Quello che finora sappiamo di certo su Ustica viene dalla sentenze definitiva della Cassazione

Sulla strage di Ustica, l’unica novità che forse è uscita in questi giorni è forse il fatto che Giuliano Amato, nell’intervista al quotidiano “La Repubblica” di cui si parla da giorni, si sia esposto in prima persona e abbia tirato in ballo Bettino Craxi (con la cui figura, peraltro, sta facendo i conti, criticamente, da anni) pur con diverse cautele lessicali. Tipiche di Amato, ex premier ex presidente della Corte Costituzionale. ex ministro che non dice mai cose a caso, ha un modo di parlare (anche a braccio) molto articolato, preciso e lucidissimo.
 
È vero, è falso che siano stati i francesi a sparare il missile che nel giugno del 1980 colpì il Dc 9 Della compagnia aerea Itavia provocando la morte di 81 persone? Chissà. È verosimile. Il che non significa che sia vero.
È vero, è falso che Craxi abbia informato il leader libico Muammar Gheddafi che si preparava un attacco contro di lui? Chissà. È verosimile. Il che non significa che sia vero.
Quello che potrebbe essere vero, comunque, è che qualcuno dall’Italia avvertì i libici. Luigi Zanda, ex portavoce di Francesco Cossiga, citando dichiarazioni dello scomparso ex presidente, attribuisce per esempio la responsabilità ai servizi segreti (senza però dire quale servizio o chi nei servizi). Cossiga, che nel 1980 era presidente del Consiglio, negli anni 2000 parlò molto della vicenda di Ustica e disse che l’ipotesi più plausibile era che l’aereo civile italiano fosse stato abbattuto da un caccia francese.
 
I rottami del cockpit del Dc 9 Itavia. Foto diffusa da Davide Alberani su Flickr.com con licenza creative commons
 
Nel 1980 Bettino Craxi non aveva incarichi di governo, ma il ministro della Difesa era il socialista Lelio Lagorio. Nel 1980 i francesi erano nella Nato, ma non nel comando militare integrato della Nato, da cui erano usciti nel 1967 e nel quale torneranno poi solo nel 2009 (Amato peraltro non dice: “è stata la Nato”, ma parla dei francesi in combutta con gli americani e “di chi partecipò alla guerra aerea nei nostri cieli” e dice che per attaccare l’aereo che avrebbe dovuto trasportare Gheddafi si organizzò la “simulazione di una esercitazione della Nato”. Anche perché la Nato di certo non si sarebbe messa a fare una riunione ufficiale per decidere di ammazzare Gheddafi…).
 
Che diversi governi ce l’avessero con la Libia di Gheddafi non è esattamente un mistero.
Nel 1986 gli Stati Uniti, che lo accusavano di sostenere il terrorismo e di produrre armi di distruzione di massa, provarono a colpirlo bombardando la Libia (Craxi, allora premier, venne indicato come l’autore di una soffiata a Gheddafi, ha ricordato anche recentemente il figlio Bobo Craxi). Fu la risposta a un attentato avvenuto in una discoteca di Berlino frequentata da militari Usa. La rappresaglia libica contro gli Usa per quel bombardamento – in cui sarebbe morta la figlia di Gheddafi, mai accertata pienamente – portò all’attentato esplosivo nell’aprile del 1988 a Napoli contro un circolo ricreativo frequentato da militari statunitensi. E all’attentato contro il volo Pan Am 103 nello stesso anno, in dicembre, in Scozia, che provocò 270 morti.
 
La Francia non aveva gradito il tentativo di Gheddafi, nel 1980, di provocare la resistenza armata in Tunisia contro il regime monopartititico del presidente Bourguiba, sostenuto da Parigi.
L’Italia aveva con la Libia un “contenzioso” su Malta, che era stata prima vicina a Tripoli (i libici avevano anche investito anche parecchi milioni di dollari sull’isola) per poi allontanarsene e avvicinarsi a Roma, e anche qualche imbarazzo per le azioni di killer libici contro i dissidenti avvenute sul territorio italiano. Ma il governo italiano si barcamenava comunque tra alleati euro-atlantici e libici.
 
Tra chi partecipò in qualche modo magari non al presunto attacco contro Gheddafi ma a insabbiare le indagini, c’era però sicuramente qualcuno in Italia.
La prima sentenza civile (del 2011) passata poi in Cassazione (nel 2013) su Ustica, ha condannato due ministeri, Trasporti e Difesa, al risarcimento delle vittime per non essere riusciti a prevenire il disastro, e dice che ad abbattere l’aereo fu un missile durante un’azione di guerra. Dice anche che ci fu “sistematico depistaggio” per ostacolare le indagini sul disastro.
I rottami del motore e della porta laterale del Dc 9 Itavia. Foto diffusa da Davide Alberani su Flickr.com con licenza creative commons
 
Vale infine la pena di notare che il Quirinale, con Sandro Pertini (il presidente socialista in carica quando avvenne il disastro di Ustica), fu piuttosto silente sulla vicenda. Dal Quirinale non arrivò neanche alcuna risposta alla lettera della famiglia di una vittima – nel giugno del 1984 – secondo cui non è “degno di un paese civile né compatibile con la democrazia” il fatto che siano passati cinque anni dallo “scoppio del DC 9” senza che ne siano state “accertate le responsabilità e risarcite, soprattutto moralmente, le vittime”. Viceversa, Pertini fu molto prodigo e intervenne spesso sulla successiva vicenda della strage di Bologna, sempre del 1980 (che spesso si mette in relazione con quella di Ustica, senza che però al momento sia stata raccolta alcuna prova).
 
Oltre a chiedere notizie alla Francia, non è dunque troppo tardi per chiedere lumi su che fine abbiano fatto alcuni documenti italiani, nonostante la cosiddetta direttiva Renzi/Draghi sugli archivi. Per esempio, l’Archivio del Ministero dei Trasporti per gli anni delle Stragi (1968-1980) e nello specifico, tutta la documentazione del ministro e del suo gabinetto, come ha scritto Daria Bonfietti, presidente dell’associazione delle vittime lo scorso 30 dicembre 2022.

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