Cinque sfumature di rosso

“Rosso, rosso pompeiano, arancio aragosta, viola, blu tenebra”. Sono le diverse sfumature assunte dal volto del celeberrimo ragionier Ugo – interpretato da Paolo Villaggio – ne “Il secondo tragico Fantozzi”, durante la cena di gala nella villa dei conti Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare, dopo aver inghiottito un tordo.

Come forse chi ha visto quel film ricorderà, sul blu tenebra, Fantozzi andò in coma cardiorespiratorio. È questa un’ipotesi da non escludere anche per la sinistra romana, dilaniata da divisioni e lotte interne, a volte più di forma che di sostanza, che la porteranno a marciare divisa – senza probabilmente poter colpire unita – nell’imminente sfida per le elezioni comunali capitoline.

Cinque diverse sfumature di rosso appariranno, dunque, sulle schede elettorali – a cui potrebbero, in futuro, aggiungersi anche delle altre – con diversi partiti, movimenti e coalizioni di sinistra che si presenteranno davanti al giudizio dei cittadini.
Quali sono, per la precisione? Vediamoli più da vicino, conoscendo, nel contempo, i futuri candidati alla carica di sindaco, che ciascuno dei raggruppamenti ha scelto quale proprio campione.

Arancio aragosta: Carlo Calenda

È una sinistra elegante e bon ton, “aragosta e martello”, quella che mette insieme i renziani di Italia Viva e il partito dello stesso Calenda, Azione, oltre a qualche civico, che è un classico che va sempre su tutto.

Nonostante le ripetute accuse di “pariolinismo”, era partito abbastanza bene il figlio della signora Comencini, con il suo piglio da manager, da persona competente, da tipo che supera i vecchi steccati, che abbandona l’antifascismo di maniera – quello che a sinistra va ancora troppo di moda – e dialoga anche con l’elettorato altrui.

Si era persino messo a offrire tartine d’aragosta e un prosecchino, gratis, ai cittadini un po’ più periferici, sia dalle parti di Torbella che d’OltreGra, zone le cui mappe si era fatto prestare dal Faina. Pareva, insomma, proprio uno che ci sa fare, che non sbaglia un colpo, ricco ma democratico, chic ma popolare, abile comunicatore ed efficace risolutore: un vero mister Wolf che risolve i problemi.

Poi, però, gli è comparso sulla strada l’alter ego, quello che la furba Giorgia Meloni gli ha piazzato lungo il cammino: un candidato di destra, di nome Enrico Michetti, che ha proprio l’aria di uno competente, di uno che supera i vecchi steccati, di un abile comunicatore, di uno che parla agli elettori di destra ma anche a quelli di sinistra, al centro e alla periferia. E, soprattutto, di uno che i giornali hanno presentato proprio come “Mr Wolf, che risolve i problemi”.

E adesso? Adesso, o Calenda s’inventa qualcosa in più, o il sor Michetti rischia di fargli ombra e di fregargli il cuore del suo business. Carlo parla di sgomberi, ma Enrico lo ha già fatto un attimo prima. Carlo parla di una squadra di gente seria, ma Enrico l’ha già presentata alla stampa.
Per Calenda urge rapidamente una nuova sceneggiatura, magari una di quelle belle che una volta sapeva scrivere sua madre, o una da ritrovare in qualche cassetto, a firma della buonanima di nonno Luigi. Altrimenti la proiezione del suo film andrà avanti lo stesso, ma molti spettatori rischiano di uscire dalla sala a spettacolo in corso.

Rosso pompeiano: Roberto Gualtieri

Anche se è stato eletto alla Camera e non a Palazzo Madama, a Gualtieri, oltre al rosso pompeiano, potrebbe adattarsi molto bene anche il rosso porpora, il colore che fu per secoli quello delle vesti degli antichi senatori dell’Urbe.

