I dolori di Berdini e della sinistra né-né

La vicenda delle dichiarazioni dell’assessore Paolo Berdini è stata trattata in questi giorni certe volte come gossip, roba da pettegolezzi, altre come un giallo o come manifestazione di narcisismo, un po’ meno come una questione politica, a tratti anche molto imbarazzante.
Certo, c’è un po’ di tutto. Il Berdini che dice, riferito alla sindaca Virginia Raggi e al suo ex consigliere Salvatore Romeo “cioè questi erano amanti”, “io sono un uomo generoso, ti porto a letto…”, suona un po’ machista, in contrasto con l’immagine di uomo di sinistra ed ecologista che lo accompagna. E forse semplifica un po’ troppo il quadro, come se quella del Campidoglio fosse un “affaire de fesses”, come dicono i francesi.

L’idea che quello dell’intervista al quotidiano “La Stampa” fosse un agguato all’assessore per costringerlo alle dimissioni, e superare così l’opposizione alla costruzione del business park affiancato al nuovo stadio della Roma, si smonta subito da sola, visto che Berdini sapeva che stava parlando con un giornalista. Al massimo, si è fatto incastrare proprio nei giorni in cui stava (sta ancora?) combattendo una battaglia urbanistica cruciale.

Poi c’è la vicenda della lettera degli “intellettuali” di sostegno a Berdini, che definisce “un incidente frutto di una desolante smania di scoop ad ogni costo” l’intervista e che chiede alla sindaca di riprendere l’assessore in giunta, come se fosse una maestra che deve far rientrare l’alunno discolo.
Una lettera firmata da figure importanti della storia e del dibattito culturale recente di questa città, come Vezio De Lucia, Adriano La Regina, Fulco Pratesi, Vittorio Emiliani.
E uno dei presunti firmatari (che poi ha smentito), come Alberto Asor Rosa, è arrivato a dire all’Huffington Post che per Roma “arrivo a pensare che ci vorrebbe una dittatura illuminata”. Alla faccia della democrazia. Del resto, era stato lo stesso Asor Rosa a chiedere all’ex presidente Giorgio Napolitano di mandare i carabinieri a sloggiare Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi.
L’aspetto politico, però, è quello che qui interessa di più. Si può andare a governare con una maggioranza politica che non è la propria (Berdini non è un militante M5s, l’ultima sua appartenenza registrata era alla Costituente ecologista lanciata dai Verdi e poi fallita) senza rischiare di fare la figura della “mosca cocchiera”?
Perché l’urbanistica non è una questione solo di tecnica (neanche il Bilancio, veramente, lo è, e l’ex assessore Marcello Minenna potrebbe testimoniarlo), ma di scelte politiche sull’organizzazione del territorio. E se ci possono essere divergenze all’interno di una stessa forza politica, figuriamoci in questo caso.
Il problema non riguarda solo il “tecnico” Berdini, ma anche altri provenienti dalle fila della sinistra o dei Verdi che hanno deciso di collaborare con la giunta Raggi singolarmente, non come gruppo. Ognuno con la propria personalità, più o meno ingombrante.
Non stare col Pd né stare organicamente con il M5s ha un costo politico, insomma (e anche personale, come mostra il caso dell’assessore pendente). E questo dovrebbe dire qualcosa a quell’area politica che alle ultime elezioni comunali si è trovata a votare col naso turato per questo o per quello o non è proprio andata alle urne per il ballottaggio.

ps: è triste anche, per chi fa il giornalista e dovrebbe rispettare certe regole di deontologia, che la Stampa abbia pubblicato delle dichiarazioni che Berdini aveva fatto, quelle su Raggi e Romeo amanti, chiedendo esplicitamente di restare anonimo.

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