A Roma va in scena la fantaurbanistica
Chi ruba una mela finisce in galera, chi ne ruba cento va in Parlamento: con questa citazione ornamentale si apre il volumetto “Corso di fantaurbanistica” a breve nelle migliori librerie giuridiche.
Prendendo spunto da recenti evoluzioni e circonvoluzioni della disciplina edilizia nel Comune di Roma, il libro affronta alcuni nuovi modelli procedimentali ed istituti. Tra i tanti: il taglio del vincolo, la proposta di variante al buio (di chiara derivazione pokeristica), l’abuso per pubblica utilità.
Ad esempio: volete trasformare il vostro lastrico solare in centro storico in un roof garden in cui servire margarita e finger food (a pagamento, sia chiaro)?. Ecco come fare.
Primo passaggio: chiedere allo sportello unico edilizia il permesso di collocare un tavolo da ping pong sul terrazzo (meglio ancora un calcio-balilla con le manopole, che ultimamente tira di più e magari può rientrare nella cosiddetta legge sugli stadi del 2013).
In allegato al progetto del tavolo da ping pong, abbiate però cura di aggiungere qualche elaborato grafico con la copertura integrale del lastrico con tegole in cotto e travi di pino, la realizzazione di un paio di appartamenti , sale riunioni, bar e ristorante (sul tetto magari piazzateci un paio di pannelli fotovoltaici o una pala eolica, a mo’ di girandola, così pure il vicino di casa ecologista del 4° piano è contento e non rompe le palle).
Se al Comune esprimono qualche perplessità, spiegate subito che, senza il roof garden, l’operazione di trasporto del tavolo da ping pong dal piano terra fino al lastrico solare potrebbe risultare antieconomica, e aspettate una controproposta.
In genere, dopo un paio di giorni, siccome all’ufficio tecnico non vogliono passare per quelli che mettono i bastoni tra le ruote all’iniziativa privata, vi proporranno di aggiungere qualche opera di pubblico interesse: un ascensore per facilitare l’accesso all’impianto sportivo (e magari pure al baretto), il rifacimento delle scale, un paio di fioriere qua e là.
E’ il vostro momento: ora potete rilanciare e chiedere che, in aggiunta al roof garden, vi sia concesso di costruire sauna, solarium e sala da ballo. Se i burocrati del Comune fanno ancora storie, spiegate che queste cubature in più servono a coprire le spese per le opere pubbliche, altrimenti chi se lo incolla il tavolo da ping pong fino al settimo piano? Non ha senso, no?
Se poi spunta fuori che magari, sul lastrico solare in centro storico, incombe il vincolo della Soprintendenza, o magari qualcuno azzarda che il palazzo non è in grado di sostenere il peso di tutta ‘sta roba, si convoca una conferenza di servizi (per la pausa pranzo tra una seduta e l’altra della conferenza, predisponete abbondanti dosi di tarallucci e vino).
Alla fine avrete la vostra bella autorizzazione a costruire, anche perché – spiegheranno i meglio informati – senza la tettoia sul terrazzo, dove cacchio li troviamo i soldi per costruire l’ascensore per raggiungerla?
Si tratta naturalmente di procedure ancora allo studio, in attesa di decreto correttivo. Importante avvertenza: tutto quanto sopra detto vale solo per il singolo cittadino che voglia abbellire la propria casetta e rendere un servizio alla collettività.
Nel caso di operazioni urbanistiche più complesse, che comportino varianti al piano regolatore, magari in zone a rischio esondazione, con problemi di viabilità, la disciplina è ahimé molto più severa e rigorosa. Oppure no?
[La foto, diffusa dal sindacato Fillea Cgil a Roma con licenza Creative Commons, ritrae operai al lavoro senza protezioni in un cantiere romano, nel 1968]