Personalità seria, compassata, a volte un po’ ingessata, spesso imbalsamata, talvolta rigida al limite del rigor mortis, la sua candidatura – in teoria – rappresenta un ampio spettro di forze e di anime, in un’articolatissima coalizione di centrosinistra che, sulla carta, passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa, proprio come piace a Jovanotti. Quella coalizione che ha suscitato l’entusiasmo delle folle alle primarie, la sfida interna da lui recentemente vinta, nell’indifferenza dei più.

Con Gualtieri, c’è dunque la sinistra che prova a dipingersi ancora un po’ di sinistra e che il 20 giugno si coagulava attorno a Stefano Fassina, poi c’è l’associazionismo cattolico, ci sono i socialisti, c’è il mondo LGBT, ci sono gli immancabili civici, i nostalgici di Ignazio Marino, la comunità ebraica, c’è il PD con tutte le sue correnti, in perenne competizione interna, ci sono persino i Verdi e gli Animalisti, anche se nessuno se ne è accorto e, a dire il vero, non se ne sono accorti neanche loro stessi.

Insomma, quella di Gualtieri è un’ampia, ricca e invincibile armata, capace di fare sconquassi. Peccato solo che il condottiero abbia il fare deciso di un tenero barboncino, il carisma di un usciere del catasto, il fascino di un Cagliari-Genoa all’ultima di campionato, quando le due squadre hanno già mancato qualunque obiettivo, pur non rischiando più di retrocedere.

Il rosso pompeiano di Gualtieri, in futuro, farà però la gioia degli archeologi e dei critici d’arte di tutto il mondo, quando, fra qualche secolo, torneranno alla luce, intatti, i resti di quel centrosinistra seppellito dalla cenere, dopo l’eruzione provocata dalle elezioni amministrative di ottobre. O, almeno, così profetizzano molti suoi detrattori.

Viola: Paolo Berdini

A qualcuno ricorda un Popolo Viola 2.0 il raggruppamento di sigle, associazioni e movimenti che si è coagulato attorno a Paolo Berdini e forse, come quello, è destinato alle stesse magnifiche sorti e progressive.

L’ex assessore all’Urbanistica degli esordi da sindaca di Virginia Raggi – da cui si allontanò polemicamente quasi subito – primo di una lunga scia di sangue, che ha lasciato sul campo praticamente tutti i componenti dell’originaria giunta grillina, era partito già quasi due anni fa col suo progetto, nell’intento di fare convergere attorno alla propria figura un ampio gruppo di “No Dem” e di scontenti del Movimento, per creare una vasta alleanza di sinistra, alternativa sia al PD che a M5S.

Giorno dopo giorno, il tentativo ha avuto il merito di perdere pezzi in modo equanime e bipartisan, sia verso la propria destra che verso la propria sinistra. Da una parte Stefano Fassina e Cristina Grancio, un tempo vicini a Berdini, hanno pensato bene di abbandonare la nave “No Dem” e di presentarsi candidati alle primarie di centrosinistra, tornando in casa del nemico, come due figlioli prodighi a cui sacrificare il vitello grasso. Dall’altra, anche Potere al Popolo e vari cespugli, hanno preso la via della fuga, svicolando però verso sinistra, dopo aver sentito una strana – anche se più volte smentita – aria di convergenza al secondo turno col PD e i suoi satelliti, da parte del dottor Paolo.

Così, l’urbanista ed ex assessore, ha comunque ufficializzato la propria candidatura pochi giorni fa, con attorno un gruppo di entusiasti fedelissimi: pochi, ma sicuramente buoni, anzi ottimi. Tra questi, i componenti del movimento politico Diem – nome latino, ma dall’origine greca – un movimento internazionale, fondato dall’ex ministro ellenico Yanis Varoufakis, che alle elezioni europee del 2019, presentatosi un po’ ovunque, riuscì a non fare eleggere nessuno in nessun paese del continente, neanche Varoufakis stesso, il suo creatore e guru.

