Affitti brevi, “Italia, unica senza regole in Europa”

Un nuovo boom post-pandemia degli affitti turistici comprime l’offerta di case a uso residenziale, facendo impennare i canoni di locazione. A Milano per la Design Week che si apre oggi i costi sono schizzati da 180 a 500 euro al giorno. Ne parliamo con Filippo Celata, autore di uno studio sulla regolamentazione del fenomeno in Europa.

 

Ai primi di aprile Bologna ha ospitato una tre giorni in cui i rappresentanti istituzionali di 11 città – Bergamo, Bologna, Firenze, Lodi, Milano, Napoli, Padova, Parma, Roma, Torino, Verona: “alleanza municipalista” l’hanno chiamata – hanno discusso di politiche abitative e chiesto al governo di intervenire con una norma nazionale per regolamentare gli affitti brevi a uso turistico, un fenomeno in rapida ascesa prima della pandemia e da ormai parecchi mesi in ripresa, che colpisce in particolare i centri delle grandi città riducendo l’offerta di appartamenti a uso residenziale e spingendo i prezzi di acquisto e i canoni di locazione verso l’alto.

La rete Alta Tensione Abitativa, nata a Venezia per opera di urbanisti, architetti, giuristi e consiglieri comunali, ha presentato agli amministratori presenti la sua proposta di legge in materia. “Che l’Italia, pur tardi e ultima in Europa, abbia maturato una percezione del problema è un fatto positivo. Certo, è singolare che alcune amministrazioni di centrosinistra si siano attivate proprio nel momento più sfavorevole, con una maggioranza di centrodestra al governo”, osserva Filippo Celata, docente di Geografia Economica alla Sapienza di Roma e autore, insieme a Gianluca Bei, di uno studio, Challenges and Effects of Short-Term Rental Regulation (Sfide e risultati della regolamentazione degli affitti brevi) in via di pubblicazione sugli Annals of Tourism Research.
Gli autori ci hanno permesso di leggere in anteprima il documento, in cui analizzano gli effetti delle regole introdotte in 16 città europee tra cui tre italiane: Firenze, Roma e Venezia. In Italia in realtà finora ci si è limitati a intervenire sugli aspetti fiscali della questione, insomma per fare cassa, non per risolvere i problemi. “Il sindaco di Firenze Nardella – conferma Celata – lo scorso giugno ha parlato di una proposta di legge di iniziativa popolare, ma non ha ancora iniziato a raccogliere le firme”. Per parte sua la ministra del turismo Daniela Santanché ha raccolto le preoccupazioni degli amministratori, ma per ora dichiara di aspettare indicazioni da Bruxelles, ribadendo che “per noi la proprietà privata è sacra”.

Quasi un anno fa il deputato Nicola Pellicani (PD) rivendicava sul proprio sito: “Approvato stanotte il mio emendamento [al Decreto Aiuti di Draghi], che punta a disciplinare le locazioni turistiche a Venezia. Un fenomeno fuori controllo come noto a tutti i veneziani. Finalmente il Parlamento, per la prima volta, riconosce la necessità di disciplinare la materia. La norma è destinata a fare da apripista anche per altre città come Roma e Firenze”.
I giornali avevano titolato che da Venezia sarebbe partita la stretta sugli affitti brevi, precisando che grazie all’emendamento, peraltro sgradito a Santanché, il Comune avrebbe potuto imporre un tetto di 120 giornate di affitto annuo. Ma tre settimane fa
La Nuova Venezia ancora parlava di “giallo sulla bozza di regolamento”, che come la mitologica Araba Fenice tutti sanno che esiste, nessuno sa dov’è.

 

Foto diffusa da Wikipedia con licenza Creative Commons

 

A Celata abbiamo chiesto di parlarci dei risultati dello studio, che rientra nel progetto The Short Term City e dell’idea che si è fatto parlando coi diversi soggetti con cui è entrato in contatto nell’ambito della ricerca.

