Il Pd a Roma s’è perso

Il Partito Democratico deve delle spiegazioni ai romani, le deve alla città intera. Non è possibile che dia l’impressione, tanto per essere gentili, di arrivare impreparato alle elezioni comunali. Non manca solo un nome che possa guidare una coalizione, sembra mancare anche quel collante di passioni e idee che tiene insieme le persone.
Le stesse primarie che in questi ultimi anni sono state un tratto identificativo dei democratici sono avvolte in una nebulosa. Non c’è mai nessuno che dica apertamente che non si faranno, però nessuno riesce a mettersi davanti a un calendario e stabilire una data.

In tutto ciò non c’entra nulla il Covid, perché i mezzi e i modi per votare in sicurezza si possono trovare. Del resto non sono il Pd e il resto delle vociferanti personalità pubbliche che un giorno sì e pure l’altro ci raccontano di una situazione eccezionale, provocata dalla pandemia, alla quale bisogna rispondere  con altrettanta forza? Non ci dicono che il futuro ci consegna sfide enormi e grandi cambiamenti, che tutto non sarà più come prima e che quindi ci vuole una mentalità differente eccetera eccetera?
Insomma queste infinite parole chi volete mai che se le beva, se non riuscite nemmeno a mettervi d’accordo su un minimo comun denominatore.

La candidatura di Roberto Gualtieri è diventata una barzelletta. Quanto accaduto in queste settimane con l’ex ministro dell’economia è ridicolo e finisce per danneggiare sia la sua figura che l’insieme dell’ipotetica coalizione di centrosinistra.
Gualtieri è stato prima corteggiato da Nicola Zingaretti, per essere poi congelato da Enrico Letta. Lui stesso fa sapere che ci deve pensare, con lo scopo, almeno spero, di dimostrare che la sua è una scelta ponderata. Ma un attimo dopo sappiamo che sta studiando i bilanci di Roma Capitale. Non finisce qui, trapela addirittura la voce che tutto sia in alto mare, che Gualtieri sia il classico nome di chi entra Papa in conclave e ne esce fuori cardinale.

E ne vogliamo parlare, del sempre risorgente nome di David Sassoli? Lui a Roma è pronto a prendere una caffè in compagnia al Sant’Eustachio, per il resto niente. Non se ne parla, non ci pensa nemmeno a spostarsi dal Parlamento europeo. Chi cazzo m’o fa fà, dicono a Roma. Ugualmente renitente è Zingaretti: già in passato lo volevano mettere in pista per l’affaccio più bello di Roma, lì dove si trova l’ufficio del sindaco, ma lui continua a sottrarsi. Pur avendo espresso la sua indisponibilità diverse volte, c’è chi continua a ritenerlo in gioco, a determinate condizioni. Sarà vero?

In quel ginepraio del Partito Democratico sembra, almeno dall’esterno, che ci si arrovelli su un unico punto: l’alleanza giallorossa! Per quei pochi che ancora non ne fossero a conoscenza, ricordiamo che non si tratta di calcio, ma dello strategico matrimonio in seconde nozze (i pentastallati in precedenza s’erano ammogliati con la destra a livello nazionale), tra democratici e grillini in fase calante.
Un matrimonio particolare, perché la sposa corre già e non aspetta lo sposo, si tratta di Virginia Raggi che è candidata a nome del Movimento. Evidentemente non è questa l’accoppiata vincente a cui bramano i democratici, loro vogliono il Movimento 5 Stelle senza la sindaca uscente. E allora è tutto un perdersi in ragionamenti in attesa che qualcuno sottragga i simboli alla Raggi, tanto lei è già pronta a tirare su una sua lista.

A Roma è palese che non ci sono le giuste condizioni per una alleanza con i 5 Stelle. Non c’è bisogno di tavoli e riunioni e incontri per capirlo. I romani, al di là delle coalizioni, hanno bisogno di cuore e competenza, di parole chiare, di impegni e fiducia, perché sì, i prossimi anni saranno duri, e questa città non può essere guidata da gente che non si sporca le mani.

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