Un sindaco ecologista per la Capitale

Nella primavera del 2021 si eleggerà il nuovo Sindaco di Roma, ma la discussione politica nella Capitale resta ostaggio dei nomi e della palese difficoltà dei partiti – su tutti il Partito Democratico – di svolgere una seria analisi dei mali della città e di trarne le dovute conseguenze programmatiche.

[Questo post è stato scritto da Guglielmo Calcerano, co-portavoce dei Verdi di Roma, e da Nando Bonessio, co-portavoce dei Verdi del Lazio]

Nel vuoto di idee, quindi, le primarie del cosiddetto centrosinistra più che un processo democratico di scelta del candidato sindaco sono divenute la mera rappresentazione di quel processo. Non servono ad assicurare una solida leadership (vedasi il caso di Ignazio Marino) e tutti – ma proprio tutti – possono parteciparvi. Persino Carlo Calenda: un conservatore-liberale interessato ad una alleanza con Forza Italia, il cui unico valore aggiunto è quello di essere gradito all’establishment ed ai principali organi di stampa.

L’esperienza di Virginia Raggi al Campidoglio è stata, nel complesso, poco meno che disastrosa. Tuttavia, i problemi di Roma nascono da ben prima del 2016. Il M5S ha fallito non per incapacità, ma perché – a dispetto delle promesse fatte – non ha segnato alcuna vera discontinuità rispetto al passato, nonostante potesse contare su una granitica maggioranza consiliare monocolore che, a Roma, non si vedeva dai tempi di Ottaviano Augusto.

Foto di Jubilo Haku diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Vicende come il progetto per lo stadio della Roma a Tor di Valle – lanciato dal Sindaco Pd Marino e dal suo assessore Giovanni Caudo, ma poi confermato e peggiorato da Raggi – dimostrano che l’idea di sviluppo della città è sempre la stessa: consumo di suolo, varianti al Piano regolatore per rendere edificabile ciò che non lo è, mortificazione dei valori ambientali e paesaggistici.
Neppure le indagini penali a carico del costruttore Parnasi hanno dissuaso la sindaca dal portare pervicacemente avanti – col silenzioso placet della Regione Lazio, presieduta da Nicola Zingaretti – la cementificazione dell’ansa del Tevere, in cui l’area effettiva dello stadio incide per meno del 25% dell’edificato. E con quali vantaggi per i romani? Inutili spazi commerciali, che non risolvono l’emergenza abitativa; l’intasamento del traffico nel quadrante sud-orientale; altre opere a beneficio del trasporto su gomma, che non vanno ad infrastrutturare abitati preesistenti, ma solo a collegare le nuove costruzioni al resto della città, inseguendo ancora una volta il miraggio del rilancio economico attraverso il mattone.

Quanto ai rifiuti, Marino aveva almeno chiuso la maxi-discarica illegale di Malagrotta, portando la raccolta differenziata cittadina (sia pure di bassa qualità, poiché attuata col metodo dei cassonetti stradali) dal 30% al 41% in due anni.
Con Raggi la differenziata è cresciuta di appena 3 punti in 4 anni, addirittura scendendo sotto al 44% nel 2018, contro il 44,8% dell’anno precedente. E ora la sindaca – che nel corso del suo mandato non è riuscita a dotare Roma di adeguata impiantistica per il trattamento circolare dei rifiuti, e che da ultimo ha respinto anche le ragionevoli proposte di decentramento gestionale contenute nella delibera consiliare di iniziativa popolare “De-liberiamo Roma” – torna al punto di partenza, e promuove la realizzazione di una nuova discarica nella stessa area, a Monte Carnevale (1,5 Km da Malagrotta), tradendo definitivamente i comitati dei residenti.

Nel frattempo, grazie al contenzioso economico alimentato dal comune-azionista, la municipalizzata dei rifiuti Ama non approva un bilancio dal 2016, ciò che – secondo la normativa europea – imporrebbe la messa a gara del servizio di raccolta dei rifiuti, a meno che Roma Capitale non si determini finalmente per la erogazione diretta.
Uno scenario che – oltre a puntare di fatto sul sistema incenerimento-discarica, in contrasto con le direttive europee sui rifiuti del 2018 – sembra fatto apposta per favorire il grande ritorno dei privati nella gestione della monnezza di Roma: nella migliore delle ipotesi, trasferendo il servizio alla multiutility Acea, quotata in borsa e partecipata da Roma Capitale solo al 51%, e per il resto nelle mani di Suez e del gruppo Caltagirone.

