In difesa di Fotovoltacchio

Come se a Roma non avessimo già guai, ogni qualche anno la comparsa dell’albero di Natale cittadino, situato per abitudine a piazza Venezia, è fonte di speciale accanimento polemico.

Poi di solito passano i giorni e la questione si sgonfia: l’unico risultato – tutto sommato buono – è un sovrappiù d’interesse di romani e turisti verso l’albero in questione, cui viene pure assegnato un nome proprio.

Fotovoltacchio, stavolta, giacché la caratteristica della pianta è quella di essere affiancata, a destra e a sinistra, da due pannelli fotovoltaici che garantiscono l’illuminazione sua e di altre decorazioni dei dintorni.

Genera un piccolo affetto allegro questa personalizzazione, e anche se la desinenza pende verso il dispregiativo, fa sì che il dispregiato diventi simpatico.

La ragione del disprezzo, passata per aggettivi privi di spirito natalizio e titoli di giornale a grappoli, è che i pannelli fotovoltaici sono “brutti”, fatto che – nella città che ha la bellezza come sottotitolo – non appare tollerabile.

Da qui la crocifissione, ed è tanto se a nessuno è ancora venuto di scorgere nel malcapitato un povero Cristo in mezzo ai suoi specifici ladroni.

Anche l’implicazione simbolico-energetica appare ai detrattori aggravante, relegando la faccenda a bega tra forze politiche, e magari contrappasso per chi bullizzava a suo tempo l’alopecia di Spelacchio.

Andare sul posto di persona, oltre al gusto di farsi un’idea, è anche l’occasione per accorgersi che i famosi pannelli sono rivolti in favore dell’Altare della Patria, secondo molti l’inarrivato fuoriclasse della bruttezza in città.

Chissà che quel faccia a faccia non sia di consolazione per l’uno e per gli altri: occasione per dire “sei bello te!”. O magari per accorgersi che, pure con qualche difetto, andiamo bene lo stesso.

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