i bandi per i bus turistici a metà ottobre) o perché smentite dai fatti (vedi “Smart working al 75%!”, mentre le aziende statali fanno tornare i dipendenti in ufficio).

Terzo: scaricare le responsabilità sui comportamenti individuali. I passeggeri viaggiano stipati su mezzi ufficialmente sanificati ma zozzi già alla prima corsa? La Regione Lazio proroga tre volte in sei mesi i termini del bando per l’acquisto dei nuovi treni per le ferrovie ex concesse? “Piazza Pulita” mostra che negli ospedali romani non si fanno tamponi agli operatori? Nei drive in si fanno code da 10-12 ore? E infine il tracciamento non funziona e mancano i tamponi? Puntuale come un orologio svizzero arriva il dato scientifico: il 75% dei contagi avviene in famiglia. Stipatevi sereni nei feriali, ma, per carità, non andate a pranzo dai suoceri la domenica. Siate responsabili, voi.

L’aspetto più inquietante però, perché così sfacciatamente sotto gli occhi di tutti e altrettanto sfacciatamente ignorato, è un altro. Il 31 agosto hanno aumentato la capienza dei mezzi all’80%. Lo hanno fatto in base a nuove evidenze scientifiche? No, lo hanno fatto perché governatori e sindaci, senza distinzioni di partito, hanno detto che col 50% non avrebbero garantito il servizio.
Insomma siccome non si era provveduto a differenziare gli orari scolastici e lavorativi, a fermare il ritorno negli uffici, ad aumentare i mezzi, si è deciso di infrangere quella che fino al giorno prima era la soglia di sicurezza invalicabile, cioè invece di adeguare il servizio alle esigenze sanitarie si è fatto il contrario, un po’ come Donat Cattin fece con l’atrazina negli anni Ottanta.

Un merito però a Raggi e Zingaretti, Conte e De Micheli, dobbiamo riconoscerlo e cioè che così facendo hanno detto a chiare lettere ai lavoratori pendolari e agli studenti che la loro salute è una x, una variabile dipendente: conta meno delle esigenze di quei soggetti più influenti e danarosi coi quali invece, quando battono i pugni sul tavolo, la politica è sempre pronta a piegarsi, quelli, per intenderci, che prendono i treni dove i posti a sedere sono rimasti a scacchiera o i voli dove si fanno i tamponi rapidi prima di salire. E quindi grazie per averci aperto gli occhi: stavolta forse impareremo la lezione.

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