Partiamo dalle origini del fenomeno: come e perché avviene l’esplosione gli affitti brevi? È soltanto il fatto che si guadagna di più e si hanno meno problemi affittando ai turisti o è stata la comparsa di piattaforme come Airbnb (2007) a giocare un ruolo?
Il fenomeno ha origine quando Airbnb, distinguendosi da altre piattaforme di prenotazione come Booking.com, che sostanzialmente gestiscono prenotazioni alberghiere, capisce che fare da intermediari nel mercato degli appartamenti privati significa avere la possibilità di trasformare l’offerta, modificando profondamente quel mercato e portando alla ribalta un fenomeno che già esisteva, ma era marginale. La piattaforma online consente di aggregare l’offerta e, dunque di renderla visibile, e inoltre dà a turisti e proprietari quelle garanzie di affidabilità che il contatto diretto tra privati non è in grado di assicurare. Più che di un semplice cambiamento, si è trattato, come si dice nel gergo, di una disruption del mercato.

Che effetti ha avuto questa disruption sul mercato immobiliare?
La conversione di appartamenti residenziali in alloggi destinati ad affitti brevi mette in conflitto la funzione turistica con quella residenziale e in questo modo trasforma i quartieri delle nostre città, incidendo sulla disponibilità di appartamenti e sul costo degli affitti a lungo termine e alimentando lo spopolamento delle aree urbane in cui si concentra il fenomeno. L’impatto di questa pratica ha spinto alcune città a introdurre dei regolamenti: alcuni avevano già alcune regole, altre hanno dovuto crearle ex novo, perché l’aspetto peculiare di questo fenomeno è che non comporta un cambio di destinazione d’uso. Gli immobili restano edifici residenziali, ma vengono utilizzati per ospitare turisti, nell’ambito di un’attività che si presume non commerciale. Quindi c’è bisogno di un sistema autorizzativo, che in Italia non è ancor stato introdotto, che imponga dei vincoli: ad esempio limitare il numero delle giornate annuali di locazione, stabilendo che se lo superi, allora sei considerato una struttura ricettiva.

La homepage di Airbnb

 

In questi giorni si parla molto di Milano, dove il boom della domanda di alloggi per la Design Week dal 18 al 23 aprile (+2.000%) ha fatto impennare i prezzi, si dice da 180 euro a notte a oltre 500. L’AD di Airbnb Italia ha detto che il 50% dei proprietari dichiara di dare in affitto il proprio appartamento per “far quadrare i conti”. Ma da quel che emerge dal vostro studio non è proprio così. Che forme assume questo tipo di attività e quanto pesa realmente sul mercato?
Le forme sono molte ed è un mercato che evolve costantemente. Si va dal proprietario di casa che gestisce il suo appartamento a multiproprietari che fanno altrettanto più in grande. Poi c’è chi magari ha iniziato a gestire la casa di terzi, parenti o amici, e a poco a poco ne ha fatto una professione, fino a soggetti che esercitano questa attività in modo più massiccio, di solito sono società di intermediazione immobiliare. In Italia una delle più attive è Halldis del gruppo Ferragamo. Come dicevo, c’è una continua evoluzione. Oggi, per esempio, se tu hai un appartamento che ti frutta 1.000 euro al mese, trovi società che ti danno 1.000 euro al mese per poterne disporre liberamente, dandolo in affitto a prezzi superiori o per più giornate e guadagnando sulla differenza. Quanto al peso, direi che la gestione professionale degli affitti brevi nelle aree centrali delle grandi città turistiche ammonta al 70%-75% del mercato. Intendiamoci: non va criminalizzata, ma è evidente che si sovrappone alle attività ricettive vere e proprie senza essere soggetta a regole.

