Io e i cinghiali

I cinghiali romani, c’è poco da fare, a vederli da molto vicino, un po’ di paura la incutono. Non fosse altro per la loro stazza. Cinghiali che poi “romani” lo sono per modo di dire. In realtà, gli ungulati che da qualche anno scorrazzano per le vie dell’Urbe – riempiendo le pagine dei giornali non solo locali – sono infatti i discendenti di quelli che, negli anni Ottanta del secolo scorso, vennero importati qui dai Balcani, per rimpolpare la popolazione autoctona.

I cinghiali nostrani, all’epoca, sembravano avviati verso una potenziale estinzione, con grande scorno soprattutto dei cacciatori, che temevano di perdere il loro principale passatempo, la loro migliore preda e il condimento più gustoso per le loro pappardelle. Perciò, furono proprio i cacciatori, che, con metodi leciti e a volte anche meno leciti, agevolarono in ogni modo gli arrivi dall’estero, caricando numerosi esemplari balcanici e trasportandoli qui.

Dunque, i cinghiali che attualmente vivono nella Capitale, sono romani sì, ma quasi tutti “di seconda generazione”, un po’ come i figli di certi immigrati extracomunitari. Rispetto agli italiani “doc”, gli ungulati dell’Est Europa risultano essere di dimensioni notevolmente più grandi, circa il doppio, col pelo leggermente più scuro. Sono anche decisamente più prolifici e resistenti dei cinghiali nostrani. D’altronde, si tratta di razze abituate a vivere con temperature molto più rigide, in boschi popolati dai lupi, cioè dai loro principali, se non unici – uomo a parte – predatori.

Una volta trasportati in Italia, questi animali hanno perciò trovato un habitat ideale, privo di grossi pericoli e si sono moltiplicati rapidamente, in modo esponenziale, ibridandosi con le razze locali e, in alcuni casi, persino con i maiali. Di questi ibridi, che solitamente hanno zanne meno pronunciate dei loro progenitori serbi, bosniaci o rumeni, ventuno, al momento attuale – questo il conteggio ufficioso, dopo le ultime cucciolate – gozzovigliano quotidianamente nel mio giardino di casa.

 

La convivenza…

D’altronde, io vivo quasi ai confini della città. La mia è una delle ultime case abitate, prima che inizi il territorio della Riserva Naturale della Marcigliana. Una casa al piano terra, in un complesso di quattro abitazioni, con un grande giardino condominiale. Perciò, non è raro, per me, vedere animali, più o meno selvatici, che girano nella zona. È il bello di questo quartiere. Di tanto in tanto mi capita, dunque, d’incrociare qualche volpe. Una volta m’imbattei in una coppia di istrici. E poi scoiattoli, rane, talpe, gufi. Certo però, ventuno cinghiali, con frequenza costante, quotidiana, è qualcosa di un po’ più impegnativo.

La convivenza con loro non è semplicissima, anche se inevitabile. Contenere e allontanare i cinghiali è infatti molto difficile, se non proprio impossibile. Hanno forza, agilità e capacità sufficienti per aggirare o abbattere muretti, staccionate, reti di recinzione e qualunque ostacolo trovino lungo il cammino. Sono anche animali intelligenti, capaci di fare tesoro delle proprie esperienze. E capaci, ad esempio, di azionare da soli, per bere, la leva di un rubinetto. O di aprire un bidone per ispezionarne il contenuto.

Proprio per questo, nelle vie intorno casa – in una zona in cui vige il sistema della raccolta porta a porta e gli abitanti lasciano in strada dei piccoli bidoncini, che, in teoria, dovrebbero venire svuotati dall’Ama – l’asfalto è costantemente ricoperto da un leggero strato d’immondizia: risultato dell’opera di sversamento dei bidoni, fatta ogni sera dai cinghiali.

A poco o nulla serve bloccare quei bidoncini con catene, lucchetti, o altri sistemi “anti ungulati”. Per questo, molti abitanti, hanno cominciato ad adottare soluzioni diverse, come quella di andare a gettare l’immondizia lontano da casa, nei quartieri in cui ancora vige il sistema dei cassonetti. Cosa che, a prima vista, può sembrare una soluzione poco ambientalista, ma, di fatto, è l’unico modo per evitare che umido, carta, plastica, dopo il passaggio di qualche branco, si mescoli in una indifferenziata “en plein air”.

Problemi forse un po’ più seri, incorrono poi nelle tenute agricole e negli orti urbani della zona. Ce ne sono diversi, qui intorno. Il passaggio dei cinghiali comporta, infatti, un lungo lavorio, col muso e con le zampe, per scavare la terra alla ricerca di germogli, di radici, di ghiande, di vermi o di altri piccoli animali. E se quella terra smossa, alla ricerca di cibo, era stata appena coltivata a melanzane, zucchine o pomodori, allora addio raccolto. I cinghiali sono meticolosi nel loro lavoro, perciò risultano, di fatto, un ottimo “diserbante”, capace a volte di non far ricrescere, per diversi mesi, nemmeno un filo d’erba dopo il loro passaggio.

 

Can che abbaia…

Quello che invece, qui, non è mai accaduto – a quanto mi risulti – sono quegli episodi di aggressione verso le persone o gli animali domestici, di cui a volte si legge sui giornali. Questi cinghiali sono infatti minacciosi nell’aspetto, ma decisamente mansueti nei comportamenti. Il loro arrivo è puntualmente segnalato dall’abbaiare dei cani della zona, che ne avvertono la presenza già a distanza e cominciano a ringhiargli contro.

