Calenda & Bertolaso

Qualche mio amico “di sinistra”, convintissimo di voler votare Carlo Calenda alle elezioni comunali, ieri ha reagito con un soprassalto all’ipotesi che l’ex ministro possa nominare suo vice, se dovesse mai vincere la corsa per il Campidoglio, Guido Bertolaso, fino a pochi mesi fa considerato il miglior candidato possibile del centrodestra.
“Ma come, Bertolaso???”, mi ha scritto su Whatsapp uno degli amici in questione con stupore, stupore sincero quanto lo era stato il mio quando mi aveva detto che voleva votare Calenda.

Calenda piace perché è diretto, ha il piglio decisionista, la battuta pronta, affilata. Reagisce de panza, diremmo a Roma. Talvolta pure troppo, aggiungerei. È un uomo del fare, con un passato da manager, appare come uno che non ama perdere tempo. Non gli piace l’immagine del politico, preferisce quella dell’amministratore, del ministro, anche se si è fatto eleggere eurodeputato (con i voti del Pd). 

Un altro amico, che pure aveva annunciato il voto per lui, diceva giorni fa che Calenda in fondo è uno di centro che guarda a destra, anche se negli ultimi anni ha fatto finta di guardare a sinistra (ma Calenda comunque viene per parte di madre da una famiglia storicamente di sinistra, i Comencini; e quell’aria ha respirato, da giovane).
Lo stesso amico, però, si è meravigliato ieri per l’annuncio su Bertolaso. Probabilmente perché su Bertolaso pesa, a sinistra, il giudizio negativo per la sua vicinanza, per anni, a Silvio Berlusconi, per il capitolo delle Grandi Opere e la vicenda imbarazzante dei massaggi in un club sportivo di Roma Nord.

Eppure Guido Bertolaso – che non credo sia mai stato uomo di sinistra – nasce come bravo manager di emergenze, chiamato dal premier Romano Prodi a guidare la Protezione Civile e dalla giunta di Francesco Rutelli a occuparsi dei lavori per il Giubileo 2000. Ed è uscito indenne da tutte le vicende giudiziarie che lo avevano coinvolto, sulle famose grandi opere.

Ovviamente, il richiamo di Calenda a Bertolaso è stato letto come un tentativo di conquistare voti tra la destra moderata, che magari è a disagio con Enrico Michetti. Perché, nei sondaggi, il leader di “Azione” (che qualcuno chiama “Ciak, Azione”, in omaggio alla frequentazione cinematografica familiare) non vola. Anche se può togliere voti a Roberto Gualtieri, candidato principale del centrosinistra – perché in fondo Calenda è un candidato di centrosinistra, sia pur minore.
Ed è questo strizzare l’occhio a destra che ha infastidito i miei amici, che si fanno qualche scrupolo “ideologico”, per così dire. Vogliono votare Calenda, ma da sinistra; non vogliono confondersi con la destra.

Ma per Calenda il mondo è così. Lo dice il suo slogan: “Vota il sindaco, non il partito”. L’idea è quella di una politica, di un sistema di partiti, di cui gli uomini di valore, quelli del fare, debbono liberarsi. Per cui, Calenda può apprezzare Bertolaso, pur se lo voleva candidare il centrodestra, e anche l’ex sindaco Ignazio Marino, un altro “tradito dai partiti”.
Sulle competenze da sindaco – che è un ruolo politico, in cui si ascolta, si media, si fa diplomazia e moral suasion, oltre a decidere – di un manager o di un primario ospedaliero, per quanto apprezzati, non vorrei discutere qui: mi limito a segnalare che a quanto pare per queste categorie le regole non valgono.

Il messaggio sembra essere quello, insomma, che ci dovremmo affidare a chi ha dimostrato di essere capace. Capace però di fare un altro mestiere, appunto.

[La foto del titolo è di Roberto Ferrari ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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