A Roma la morte fa ridere

Non so se la colpa sia davvero di Taffo, come dice un mio amico parlando della moltiplicazione – almeno a Roma – di manifesti pubblicitari e inserzioni sui social media di certe agenzie di onoranze funebri, che ricorrono a giochi di parole e scherzi un poco dozzinali per fare la reclame di funerali low cost e bare a prezzo di saldo. Ma la cosa sembra essere sfuggita un po’ di mano ai creativi, o forse ai loro committenti, scatenati nella ricorsa appunto a Taffo, l’agenzia abruzzese – ma ormai presente in tutto il centro Italia – fondata ben 80 anni fa e diventata famosa nell’ultimo lustro per il suo humor nero.

Sui social Fabozzi, una storica agenzia nata negli anni Quaranta, propone in questi giorni il suo claim “Sorridi, se sei testimonial della pubblicità Fabozzi”, con la foto di una donna niente affatto felice e che fa le corna. Un altro slogan è “Il miglior servizio quando non puoi farne a meno”, accompagnato dallo scatto di un uomo – un “giovane anziano”, per così dire – che indossa una scoppola e fa anche lui il noto gesto apotropaico. 

Ma Fabozzi, in realtà, non è l’ultimo arrivato in fatto di pubblicità macabra. Già nei primi anni Novanta, l’agenzia di Centocelle aveva lanciato una campagna in stile Pubblicità Progresso giocando proprio su slogan provocatori. “Schianti classico”, oppure “Perché arrivare prima?”, rimandavano, con tanto di disegni d’autore, alla sicurezza stradale, ai rischi del bere alcol prima di mettersi al volante oppure dell’eccesso di velocità. Mentre “Quanto sfumi al giorno?” ammoniva il pubblico sui rischi del tabacco. All’epoca, la curiosa scelta di marketing era valsa a Fabozzi una serie di articoli sui giornali.

Exequia è un’altra agenzia romana che ha scelto da qualche tempo lo stile taffiano: “C’è chi bara e chi non bara”, dice una delle sue pubblicità, che mette in guardia contro “gli avvoltoi”, cioè i rappresentanti di pompe funebri che approfittando del momento triste, piombano magari direttamente in ospedale e propongono soluzioni costose ai familiari della persona deceduta. Mentre l’agenzia romana San Marco già nel 2015 aveva lanciato una speciale promozione, dal titolo “Weekend con il morto”, proponendo una vacanza omaggio per ogni funerale.

 

Il fatto di scherzare con la morte può essere interpretato come una mancanza di rispetto, per i defunti ma anche per chi resta, col suo fardello di dolore. Ma questa inclinazione macabra è anche un modo di accettare la nostra finitudine, ammettere che la morte è parte della vita, e che dunque si può scherzare su tutto (una considerazione laica, questa, con cui forse non tutti saranno d’accordo). 

E poi, come scriveva anni fa un quotidiano a proposito di una ricerca condotta negli Stati Uniti proprio sulla relazione tra umorismo e morte, “l’umorismo (sulla morte) aiuta le persone a tollerare l’ansia latente che potrebbe altrimenti essere destabilizzante”. O, come raccontava un paio d’anni fa Agnes Innerhofer, responsabile del Servizio Hospice della Caritas dell’Alto Adige, ai volontari, “l’umorismo aiuta ad affrontare più facilmente l’inevitabile, ne attenua la minaccia, diminuisce la rabbia e la paura, crea vicinanza”.

L’umorismo nero pubblicitario – che non è più solo romano: a quanto pare, si sta diffondendo anche in altre città, e non so se ce ne dovremmo rallegare – in qualche modo segna anche  una certa continuità con una stile narrativo funebre romano. A scorrere le raccolte di epitaffi della città fondata da Romolo, ci si imbatte per esempio in frasi come queste:
Qui riposano in pace le mie ossa: è ciò che resta di un uomo.
Non mi preoccupa il pensiero di sentirmi affamato,
sono libero dalle malattie, né mi capiterà più di dover garantire un prestito.
Usufruisco per sempre di un alloggio gratuito”.

Oppure:
Qui riposa Leburna, maestro di recitazione,
che visse più o meno cent’anni.
Son morto tante volte, ma così, mai!
A voi, lassù, auguro buona salute”.

Poi, certo, c’è il tradizionale cinismo dei romani, il loro “humour perfido e scanzonato”, come lo chiama Gregorio Sorgi. Perché il cinismo – nel senso di “sprezzo e beffarda indifferenza” – è parente dello humor nero.

L’ironia delle pompe funebri sulla morte, però, non piace a certi comici. Per esempio, è il caso di Saverio Raimondo, che il mese scorso, sul Foglio, ha scritto un j’accuse spiegando che “l’umorismo sulla morte è una cosa seria, anzi, di più: la morte è la causa dell’umorismo, e vederlo banalizzato da Taffo & co. è rivoltante”. Con tanto di invito finale: “Boicottiamo la morte!”. Proposta di non facilissima attuazione, ma certamente interessante. 

Forse Raimondo ha ragione, però. Bisogna essere capaci di far ridere, ci vuole mestiere. Come non tutte le barzellette sono divertenti allo stesso modo, così anche gli slogan pubblicitari. Quindi il problema non è tanto la moltiplicazione di uno stile, quanto la qualità. Insomma, servono copywriter con qualche idea in più, che faccia ridere davvero della morte.

[Nella foto del titolo, la tomba dell’intrattenitore tv Gianfranco Funari]

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