Fateci bere “l’acqua del sindaco” anche al ristorante

Perché non fare come in altre città europee e consentire ai clienti che lo vogliono di bere acqua di rubinetto liscia al ristorante? Non è solo questione di risparmio economico, ma anche di costi ambientali. Tanto più che l’acqua romana è ottima, secondo i parametri. 

 

Nel 1996, Fulvio Vento, un ex sindacalista Cgil portato dal centrosinistra alla guida dell’Acea – all’epoca un’azienda speciale, non ancora quotata in borsa – era convinto che l’acqua di Roma fosse così buona che si sarebbe potuta imbottigliare e vendere. Non se ne fece mai niente, nonostante qualche titolo conquistato sui giornali. Ma che l’acqua che esce dai nostri rubinetti sia di ottima qualità è attestato dai dati (nella tabella potete vedere quelli di giugno scorso), nonostante la fake news che il famoso “calcare romano” provochi i calcoli. E malgrado l’insofferenza di qualcuno per il cloro (che è presente per legge nelle acque potabili e che a Roma può raggiungere il valore limite, effettivamente).

Ma se è così, se la nostra “acqua del sindaco” è davvero buona e sana, perché allora al bar e al ristorante continuiamo a bere quasi sempre la minerale in bottiglia? 

Foto diffusa su Flick.com da John Althouse Cohen con licenza Creative Commons

Un’ottima domanda. Anche perché in altri Paesi, a partire dalla vicina Francia, a tavola è normale servire la “carafe d’eau” ai clienti, senza scomporsi. Invece da noi – tranne i bar, dove spesso si può avere un bicchiere d’acqua del rubinetto – sembra impossibile.

Un problema di costi? Certamente no, perché un litro di acqua pubblica costa mediamente pochissimi millesimi di euro (2 millesimi, secondo l’azienda che gestisce l’acqua pubblica bevuta da 800.000 persone in Basso Valdarno). E anche se un ristorante, che non paga la tariffa domestica, servisse soltanto acqua di rubinetto ai suoi clienti, la spesa non sarebbe mai insostenibile. Basta fare il confronto col costo della minerale, anche la più economica.

Dunque, ci sono diverse buone ragioni per le quali il Comune di Roma, che è anche socio di maggioranza di Acea, dovrebbe convincere le associazioni dei ristoratori romani a fare una scelta amica dei clienti, dell’ambiente e della salute. Non per proibire l’acqua minerale, ovviamente, ma per consentire alle persone di chiedere a tavola l’acqua di rubinetto. 

In questo modo, oltre a venire incontro ai clienti – come si fa dove non si paga il coperto, barbara abitudine che però sopravvive ancora in diversi posti a Roma – si contribuirebbe comunque a ridurre l’uso della plastica (anche se in molti esercizi commerciali si usa per fortuna acqua in vetro: il vetro è il materiale più facilmente riciclabile). In Italia, solo un terzo delle bottiglie di plastica viene effettivamente riciclato; il resto finisce in discarica, inceneritore o dispersa nell’ambiente.

In generale, poi, si ridurrebbe l’uso dell’acqua minerale, di cui noi italiani sembriamo essere i principali consumatori mondiali: perché l’acqua imbottigliata e trasportata per centinaia di chilometri ha comunque un costo ambientale, anche in termini di emissioni di gas a effetto serra, mentre gli imbottigliatori continuano a pagare canoni molto bassi allo Stato (nel 2020, per esempio, le aziende che operano in Umbria hanno pagato mediamente 0,0011 euro al litro).

Infine, sarebbe un’ottima promozione dell’ acqua pubblica, buona e controllata.

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