La “Mala” Borgia

Se alcuni personaggi della storia di Roma sono entrati in una sorta di leggenda nera, tutta fatta d’intrighi, violenze e corruzione, il “merito” va spesso alla storiografia protestante, che per secoli ha amplificato le dicerie e i pettegolezzi – spesso non confermati dalla documentazione storica – su questo o quel pontefice, su questo o quell’episodio, al fine di mettere in cattiva luce la Città Eterna e il cattolicesimo di cui Roma era simbolo.

È questo anche il caso della famiglia Borgia, quella che portò al soglio pontificio, nel 1492, Roderic Llançol de Borja, noto come papa Alessandro VI. È vero che i Borgia non lesinarono violenze e intrighi, ma lo fecero né più né meno di qualunque altro potente dell’epoca. Eppure, nei secoli, sono soprattutto loro ad essere diventati il simbolo di orrendi intrighi di corte, anche grazie alla figura della sua più nota rappresentante femminile: Lucrezia.

A metterci il carico, nella fantasiosa costruzione del personaggio della rampolla di casa Borgia, immaginata come una serial killer più feroce della futura “Saponificatrice di Correggio”, ci pensò anche Victor Hugo, lo scrittore francese, che nel suo dramma “Lucrèce Borgia”, del 1833, la tratteggiò come una seduttrice, un’avvelenatrice, una “femmina” tanto bella, quanto infida e mortifera. Una sorta d’incarnazione del mito di Eros e Thanatos: amore e morte.

L’immagine di questa anticipatrice di “Mata Hari” nella Roma rinascimentale, rilanciata anche da Alexandre Dumas ne “I Borgia”, ebbe grande successo, coincidendo perfettamente con quell’abbinamento automatico fra seduzione, femminilità e dannazione, tanto in voga per diversi secoli, quando l’idea comune voleva che le donne per bene non ricoprissero mai ruoli di spicco. Questa immagine di Lucrezia, però, ottiene poco riscontro, se si guarda la documentazione storica sulle reali vicende di quel periodo.

La giovane Lucrezia

Il primo degli elementi utili a creare la successiva leggenda della “subdola e immorale” Lucrezia Borgia, fu già la sua nascita, avvenuta a Subiaco nel 1480. Sua madre era Vannozza Cattanei, nobildonna e amante del cardinale Rodrigo Borgia, il futuro papa Alessandro VI.

Vannozza e Rodrigo – che insieme ebbero quattro figli, il primo dei quali fu Cesare, il famoso “Valentino” narrato da Machiavelli – formavano da quindici anni una coppia fissa, sebbene non ufficiale, dato il ruolo di lui. Il loro legame era praticamente alla luce del sole, ma ovviamente era anche fonte di continue critiche e pettegolezzi.

Quando Lucrezia non aveva ancora compiuto i tredici anni, il padre, nel frattempo divenuto papa, decise di mandarla in sposa al conte di Pesaro, Giovanni Sforza, cugino dei potenti duchi di Milano. Il matrimonio era uno degli anelli di una complessa catena di alleanze, su cui si basava in quel momento la politica papale.

L’annullamento del primo matrimonio

Ma la politica del Rinascimento, si sa, in ogni corte d’Europa, era fatta di continui ribaltamenti, tra omicidi politici, colpi di scena, tradimenti. Perciò, ben presto, papa Alessandro, decise di rompere l’’alleanza con gli Sforza, richiamando a Roma Lucrezia e tentando di farle uccidere il marito.

Qui, ecco già il primo elemento che comincia a stridere con l’immagine di una Lucrezia “mantide religiosa” che si diverte a fare fuori i propri amanti. Fu infatti proprio lei, a quanto pare, ad avvertire suo marito delle intenzioni omicide del padre, permettendogli di salvarsi.

A quel punto, Alessandro cambiò strategia e, anziché eliminare fisicamente il cognato, decise di screditarlo, accusandolo di “impotenza” per poter annullare il matrimonio con sua figlia. Contemporaneamente fece anche dichiarare Lucrezia “virgo intacta”, senza però sottoporla ad alcuna visita medica che accertasse il suo stato.

Il presunto incesto

Alcuni intermediari, fra cui i duchi di Milano, tentarono allora di ribaltare quella sentenza, invitando Giovanni Sforza ad avere un rapporto sessuale con sua moglie Lucrezia e altre donne, davanti a testimoni accettati da entrambe le parti in conflitto, per dimostrare così la virilità dell’uomo. Giovanni però si rifiutò di sottoporsi alla prova.

Vistosi perso, Giovanni Sforza, decise invece di lanciare una delle infamanti dicerie che pesarono a lungo sulla reputazione di Lucrezia, accusando papa Alessandro di avere avuto rapporti incestuosi con lei. All’accusa verbale, però, egli non diede seguito in sede di giudizio, per tentare di ribaltare le sorti del suo matrimonio, ormai non più valido.

Il pettegolezzo, intanto, era ormai andato in giro in tutta Europa e a questo se ne aggiunse ben presto un secondo, che voleva che Lucrezia giacesse anche con il fratello Cesare. Questa seconda voce, però, aveva più che altro il fine di alleggerire le eventuali colpe del padre – non è infatti semplice e indolore parlare male di un papa – per scaricare tutto il peso su di lei che, in quanto donna, era un obiettivo più agevole da colpire, accusandola d’immoralità sessuale.

L’Infans Romanus: figlio o fratello?