Foto di Riccardo Romano diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Sul fronte della mobilità – ricordato che, dopo la trasformazione di Atacin S.p.a. nel 2000, si è avuto tra il 2006 ed il 2015 un vero e proprio tracollo dell’offerta di mobilità pubblica della Capitale, fino a 13 milioni di vetture al km in meno – constatiamo che oggi l’Azienda pubblica dei trasporti è in concordato preventivo, di fatto impossibilitata ad investire nel miglioramento delle infrastrutture e del parco mezzi, ma ancora in grado di alimentare la pletora di clientele, fornitori inclusi, che sono all’origine dell’esposizione debitoria accumulata negli anni (Atac nel 2017 aveva circa 12.000 dipendenti, di cui solo 7.000 autisti; per fare un paragone, l’Ilva nel 2016 aveva circa 15.000 dipendenti). Anche qui la sindaca – che nel 2017 rifiutò il piano di ristrutturazione “lacrime e sangue” dell’ex Direttore generale di Atm Bruno Rota, poi dimissionato  – ha pagato dazio come e più dei suoi predecessori ai poteri locali.

Quanto al verde pubblico, in piena emergenza climatica, in una città rovente d’estate e perennemente allagata d’inverno, i progetti di forestazione urbana lanciati dalla giunta M5s si sono esauriti con la messa a dimora di fuscelli di pochi centimetri, abbandonati al loro destino e ormai disseccati, per lo più in zone isolate e parchi, quando invece la mitigazione climatica e la messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico richiederebbero la collocazione di alberi (veri) nelle strade e nelle piazze.
La cura del verde verticale – in totale continuità rispetto alla precedente giunta a guida Pd – è ancora affidata, per bando, a ditte private, che talvolta abbattono o capitozzano in maniera scriteriata, e altre volte lasciano crollare a terra esemplari vecchi o già passati a miglior vita, alimentando la psicosi dell’albero-killer. Il tutto nella perdurante assenza di un Piano per il clima e di un Regolamento del Verde pubblico, documento – quest’ultimo – adottato dalla Giunta Raggi come proposta, ma mai entrato in vigore, perché mai approvato dall’Assemblea capitolina.

E ci sarebbe ancora da parlare del tradimento del referendum sull’acqua pubblica, con Acea che dal 2013 ad oggi ha continuato a distribuire ai propri soci oltre il 90% dei propri utili, mentre le perdite della rete idrica sono ancora attestate al 40%. E poi il mare negato di Roma, con Roma Capitale e Municipio X (Ostia) – anch’esso a guida Cinque Stelle – che in quasi 5 anni non hanno abbattuto neppure un centimetro del cosiddetto lungomuro, e che col nuovo Piano di Utilizzo dell’Arenile si accingono ad appaltare ai privati anche la gestione delle spiagge libere.
E poi gli sgomberi che hanno cancellato o cercano di cancellare decine di realtà associative che presidiavano il territorio, come la Casa Internazionale delle Donne, trattata come un qualunque inquilino moroso nonostante i servizi di assistenza resi in supplenza al Comune. E poi l’indifferenza rispetto a temi come il diritto all’abitare, la scuola per l’infanzia, la difesa delle minoranze e dei diritti civili, per non parlare della mancata iniziativa da parte della Giunta uscente rispetto ad obiettivi ambiziosi come la promozione delle comunità energetiche locali, l’efficientamento energetico dei palazzi pubblici, la trasformazione di Roma in una smart city anche al fine di meglio contenere l’epidemia di Covid-19.

Foto di Godot diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Roma più che il resto del nostro Paese è all’ultimo stadio di un modello basato sullo sfruttamento cieco delle persone, degli animali e dell’ambiente, a vantaggio di pochi gruppi di interesse. Un modello che forse non origina dalle forze di centrosinistra, ma che da queste forze è stato negli anni accettato come se non vi fossero alternative.

