Mal di plancia elettorale

Da un po’ di giorni, le plance per le affissioni dei manifesti elettorali in vista del voto del 25 settembre sono tornate a occupare diversi marciapiedi della Capitale. E, come spesso accade da anni, sono desolatamente vuote. Non lo resteranno fino alla fine: di sicuro, qualche partito o candidato li userà in Zona Cesarini per farsi pubblicità. Ma la verità è che tra marketing sui social e legge elettorale, i bandoni elettorali ormai sono un relitto del passato.

 

Qui una volta era tutta campagna elettorale

L’abolizione delle preferenze nella parte proporzionale della legge ha reso praticamente inutili i “santini” dei singoli candidati: per essere eletti, bisogna trovarsi nella posizione giusta della lista. Le vere gare sono quelle nei collegi uninominali, dove il candidato può fare la differenza ed essere eletto anche con un solo voto in più. Ma questi collegi sono pochi: 10 in tutta Roma, tra Camera e Senato.
I partiti che investono nelle affissioni a pagamento, invece, hanno già riempito la città di maxi poster 6×3 e di cartelloni su bus e tram con il volto dei loro leader.
Poi c’è la classica tv, dove partiti e candidati fanno le classiche comparsate nei Tg e nelle tribune elettorali Rai e comprano spazi pubblicitari sulle emittenti locali. Soprattutto, c’è il web e ci sono i social media, dove si ottengono più visualizzazioni spendendo meno.
La domanda dunque è: perché i Comuni continuano a installare i bandoni elettorali, visto che non soltanto rappresentano un ostacolo alla mobilità dei pedoni ma costano anche tantissimo alle casse pubbliche? Un articolo comparso nell’agosto scorso sulla Repubblica calcolava infatti in 650mila euro l’anno la spesa (2,5 milioni per 4 anni, dal 2019 al 2023, aggiudicati all’Impresa Romana allestimenti e servizi, per installare e smontare “almeno 8 impianti da 10 coppie di lamiere in ciascuno dei 15 municipi”, scrive il giornale.

 

Soldi per fare altro

“Spendere soldi pubblici per installare migliaia di plance con relativa impalcatura in ferro è inaccettabile e uno sperpero di fondi utilizzabili per altre iniziative più attinenti alle necessità cittadine”, scriveva a giugno scorso, all’epoca dei referendum, il consigliere comunale di Azione Dario Nanni, annunciando di aver predisposto una specifica mozione per impegnare il sindaco “a rimuovere dalle attività capitolina questa assurda quanto obsoleta pratica fine a uno sperpero di denaro pubblico che genera solo problemi e disagi per i cittadini”. La mozione dovrebbe essere discussa dall’aula Giulio Cesare alla ripresa dei lavori.

Ma a parte l’advertising politico e quello commerciale (che sotto elezioni spesso finiscono per diventare una cosa sola…), c’è una questione che riguarda le attività e gli eventi di associazioni e in generale gli organismi non profit. Forse, i soldi risparmiati per i bandoni potrebbero essere usati per un altro tipo di plance, non temporanee, brutte e arrugginite, da installare in vari punti della città (a partire dai municipi e dalle Asl) con cui informare i cittadini delle varie iniziative in corso, evitando così l’attacchinaggio selvaggio e fai da te. Si tratterebbe di un servizio d’informazione utile per i cittadini e non invasivo come la pubblicità sui social.

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