Il gossip sui rapporti poco casti all’interno della famiglia Borgia cominciava ad affievolirsi, quando ecco che un nuovo episodio fa nascere nuove dicerie, assolutamente degne di un “Beautiful” rinascimentale. Nel febbraio 1498, infatti, viene trovato nel Tevere il cadavere di Pedro Calderon, detto Perotto, un servitore della famiglia Borgia. Le dietrologie a quel punto esplodono, senza più freni.

In molti vogliono dire la loro sulla strana morte del servitore. In una versione si comincia a dire che l’annegamento di Perotto fosse opera del papa, inviperito perché il Calderon aveva messo incinta sua figlia Lucrezia. Una versione un po’ diversa vuole invece che Lucrezia fosse incinta del papa e che Perotto, venutolo a scoprire, fosse stato messo a tacere per sempre. Una terza, infine, parla di un papa semplicemente geloso di Perotto, in quanto entrambi amanti di Lucrezia.

Fatto sta che quando, alcuni mesi dopo, il papa riconosce il piccolo Giovanni – il cosiddetto “Infans Romanus”, un bambino di cui a tutt’oggi s’ignora l’identità della madre – come proprio figlio illegittimo, le voci sul fatto che l’infante fosse stato segretamente partorito proprio da Lucrezia – che in tal modo ne era contemporaneamente madre e sorella – cominciano a correre incontrollate.

Il secondo matrimonio

Vere o false che fossero le dicerie sul suo conto, è chiaro che il ruolo di Lucrezia pare in ogni caso più quello di una vittima di appetiti e intrighi altrui, che quello della manovratrice. In tutto questo Lucrezia si era intanto risposata con Alfonso d’Aragona, figlio illegittimo dei re di Napoli: “l’adolescente più bello che si sia mai visto a Roma”.

Fra i due fu subito amore. Ma anche questo matrimonio era destinato a durare poco, a causa del nuovo ribaltamento di alleanze avvenuto in Italia e in Europa e degli appetiti di conquista di Cesare Borgia, che vedeva in Alfonso un possibile rivale. Cesare ordì così un primo attentato contro di lui, andato a vuoto.

Lucrezia, ancora una volta – smentendo di nuovo la sua fama di “mangiatrice di uomini” – tentò di difendere in ogni modo il proprio marito, non riuscendo però a salvarlo da un secondo mortale attentato. Da quel momento i rapporti di Lucrezia col padre e col fratello si raffreddarono: “Prima, era in grazia del papa madonna Lucrezia sua figlia la quale è savia e liberale, ma adesso il papa non l’ama tanto”, scrisse l’ambasciatore veneziano Polo Capello.

Lucrezia la “santa”

Il terzo matrimonio portò Lucrezia lontana da Roma, alla corte del duce di Ferrara Alfonso D’Este. Nella nuova veste di duchessa, Lucrezia si circondò di artisti e d’intellettuali, facendo di Ferrara uno dei luoghi più attivi nell’Europa dell’epoca. Fra questi artisti anche Pietro Bembo, che le fu intimo amico, avviando con lei un tenero legame platonico. Forse un po’ meno platonico, stando sempre ai pettegolezzi, fu invece il legame fra Lucrezia e il Marchese di Mantova, Francesco Gonzaga.

Intanto l’Italia era sconvolta da continue guerre. A Roma non c’era più suo padre, ma Giulio II prima e Leone X poi. Lucrezia, che aveva avuto diversi figli dal marito Alfonso, con il passare degli anni cominciò ad essere indebolita nel fisico e sconvolta nell’animo. Iniziò ad indossare regolarmente il cilicio sotto le vesti e, in preda a una profonda crisi mistica, entrò da laica nel terz’ordine francescano.

La morte, per lei, arriva nel 1519, a soli trentanove anni, un’età decisamente molto giovane anche per l’epoca, a causa delle complicazioni seguite a un suo ennesimo parto.

La “leggenda nera”

In un’Italia percorsa da feroci rivalità fra stati, l’immagine di Lucrezia come simbolo del male, non ebbe difficoltà a diffondersi, soprattutto da parte di chi mai la conobbe. Come ad esempio il doge di Venezia Gerolamo Priuli, che venti anni dopo la sua morte la definì “La più grande puttana di Roma”, o di Jacopo Sannazzaro, che parlò di lei come di “figlia, moglie e nuora” di papa Alessandro VI.

Erano anche gli anni in cui Lutero, in Germania, pubblicava le sue tesi protestanti e dunque, nei paesi luterani, le vicende dei Borgia fornivano il pretesto perfetto per dimostrare la corruzione di Roma, mentre Lucrezia era considerata un ottimo esempio di liceità dei costumi e di depravazione.

Fu solo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento che gli storici cominciarono a riabilitare la figura di Lucrezia Borgia, dimostrando come non sia praticamente mai stata l’artefice d’intrighi, dovendo anzi subirne diversi, come d’altronde all’epoca era del tutto usuale, in una qualunque corte europea. Né vi è alcuna documentazione storica su suoi presunti avvelenamenti, quasi certamente inventati di sana pianta, per motivi letterari, dagli scrittori ottocenteschi.

Nonostante ciò, però, secoli di insinuazioni e maldicenze avevano lasciato un segno indelebile. E perciò, anche se in fondo c’è ben poco di vero, Lucrezia Borgia resta e resterà a lungo nell’immaginario collettivo, la più terribile femme fatale che la storia ricordi.

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