Per questo a Roma occorre una drastica inversione di rotta ed una leadership saldamente ecologista. Solo pochi mesi fa, nel giugno 2020, candidati sindaci ecologisti hanno vinto a Lione, Marsiglia, Bordeaux ed in altre città francesi, e il partito verde Eelv ha contribuito in maniera decisiva alla riconferma della socialista Anne Hidalgo a sindaca di Parigi.

Anche a Roma è possibile una riscossa delle forze progressiste, ma solo se saranno capaci di condividere una visione della città incentrata sul binomio giustizia sociale-giustizia ambientale, piuttosto che ripetersi a vicenda il refrain “uniti per sconfiggere le destre”.

Non si tratta di niente di rivoluzionario: ritorno alla mano pubblica nei servizi, con lo strumento dell’azienda speciale, per realizzare impianti ed infrastrutture green quali basi della riconversione ecologica dell’economia. Finanziamento dell’attività del Comune con un professionale e sistematico ricorso ai fondi europei e regionali, e magari con il credito agevolato di Cassa Depositi e Prestiti. Vero decentramento di funzioni e risorse tra Comune e Municipi (occasione persa sia sotto Raggi che ai tempi di Marino) e rinnovamento della macchina amministrativa, ormai obsoleta. Valorizzazione dell’impresa privata che si basa su innovazione, rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente (la cosiddetta “condizionalità ambientale e sociale”), anche utilizzando la piccola leva fiscale di cui il Comune dispone attraverso la Tassa sui Rifiuti. Ricostruzione di un tessuto cittadino coeso, a partire dalla creazione di spazi per il sociale e per l’abitare mediante l’utilizzo del patrimonio immobiliare di Roma Capitale. Approvare il Regolamento del verde pubblico ed un piano di mitigazione climatica (che poi, tutto sommato, sarebbe sufficiente piantare alberi ed assumere personale che se ne prenda cura). Un patto tra centro e periferie per l’equa distribuzione di impianti industriali (in particolare per il trattamento dei rifiuti) e delle strutture di assistenza ed accoglienza rivolte alle fasce più deboli della popolazione.

Sono queste le analisi e le proposte che, come Verdi-Europa Verde di Roma e Lazio abbiamo lanciato sul sito www.unsindacoverdeperroma.it , in cui tutti possono consultare la nostra piattaforma programmatica, formulare osservazioni e suggerimenti e proporre autocandidature (non alle primarie, però…). Magari è possibile cominciare dal definire un programma ed una forte inversione di rotta, e non dal nome della sindaca o del sindaco in pectore.

Come abbiamo detto, non dobbiamo lasciarci ingannare dagli aspetti naif del Movimento Cinque Stelle: scie chimiche, democrazia diretta, piattaforma Rousseau. L’insuccesso di Raggi a Roma non è figlio dell’inesperienza o dell’incapacità, ma del ragionato (ancorché dissimulato) perseguimento di politiche neoliberiste, estrattive, clientelari, anti-ecologiste, il cui prezzo è ricaduto sulle fasce più deboli della cittadinanza, in piena continuità, su ogni fondamentale questione, alle politiche errate portate avanti, in passato, anche dalle forze progressiste (e, perché no, anche da noi Verdi).

Oggi gli ecologisti, a Roma come nel resto d’Italia, non vogliono affatto essere semplicemente “contro” qualcosa, ma non ci interessa più neppure l’ordinata ed efficiente gestione dell’esistente, ossia l’unica offerta politica che per ora il centrosinistra, incapace di fare autocritica, sembra essere in grado di formulare agli elettori. Ci sono proposte verdi, per il governo di Roma, ampiamente condivisibili, e ci sono alcuni “no” (ai palazzinari, alle esternalizzazioni indiscriminate, alla corruzione e al malaffare) che vanno detti con chiarezza. Partiamo da questi “sì” e da questi “no” per arrivare, magari insieme, ad #unsindacoverdeperroma.

[La foto del titolo è di Riccardo Romano ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

 

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