Puoi sintetizzarci i risultati del tuo studio? Mi pare di capire che sia il primo studio, almeno per quanto riguarda l’Europa, che attesta l’efficacia delle regole introdotte in alcune città.
Sì, però quando siamo partiti non sapevamo esattamente in che cosa ci saremmo imbattuti. Quando vai a parlare con le amministrazioni locali, anche quelle che si sono dimostrate più reattive, capisci che la situazione è molto intricata. Prima della pandemia quello degli affitti brevi era un fenomeno in forte crescita. E quindi non era semplice riuscire a misurare un’eventuale flessione negli anni successivi all’introduzione delle regole, tenuto conto anche che ci sono stati problemi di enforcement, cioè che una volta introdotte le regole bisogna capire come farle rispettare. Alla fine siamo arrivati alla conclusione che anche nelle città che hanno imposto vincoli meno drastici le dinamiche successive, misurate rispetto a città che non avevano fatto nulla o erano intervenute solo sugli aspetti fiscali (come ormai fa solo l’Italia) indicavano un impatto positivo.
In pratica abbiamo dimostrato ciò che era già stato dimostrato, pur in termini diversi, negli USA, cioè che c’è stata una flessione del 30% della pressione a riconvertire gli appartamenti a uso residenziale all’utilizzo turistico. La differenza rispetto agli USA è che lì gli esperti ne hanno tratto conclusioni diametralmente opposte, cioè che le regole hanno un impatto negativo perché deprimono l’economia. C’è da dire che si tratta di situazioni molto diverse. Da loro, ad esempio, le piattaforme sono obbligate a mettere a disposizione delle autorità i dati, cosa che in Europa non avviene.

FIGURA 1: effetti della regolamentazione (città non regolamentate – affitti a breve termine – composizione, cioè rapporto tra affitto di interi appartamenti e di singole stanze – professionalizzazione del mercato). Fonte: Bei-Celata, cit. (pre-print)

 

E rispetto alla professionalizzazione?
Questo è un aspetto interessante, perché uno degli obiettivi della regolamentazione, dovrebbe essere proprio ridurre il grado di professionalizzazione. Ma quando ci siamo messi ad analizzare l’argomento c’era un’incognita, cioè che introdurre dei vincoli burocratici in realtà finisse per favorire gli operatori commerciali, che sono più attrezzati ad adeguarsi più agevolmente ai cambiamenti. Invece l’impatto della regolamentazione è risultato molto efficace: a colpire l’operatore professionale è soprattutto il tetto annuo alle giornate di affitto, perché abbassa la redditività del suo investimento.

Sull’Italia che idea ti sei fatto? Avrete avuto contatti con le amministrazioni delle città che avete analizzato. Che impressione ne avete ricavato?
Ci siamo resi conto che in alcuni casi mancava persino la percezione del problema. Certo, la questione è stata sollevata, principalmente dagli alberghi, che però si limitano a porre un tema di concorrenza sleale, non affrontano certo la questione abitativa nel suo complesso. L’Italia si è svegliata troppo tardi e uno dei fattori che rende più difficile trovare soluzioni è che il problema è locale, ma le norme spesso sono nazionali e regionali, per cui i comuni si trovano in difficoltà. Oggi il problema finalmente viene analizzato per quello che è, l’impatto complessivo sulla città, e questo è positivo. Ma resta un atteggiamento ambivalente.

FIGURA 2: introduzione di regole negli anni nelle 16 città del campione analizzato. Fonte: Bei-Celata, cit. (pre-print).

In che senso?
Il turismo in questi anni ha rappresentato un settore in forte crescita, ma è un’attività di estrazione, più che di produzione di valore, che spesso si traduce in una svendita delle città. La città è pensata sempre più come un luogo destinato semplicemente al consumo e a soddisfare una domanda esterna: attrarre turisti, aziende, investimenti. In pratica, un bancomat. Si tratta di un modello di sviluppo che punta tutto sull’arricchimento di chi è già ricco e alimenta un mercato del lavoro dequalificato e dequalificante, fatto di lavoro precario, sottopagato, spesso alimentato da lavoratori che vengono da fuori città. L’aumento esponenziale dell’offerta, di appartamenti, ma anche di ristoranti e di bar finisce per mangiarsi l’intera economia urbana, facendo leva su un meccanismo di corsa al ribasso.

