Past Lives e i dettagli dell’amore

Opera prima e in parte autobiografica della regista coreana Celine Song, approda in questi giorni in Italia “Past Lives” (2023), candidato a due Oscar e magistralmente interpretato da Greta Lee (Nora) e Teo Yoo (Hae Sung). La vicenda offre più chiavi di lettura, al di là della storia di un amore reso impossibile dalle scelte di vita dei due protagonisti, di soli dodici anni all’inizio del film: la rinuncia all’identità in vista dell’emigrazione in Canada della famiglia di Na Young e la scelta di un nuovo nome, ‘Nora’; l’accettazione della tradizione da parte di Hae Sung, il quale diviene ingegnere ma, secondo i criteri della società, non può sposare la sua fidanzata perché non guadagna più degli altri; infine, lo scorrere degli anni che trasformano la Storia, ma non l’intenso rapporto tra i due. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”: afferma la mamma di Nora.

Tuttavia, in questo film elegante, narrato con la tecnica del primo piano grazie alla straordinaria capacità degli interpreti di esprimere ogni pensiero, ogni sentimento, ogni rinuncia tramite gli sguardi o la pudica gestualità orientale, con brevi dialoghi o semplici interlocuzioni, nessuno guadagna niente: a parte la consapevolezza di un sentimento giusto nel contesto sbagliato.

La profondità di concetti quali la reincarnazione, da cui il titolo; il dovere nei confronti dei rispettivi compagni (i due non si scambiano nemmeno un bacio, ma l’emozione si trasmette allo spettatore) e, infine, l’ineluttabilità di una passione che si sublima nella lontananza, rendono il film un’opera d’arte.

Ventiquattro anni vissuti nella quotidianità (il servizio militare di Hae Sung, i contatti telematici tramite Skype con Nora, le ambizioni artistiche di quest’ultima) e nell’innocenza delle piccole cose, che diventano, di volta in volta, voce narrante: soprattutto quando Hae Sung raggiunge Nora a New York per una breve visita. Si tratta di quei preziosi dettagli che non scadono mai nel manierismo: tende d’interno che tremano al vento quando è necessario segnare un passaggio nella storia; i volti illuminati per metà (Joseph Losey docet) nei momenti dell’accettazione del proprio ‘sé’; la colonna sonora di Christopher Bear e Daniel Rossen, che utilizzano anche brani di Leonard Cohen; la densa fotografia, infine, di Shabier Kirchner.

Si consiglia la visione del film in lingua originale (i dialoghi sono scarni) con sottotitoli in italiano, per immergersi nella storia, malinconica, di due anime forse destinate a incontrarsi in un’altra vita nell’eterno ciclo del divenire.

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