Eurovision, sconfitta annunciata

Che Roma sia la Capitale d’Italia è cosa nota: che sia anche la capitale musicale, purtroppo, non è mai stato vero, e il Comitato che sceglierà la sede dell’Eurovision 2022 – che arriva all’Italia dopo la vittoria dei romani Maneskin a Rotterdam quest’anno – lo ha certificato ufficialmente.

Roma non ha una struttura adatta per ospitare la manifestazione, hanno concluso infatti (secondo il quotidiano “Il resto del Carlino) i tecnici dello European Broadcasting Union, cioè l’associazione delle emittenti pubbliche europee, che ora deve scegliere tra Milano, Torino, Bologna, Rimini e Pesaro. Cinque città rimaste in gara dopo le precedenti scremature: all’inizio, infatti, erano 17 le candidate a ospitare l’Eurofestival, nato sulla falsariga di Sanremo.

I criteri per ospitare l’Eurovision sono piuttosto chiari, anche in tempi di Covid: la presenza di una struttura al coperto in grado di ospitare almeno 8.000 spettatori; la disponibilità di almeno 2.000 stanze d’albergo nelle vicinanze del luogo dell’evento; la presenza di un aeroporto internazionale ben collegato e distante meno di un’ora e mezza dalla sede dell’evento; la disponibilità di una struttura logistica attorno all’area principale, dotata di centro stampa per mille giornalisti, oltre che di servizi per il pubblico come bagni e punti ristoro per il cibo e le bevande; la disponibilità esclusiva dell’intera infrastruttura per 6 settimane prima dell’evento, le 2 settimane dello show e la settimana successiva.

Ora, Roma ha di sicuro un aeroporto vicino e 2.000 stanze d’albergo, ma gli manca, storicamente, uno spazio adatto per i concerti al coperto. Si tratta di una mancanza storica: noi romani ci siamo sempre dovuti accontentare al massimo del Palaeur, una struttura che conta ufficialmente 11.000 posti, ma dall’acustica terribile, e senza una struttura logistica attorno. Il pur ottimo Auditorium ha una capienza inferiore ai 3.000 posti. Molti concerti sono ospitati all’Atlantico Live, che però è davvero poco più di un capannone. Poi c’è la Nuova Fiera di Roma, che però può assicurare una capienza massima di 5.000 posti in un unico padiglione, e non sembra prestarsi a concerti.

Certo, abbiamo lo Stadio Olimpico, ma è all’aperto. E anche così, giova ricordare che da decenni band e artisti più importanti si esibiscono pure d’estate non a Roma, ma al Nord, o al massimo in Toscana.

Qui dunque il problema non è la scelta di non candidarsi, come è stato per le Olimpiadi. Ma è una questione strutturale, decennale, di programmazione urbanistica: stavolta non è colpa della giunta comunale di Virginia Raggi. Basta pensare a quanti anni sono passati da quando Renato Zero propose la sua Fonopoli, finita nel dimenticatoio.

Certo, dispiace, anche pensando che i Maneskin sono romani. E a quanto sia importante oggi la scena musicale capitolina. Ma, per fare un esempio, l’ultima edizione dell’Eurovision Song Contest, quella di quest’anno, è andata in scena a Rotterdam, non ad Amsterdam. Nel 2011 la sede era Dusseldurf, non Berlino. Nel 2013 Malmo, non Stoccolma. Eccezioni, certo. Ma il punto sono le scelte che si fanno nel corso degli anni. Non si può costruire un complesso musicale così vasto e importante in pochi anni.

Poi, è anche il caso di chiedersi se valga la pena, oggi, di realizzare un polo musicale romano di dimensioni così vaste, senza che la cosa si trasformi in un’ennesima operazione speculativa. Serve davvero, visto quanto costano oggi i biglietti dei concerti? E davvero i nomi più importanti della musica scenderebbero fino a Roma? 

[La foto del titolo è di Brianna Laugher ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

 

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