Non toccate la Vela di Calatrava

Il più importante monumento di quella città sinonimo di Collasso che è Roma è chiaramente un rudere, una rovina, la reliquia abbandonata di un tempo che non è il nostro. E il nome di quel monumento è, ebbene sì, Vela di Calatrava: unica, tra le grandi vestigia che cadenti puntellano la città, a provenire non dal passato ma dal futuro, reminiscenza non di quello che fu ma di quello che ancora deve essere.
Oppure, per dirla con “Remoria” (perdonate l’autocitazione): “A osservarla dalla carreggiata esterna del GRA, la Vela fa pensare alla Statua della Libertà sepolta dalle dune alla fine del ‘Pianeta delle scimmie’. L’infantile metafora biologica di Calatrava viene ridotta a una straniante esibizione di silente assenza inorganica; nella sua nuda imponenza hi-tech, questo faraonico scheletro senza un tetto pare la copia fantasmatica di una cattedrale gotica per come l’avrebbe progettata una specie di intelligenza robotica oramai in declino. È un gigantesco guscio emerso da oceani rimasti privi di vita, che contiene le forme incompiute di un evo che è ancora di là da venire […]. È un relitto piovuto dal futuro, il segno sulla mappa […] non di quanto è stato, ma di quello che sarà”.
 
Bene: ciclicamente, qualcuno se ne esce con il proposito di completare la Vela così da riscattarla dal suo penoso stato di “opera in stato di abbandono” (adesso l’occasione è il Giubileo del 2025).
Per fortuna finora tali propositi non hanno avuto seguito. Dico “per fortuna” non solo perché il progetto originario di Calatrava era una colossale merda kitsch che a confronto i giardini verticali di Boeri paiono un esempio di sobria edilizia popolare, non solo perché la Vela è il più imponente esempio di quello stile che Alterazioni Video ha ribattezzato “Incompiuto Italiano”, ma perché, proprio per quanto detto sopra, completare l’opera significherebbe neutralizzare il memento ineludibile del Rudere Piovuto dal Futuro, svuotare il significato reale del Monumento all’Inumano per sostituirlo con la rassicurante retorica della riqualificazione.
Da vestigia atterrata nel presente direttamente dal Tempo che Sarà, la Vela diventerebbe a quel punto nient’altro che… “architettura”. Brutta, per giunta.
Quindi aiutatemi a lanciare la campagna LASCIATE LA VELA COSÌ COM’È. Tra l’altro, lì dentro già ci vive gente (qui si aprirebbe un altro capitolo ancora, ma adesso non è il caso di sproloquiare su specie mutanti prodotte dal margine ecc ecc ecc), ma insomma, avete capito: EVITIAMO LO SCEMPIO, NESSUNO TOCCHI LA VELA!
 
[Questo post è stato pubblicato originariamente da Valerio Mattioli sulla sua pagina Facebook. L’immagine del titolo è una rielaborazione della Vela di Ako1]

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