Su ogni manuale, o sui tutorial presenti sul web, si dice spesso che i cinghiali vengano impauriti dalla presenza e dall’odore degli uomini e da quello dei cani, animali simili ai lupi, cioè ai loro principali predatori. Ma i cinghiali della Marcigliana, probabilmente, non devono avere mai letto quei manuali, né visto quei tutorial. La convivenza con uomini e cani è talmente abituale e scontata per loro, che ormai nessun uomo e meno che mai nessun pastore tedesco, nessun maremmano rabbioso, riesce più ad impensierirli.

D’altronde, come in un vecchio e sempre valido proverbio, i cani della zona abbaiano fortissimo, ma non mordono mai nessun cinghiale, sapendo bene che in uno scontro ravvicinato potrebbero anche avere la peggio. Lo stesso vale all’inverso, coi cinghiali che lasciano fare, anche se a volte fingono di attaccare, però guardandosi sempre bene dal farlo per davvero.

Anche col mio di cane, e con quello del mio vicino, si ripropone ogni giorno questo meccanismo. Verso l’imbrunire, comincia la replica dello stesso spettacolo quotidiano, un immutabile balletto, preceduto da latrati e ululati, una musica che ha quasi la funzione di “ouverture”. Ecco allora, dopo una breve attesa, che entrano in scena i cinghiali, quei ventuno cinghiali di cui parlavo all’inizio, se si contano, oltre agli esemplari già adulti, le torme di cuccioli: dei simpatici piccoletti, molto vivaci e col pelo a strisce.

Quando i cinghiali si palesano alla vista, i cani iniziano a ringhiare, sempre più inferociti, finendo poi per avventarsi verso di loro. Ben attenti, però, nel fermarsi a non meno di due metri di distanza, evitando in tal modo ogni rischioso contatto fisico. A volte i cinghiali arretrano, altre volte restano incuranti. Poi, all’improvviso, uno degli adulti si blocca e punta i cani. A quel punto sono i cani ad arretrare, mentre i cinghiali avanzano. Ben presto, i cani riprendono vigore e coraggio e, abbaiando e avanzando, fanno nuovamente arretrare il branco. Finché uno degli adulti non si fa un’altra volta minaccioso… E così via, come in una danza, che dura fino al tramonto, quando, finalmente, i cinghiali si allontanano definitivamente e torna la quiete. Lo stesso spettacolo si replica ogni sera in tutti i giardini del vicinato.

Gli occhi della madre…

Dunque, ormai, per chi abita qui, la presenza dei cinghiali viene percepita come un fatto sì fastidioso, ma quasi folkloristico. Né io né nessun altro ci preoccupiamo più di tanto, quando li sentiamo arrivare. Certo, l’erba dei giardini resta piena di buche ed esteticamente non appare bellissima. E, a volte, ci tocca pure arrivare tardi a qualche appuntamento: non è infatti agevolissimo andare a prendere l’auto per uscire, quando è circondata da ventuno ungulati. Perciò, prima di farlo, capita spesso di dover attendere che il branco sciami, con buona pace di chi aspettava altrove.

Ma, al di là di episodi come questo, altri reali problemi non si sono finora verificati. Una sera – aveva appena fatto buio – con alcuni cinghiali mi ci trovai “vis à vis” nella notte. Fu una scena quasi da film western, con io e loro fermi immobili, l’uno di fronte agli altri, a pochissima distanza, a fissarci negli occhi, pronti ad attaccare alla prima esitazione, come in una sfida all’Ok Corral. In effetti, a un certo punto, uno dei cinghiali parve intenzionato ad attaccarmi davvero. Per un attimo il mio timore fu forte. Ma, dopo aver fatto mezzo passo in avanti, l’animale arretrò subito e scappò via di corsa, molto ma molto più spaventato lui di me.

Così, adesso, quando ci guardiamo negli occhi, non c’è più timore reciproco, ma solo messaggi silenziosi che ci scambiamo gli uni con gli altri. Loro, in silenzio, mi chiedono cortesemente di fargli fare il loro lavoro da animali e farli mangiare un po’, con buona pace dell’uniformità del prato. Io, sempre in silenzio, chiedo loro di limitarsi ad usufruire solo di alcune zone del giardino, lasciando in pace le altre. Di solito ci capiamo.

E credo di essermi capito anche qualche tempo fa, con una femmina, che trovai seminascosta sotto ad un cespuglio. Mi guardava fisso, con uno sguardo intenso, uno sguardo che mi pareva quello della madre disperata, sulla scalinata di Odessa, nel film “La Corazzata Potemkin”. Lei, quel giorno, mi disse con gli occhi: “Lo vedi che sono incinta? Ora che mi hai scoperta, però, ti prego, non fare niente e lasciami stare qui, a ripararmi e a riposarmi un po’. Ho un grande bisogno, se non proprio di aiuto, perlomeno di tranquillità, che a brevissimo dovrò partorire e dovrò risparmiare ogni goccia d’energia per non avere problemi”. La lasciai stare.

Beh, in realtà non lo so mica se davvero mi volesse dire tutto questo, quella femmina. So soltanto che, pochi giorni dopo, i tre o quattro cinghiali che scorrazzavano in zona, diventarono ventuno. Ed è proprio quella “carica dei ventuno” di cui vi ho parlato finora e che anche oggi mi sta devastando il giardino, dando vita a un meraviglioso balletto coi cani del vicinato. Uno spettacolo unico, imperdibile, che, ogni sera, posso godermi, gratis, dalla finestra di casa mia.

 

Le immagini sono dell’autore dell’articolo.

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