La consapevolezza alimentare spiegata agli adolescenti

[Fabio Tittarelli è un ricercatore del CREA, Il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria]

Questo articolo potrebbe cominciare così: “Forse non tutti sanno che…”, come la nota rubrica della Settimana Enigmistica che riporta personaggi e fatti insoliti o poco conosciuti. In effetti, forse non tutti sanno che la produzione ed il consumo di cibo, così come è organizzato il sistema agroindustriale nell’Unione Europea e nei paesi occidentali in generale, sono responsabili del 30% delle emissioni totali di gas serra. Ed è proprio quello che siamo andati a spiegare qualche tempo fa in una scuola di Maccarese, per scoprire insieme agli studenti qual è l’impronta carbonica di quel che mangiano.

I sistemi agricoli e gli allevamenti più intensivi sono ormai da anni oggetto di grande attenzione da parte degli scienziati e dei decisori politici, perché gli effetti collaterali della produzione e del consumo di cibo sembrano non essere più sostenibili. Oltre agli aspetti relativi alla perdita di biodiversità e di contaminazione dell’acqua di falda, un elemento di sempre maggiore preoccupazione è dato dal contributo del sistema agroindustriale al riscaldamento globale. In generale, il cittadino/consumatore non ne è al corrente, non ne ha consapevolezza.
Se questa è la situazione per gli adulti, a maggior ragione, fra gli adolescenti, in generale, l’ignoranza sulle conseguenze ambientali delle nostre scelte alimentari, regna sovrana. Per questo motivo, la Commissione Europea, oltre a pubblicare documenti a carattere strategico per una trasformazione del nostro modo di produrre e consumare cibo, sta investendo nella diffusione della conoscenza delle Politiche agricole comunitarie (PAC).
Il progetto CAP-PERI (Common Agricultural Policy, Peer Educational Resources in Italy), fra le altre cose, si occupa proprio di aumentare la conoscenza delle politiche agricole fra i cittadini italiani. Replay Network Aps, un’associazione di promozione sociale composta da educatori e formatori che si occupano di educazione non formale, è partner del progetto. Per questo, ha promosso l’attività “Laboratorio di indagine per la conoscenza della PAC” con alcune classi dell’Istituto di Istruzione Superiore Leonardo da Vinci di Maccarese.

Solo per fare qualche esempio: la produzione di un chilo di carne bovina è responsabile dell’emissione di 60 chili di CO2, mentre per un chilo di carne di pollo se ne emettono 6, per un chilo di legumi 0,9 e per un chilo di mele 0,4

Insieme a Tiziana Veglianti e a Elisa Grossi, educatrici e formatrici di grande esperienza di Replay Network, abbiamo deciso di approfondire con gli studenti la questione dell’impatto ambientale dei consumi alimentari. In particolare, abbiamo coinvolto gli studenti ed i professori nel monitoraggio dell’impronta carbonica dei propri consumi alimentari (Food Carbon Footprint).
Allo scopo di spiegare perché la produzione dei diversi alimenti abbia un effetto tanto diversificato in termini di emissione di gas ad effetto serra, e per dotare tutti gli studenti di una griglia di valori comuni di emissioni che fosse molto robusta da un punto di vista scientifico, abbiamo usato come base un articolo, “Reducing food’s environmental impacts through producers and consumers”, scritto da Poore e Nemcek nel 2018 sulla prestigiosa rivista scientifica Science.
In classe, abbiamo analizzato e discusso insieme i dati relativi all’emissione di CO2 connessi alla produzione dei diversi alimenti. Abbiamo così messo in evidenza, solo per fare qualche esempio, che la produzione di un chilo di carne bovina è responsabile dell’emissione di 60 chili di CO2, mentre per un chilo di carne di pollo se ne emettono 6, per un chilo di legumi 0,9 e per un chilo di mele 0,4.
Dopo aver effettuato alcuni esempi concreti per verificare che le modalità di calcolo delle emissioni di CO2 fossero chiare e condivise da tutti, agli studenti è stato chiesto di fare un vero e proprio monitoraggio della spesa alimentare familiare nel corso di due settimane consecutive, con indicazione delle quantità in peso acquistate dei diversi alimenti e del calcolo delle relative emissioni prodotte utilizzando i valori riportati nell’articolo scientifico.

Il mulino di Maccarese, che ospita la sede di Bioversity International, agenzia Fao. Foto di Dag Terje Filip Endresen diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Due settimane dopo

