La Parigi che non esiste di “Emily in Paris”

La famosa serie non è ambientata nella vera Parigi, la metropoli francese di oltre 2 milioni di abitanti, ma in una sorta di “Paris©” parallela, una versione perfetta. 

[Hanna J. Thompson, docente di francese e Critical Disability Studies, alla Royal Holloway University of London. Questo post è uscito originariamente su The Conversation]

 

A Parigi lo sanno tutti: Emily Cooper (Lily Collins) è al top.
Dal suo arrivo nella capitale francese, nella prima stagione di questa serie Netflix che ha avuto subito successo, Emily ha usato il suo talento di influencer americana per promuovere con successo ogni sorta di prodotto di lusso sul mercato francese, attraverso le sue campagne virali sui social media. E con tutti i soliti drammi del caso, nella terza stagione la ragazza ha sempre più successo.

La storia d’amore di questa serie con i grandi marchi lo rende una risorsa da sogno per il product placement. Ma ovviamente, è Parigi il prodotto di maggior successo.

La serie non è ambientata nella vera Parigi, la metropoli francese di oltre 2 milioni di abitanti, ma in una sorta di “Paris©” parallela, una versione perfetta. È la Parigi del marchio, curata con attenzione da generazioni di scrittori, artisti e registi nel corso di centinaia di anni.

Foto di Patrick Nouhailler diffusa su Flickr con licenza creative commons

 

Parigi nell’immaginario globale

Parigi è la città fantastica preferita da tutti.
C’è il vagabondaggio immaginario di Emma Bovary nel capolavoro di Gustave Flaubert del 1857 e la giocosa caccia al tesoro di Amélie Poulain nell’omonimo film del 2001. Gli impressionisti hanno dipinto scene da sogno di caffè all’aperto e tramonti sulla Senna. E chi può dimenticare le pagliacciate di Juliette Binoche illuminate dai fuochi d’artificio nel classico di Leos Carax del 1991 “Les Amants du Pont-Neuf”?

Oltre a essere la “Ville Lumiere”, Parigi è sempre stata nell’immaginario collettivo una città di sogni, romanticismo e bellezza.

Come i suoi predecessori sullo schermo, la Parigi di Emily è immediatamente riconoscibile come “Paris©“. Ma è allo stesso tempo irriconoscibile, poiché assomiglia molto poco alla Parigi reale che si incontra quando si scende dall’Eurostar alla Gare du Nord. In effetti, anche la fugace rappresentazione di questa stazione ferroviaria in “Emily in Paris” è irrealistica.

Quando Emily va a fare una sorpresa al suo amante inglese, Alfie, di ritorno da Londra a metà della terza stagione, lo aspetta fuori dall’ingresso principale della stazione. Ma chi è arrivato a Parigi con l’Eurostar sa che i viaggiatori provenienti da Londra o spariscono sottoterra verso le numerose linee del metrò della stazione oppure girano a destra per dirigersi verso la stazione dei taxi all’uscita laterale. Alfie o va a piedi o prende l’autobus: il che, data la dipendenza dei personaggi dai taxi, sembra altamente improbabile.

In realtà, Parigi dispone di un sistema di trasporto pubblico efficiente, economico e completo. La città è servita da 14 linee di metropolitana, 58 linee di autobus e tre tram. La maggior parte dei parigini (65%) si reca al lavoro con i mezzi pubblici e il numero di coloro che ci va a piedi, come Emily e la sua capa Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu), è molto inferiore (10%).

Nonostante l’intramontabile cliché, solo il 5% circa dei parigini va al lavoro in bicicletta, come il collega di Emily, Luc (Bruno Gouery). Eppure, a eccezione di un paio di fugaci inquadrature delle pittoresche sezioni in superficie delle linee 6 e 2 della metropolitana, la Parigi di Emily è priva di trasporti pubblici. Ed è altrettanto vuota di automobili.

Nonostante i recenti miglioramenti nella pedonalizzazione, soprattutto lungo la Senna, Parigi è ancora assolutamente piena di traffico. Taxi, auto, biciclette, motorini, scooter elettrici, veicoli di emergenza, camion della spazzatura e pattinatori si contendono lo spazio sulle sue strade sempre congestionate. Eppure Emily e i suoi amici trascorrono ore e ore seduti nelle terrazze dei caffè all’aperto senza mai subire l’inquinamento acustico o atmosferico.

 

Dove sono finiti i parigini?

La Parigi di Emily è anche stranamente sgombra di persone. E quelle che camminano per le sue strade sono quasi tutti giovani e attraenti. Dettagli che ci forniscono aspettative pericolosamente irrealistiche sulla città: la “sindrome di Parigi“, lo shock che i turisti (soprattutto giapponesi) provano quando Parigi non è all’altezza delle aspettative, è responsabile di circa 50 episodi di stress psicofisico all’anno.

La vera Parigi è una metropoli vivace, con le strade sempre affollate di persone di ogni età, razza e condizione economica. Come altre capitali europee, Parigi ha visto un enorme aumento dei senzatetto negli ultimi decenni. Intere aree della città vicino alla Périphérique (l’anello stradale che corre intorno alla città) e sotto i ponti sono state trasformate in campi profughi improvvisati.

Nella Parigi di Emily, queste dure realtà sociali ed economiche vengono cancellate, insieme ai bidoni della spazzatura, alle sirene della polizia e ai cantieri che sembrano sempre proliferare in città.

Durante le riprese della terza stagione, l’iconica cattedrale di Notre-Dame era avvolta dalle impalcature a causa del devastante incendio del 2019: eppure la cattedrale appare completamente indenne in diverse riprese del fiume.

Può essere di conforto il fatto che i personaggi della serie siano consapevoli di vivere in una Parigi fittizia. Spesso riconoscono che la vita in città è un sogno e paragonano le loro vite a un film con un finale hollywoodiano (piuttosto che francese…).

La terza stagione inizia addirittura con una sequenza onirica che si ripete nella vita reale più avanti nello stesso episodio. Questo confondersi di sogno e realtà ci ricorda che Emily in Paris è un piacere colpevole, una meraviglia di evasione che è tanto brava a impersonare Parigi quanto Emily a parlare francese.

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