Però dici tu, i politici hanno un atteggiamento ambiguo…
Sì, e in parte è perché fanno fatica a mettere insieme i diversi aspetti della questione. Noi abbiamo detto per primi che il problema non è che ci sono troppi turisti, è il modo in cui il turismo è penetrato nelle città. Non si tratta solo di crescita numerica, ci sono anche gli aspetti qualitativi del fenomeno. Se tu continui a fare una politica di promozione senza preoccuparti dell’impatto più generale sulle città, alla fine le città diventano dei grandi centri commerciali. Poi magari, quando ti accorgi dei danni, fai l’alleanza municipalista, però a Bologna contemporaneamente autorizzi l’ennesimo processo di foodification, cioè una nuova ondata di bar, ristoranti ecc.

Milano, che pure ha aderito all’alleanza municipalista e ha mandato alla riunione a Bologna l’assessore Maran, sembra essere il paradigma di questa politica.
A Milano tu hai basato il tuo sviluppo urbano su attività economiche che richiedono lavoro pagato poco o pochissimo e i lavoratori non si possono permettere di vivere in città, non solo perché i salari sono bassi, ma anche perché ti sei dato come obiettivo dichiarato aumentare i valori fondiari e questo è esattamente quello che è successo. E ora, che il problema degli affitti non ce l’hanno solo più i camerieri, ma anche gli ingegneri, gli amministratori improvvisamente si preoccupano. Insomma quel modello non funziona più e finalmente ce ne stiamo accorgendo, ma non stiamo fermando il motore che lo alimenta. Anzi, una delle risposte che viene data dagli amministratori è costruire più case, cioè curare i sintomi col virus che ha causato la malattia. Bisognerebbe fare un bilancio e riconoscere che a Milano l’EXPO è stata un errore. Invece organizziamo Roma 2030. Perciò ben vengano le regole, ma qualunque regolamentazione che non incida sul pregresso, riducendo l’offerta, non risolverà il problema. La gente nei centri storici non ci abita più e hai voglia a riportarcela…

One thought on “Affitti brevi, “Italia, unica senza regole in Europa”

  • 30 Settembre 2023 in 13:20
    Permalink

    Buongiorno,
    complimenti per l’articolo del 18 aprile sugli affitti brevi.
    Anche io nel lontano 1998 comprai un piccolo appartamento nel rione Monti per utilizzarlo come casa vacanza e fu una bellissima esperienza sia dal punto di vista economico ma soprattutto sotto l’aspetto del contatto con persone provenienti da tutto il mondo a cui cercavo di spiegare e far apprezzare Roma e la sua gente.
    Eravamo agli albori dell’ospitalità extra-alberghiera e la legislazione in vigore in quel periodo era molto semplificata dal punto di vista burocratico perchè ad esempio per iniziare l’attività bastava una semplice raccomandata, ma prevedeva che non si potesse affittare per meno di una settimana. Questa regola, secondo me, era fondamentale per distinguere questo tipo di ricettività dagli alberghi, affittacamere e bed and breakfast che invece possono ospitare anche e brevissimi periodi. Inoltre con questo limite veniva anche selezionato il tipo di turista-viaggiatore che sceglieva l’appartamento per soggiornare nella nostra meravigliosa città ed, assaporare il nostro stile di vita e vivere la città in maniera meno superficiale, insomma un turismo di qualità.
    Purtroppo la regola della settimana spesso non veniva rispettata e mi ricordo anche di albergatori della zona che avevano affittato appartamenti che venivano usati come dependance.
    Comunque, dopo qualche anno le normative hanno eliminato questo periodo di permanenza minima regolarizzando queste “consuetudini ” e da allora c’è stato il vero boom del settore agevolato anche dai motori di ricerca.
    Considerando tutte le problematiche evidenziate nel vostro articolo, mi domando, perchè non reintrodurre il periodo di permanenza minima di 5 o 6 giorni e farne controllare il rispetto impedendo sui motori di ricerca delle prenotazioni per periodi inferiori? Sarebbe una soluzione semplice per un problema complesso ma bisogna fare qualcosa perchè la città sta perdendo la sua anima.
    Grazie mille e complimenti ancora.
    MassimomFigliuzzi

    Risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.