A distanza di due settimane, siamo tornati in classe, a discutere i dati raccolti dagli studenti. Eravamo pronti ad errori di compilazione delle schede, al parziale coinvolgimento dei singoli studenti nel monitoraggio della propria spesa alimentare familiare, ma alcune osservazioni e commenti ci hanno preso alla sprovvista. Sebbene avessimo specificato, per la buona riuscita del monitoraggio, che le abitudini alimentari non sarebbero state oggetto di alcuna forma di giudizio, il consumo predominante di pasta e carne (bovina e pollo) nella stragrande maggioranza delle famiglie ci ha fatto capire come la velocità di preparazione e la necessità di sfamare facilmente degli adolescenti in piena fase di sviluppo fossero i criteri principali di scelta per gli acquisti alimentari di famiglie in cui spesso gli adulti sono fuori casa dalla mattina presto alla sera tardi.
Ma la cosa che ci ha maggiormente colpito nell’analisi collettiva dei dati riportati dagli studenti, è stata la mancanza di acquisto di formaggi. Alla domanda, che voleva semplicemente evidenziare un piccolo errore nella rilevazione dei dati, “Non vedo formaggi nei vostri monitoraggi: non comprate il Parmigiano a casa vostra?”, la reazione degli studenti è stata del tutto inattesa e per certi versi stupefacente. Occhi sgranati, bocca aperta per lo stupore (questa solo immaginata, visto che tutti indossavamo la mascherina) ed una spiegazione condivisa da molti, anche se riportata solo dagli studenti più coraggiosi che non si tiravano indietro nella discussione: “Ma il Parmigiano che c’entra? Il Parmigiano fa parte della pasta!”.
Ancora occhi sgranati e bocca aperta (questa volta da parte mia che cercavo di guidare la discussione): “Sì, capisco che lo utilizziate tutti per condire la pasta, ma è un formaggio, un prodotto alimentare a base di latte vaccino che, come potete vedere nella tabella, ha un suo bell’impatto sull’ambiente in termini di emissione di CO2!”.

A quel punto, per fortuna, ha prevalso la voglia di scherzare e di fare battute (con il coinvolgimento di tutta la classe) e le “perle giustificative” per la mancanza del Parmigiano nell’elenco dei prodotti alimentari non si sono più contate. Forse la più bella, che probabilmente susciterebbe l’ilarità di molti stranieri per l’adesione allo stereotipo dell’italiano medio, grande consumatore di Parmigiano, è: “Ma il parmigiano non si compra, sta lì, lo danno con il frigorifero…!”. Molto divertente, ma il docente che è in me ha subito rilanciato: “E la mozzarella?” Occhi sgranati e bocca aperta… “Ma, la mozzarella è mozzarella…!”. Altro prodotto alimentare iconico e rappresentativo dell’italianità dei nostri ragazzi. Parmigiano e mozzarella non sono classificabili, vivono di vita propria (nel caso del Parmigiano, all’interno del frigorifero dal giorno del suo acquisto), oppure come elemento imprescindibile della nostra dieta, ma non riconducibile ad alcuna categoria di prodotto alimentare.

Nell’incontro successivo c’è stata l’occasione per verificare come alcuni concetti di base sull’impatto ambientale delle produzioni agricole fossero diventati patrimonio comune, ma anche di approfondire altri aspetti sul cambiamento climatico e sui diversi sistemi di produzione agricola

Dopo un’analisi dei principali errori di compilazione, con gli studenti ci siamo messi d’accordo per altre due settimane di monitoraggio con l’obiettivo di una riduzione del 25% delle emissioni complessive, attraverso un riorientamento delle scelte di acquisto che tenesse conto del loro impatto ambientale. Nell’incontro successivo, oltre a discutere insieme i risultati dei loro monitoraggi, c’è stata l’occasione per verificare come alcuni concetti di base sull’impatto ambientale delle produzioni agricole fossero diventati patrimonio comune, ma anche di approfondire altri aspetti di carattere più generale, sul cambiamento climatico e sui diversi sistemi di produzione agricola.

Il contatto con il mondo della scuola, esperienza nuova per me che negli ultimi anni l’ho vissuta solo come genitore, lascia delle sensazioni ambivalenti. Da una parte, il rammarico per le carenze strutturali che, mi dicono gli amici insegnanti, è un problema comune nelle scuole italiane e non è certo responsabilità di chi la scuola la frequenta tutti i giorni (dal preside allo studente del primo anno). Dall’altra, la speranza, nel vedere che, in ogni realtà scolastica ci sono docenti che non si fanno scoraggiare dai problemi e che suppliscono con l’entusiasmo alle difficoltà e studenti che, quando l’occasione si presenta, si fanno coinvolgere e reagiscono con prontezza agli stimoli.   

Ho personalmente un bel ricordo dell’ultimo giorno di incontro con gli studenti. Avevamo chiesto loro di preparare una serie di domande sulle tematiche affrontate negli incontri precedenti, a cui avremmo provato a dare una risposta. Dopo pochi minuti, si è creato un momento “magico” in cui siamo riusciti a trattare gli argomenti in discussione toccando le corde giuste e percependo l’attenzione degli studenti e delle professoresse presenti. Una classe intera in silenzio ed in ascolto. Quando ho concluso la mia presentazione, una delle professoresse presenti mi ha ringraziato per l’interesse suscitato ed ha proposto alla classe un applauso. Lì, in quel momento un po’ imbarazzante per la situazione inattesa, fortunatamente, dal fondo della classe si è levata una voce che sovrastando le altre mi ha fatto i complimenti a modo suo: “Grande Fabione!!”, riportandomi alla realtà di questa esperienza didattica che, incredibilmente, ci ha permesso di avvicinare gli studenti alle politiche agricole comunitarie.

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