Rosso: Elisabetta Canitano

Indomabile come un mohicano di fine settecento, Potere al Popolo continua a fare sentire la propria presenza, quella di un movimento di sinistra che fa ancora la sinistra, proprio come si faceva una volta: le bandiere rosse al vento, gli slogan quasi anni settanta, la proprietà che continua ad essere un furto, o giù di lì.
Peccato soltanto che PAP di potere ne abbia davvero ben poco e che anche di popolo che segua le sue lotte, perlomeno nella cabina elettorale, ve ne siano solo rare tracce, quasi impercettibili ad occhio nudo.

A tenere alta la bandiera delle eroiche battaglie politiche di questo movimento, a Roma, è la dottoressa Elisabetta Canitano: ginecologa, attivissima e irrefrenabile paladina della sanità pubblica e delle lotte dei lavoratori. Una che col PD e le altre componenti di centrosinistra, ha già avviato un promettente dialogo, a colpi di melliflue dichiarazioni, tutte più o meno su questa lunghezza d’onda: “Il Partito Democratico è il principale nemico sociale, servo della Confindustria”.

Ovvio che, date le premesse, il tentativo di collaborazione con quell’altra sinistra, quella targata Berdini, di cui si parlava poc’anzi, sia naufragata di fronte al primo “Vedremo”, pronunciato dall’urbanista di fronte alla domanda “Ma se Gualtieri andasse al ballottaggio, voi lo appoggerete?”.

Dunque, tra PAP e i Paolo boys, nonostante qualche timida avance per provare a unire le forze, sarà ufficialmente derby, senza esclusioni di colpi: à la guerre comme à la guerre! E anche à la gauche comme à la gauche, mentre su entrambe le barricate si canterà a squarciagola: “Bandiera rossa la trionferà!”.

Blu tenebra: Marco Rizzo

Un fantasma si aggira per l’Italia, dunque anche per Roma: è il fantasma del Partito Comunista di Marco Rizzo, quello spirito indomito che si muove tenebroso nella notte, nemico giurato del capitalismo, dell’Europa delle banche e del pensiero unico borghese. Il quale pensiero unico reagisce al terrore, accusando a sua volta il PC di ogni nefandezza, fosse anche la vecchia e sempre valida leggenda, mai passata di moda, di mangiare bambini in un sol boccone.

Vetero marxista, fedele alla linea, orfano di Togliatti, dell’URSS e della DDR di Eric Honecker – quanto e più di una frau Christiane Kerner, la protagonista di “Goodbye Lenin” – Marco Rizzo non ha mai rinunciato al sogno di rimettere in produzione un nuovo modello di Trabant e d’inscatolare tonnellate di cetriolini della Spreewald, né a quello di conquistare lo spazio e le galassie, con un gruppo di cosmonauti proletari, saliti a bordo di una fiammante Sojuz.

Accusato di “rossobrunismo” – come ormai va di moda quando qualcuno dice cose di sinistra, tanta è la disabitudine a sentirle pronunciare, fin dal lontano 1989 –  cioè di strizzare l’occhio, da sinistra, alla destra sociale e antisistema, dalla quale obiettivamente lui è piuttosto amato, Marco Rizzo ha, da tempo, deciso di partecipare in perfetta e orgogliosa solitudine ad ogni tornata elettorale.

Roma, dicevamo, non farà eccezione, anche se nella Capitale – e qui il tono scherzoso e sarcastico di questo articolo lascia il posto a una sincera commozione – Rizzo ha dovuto cambiare in corsa il proprio candidato sindaco, data la prematura scomparsa del professor Claudio Puoti, epatologo e gastroenterologo, scelto inizialmente dal Partito Comunista quale possibile primo cittadino, stroncato pochi giorni fa da un infarto.

Ai suoi familiari, amici e compagni, vanno dunque le nostre sentite condoglianze. Un in bocca al lupo, invece, a Micaela Quintavalle, sindacalista Atac e già pasionaria vicina al Movimento 5 Stelle, che – è notizia abbastanza fresca – è stata scelta a sostituire Puoti nella sifda al Campidoglio.

 

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