Piazzale Flaminio: il falò delle vanità

“Chiuso temporaneamente” c’è scritto sul web, se si prova a googolare alla voce “Bancarella del Professore”. L’effetto di quella scritta, bianca su campo rosso, è ambivalente. Da una parte, quel “chiuso” sancisce il gravissimo danno subito dall’attività. Dall’altra, il “temporaneamente” pare quasi un irriducibile, seppure flebile, messaggio di speranza.

Che già da qualche anno, quella che era quasi un’istituzione per i romani amanti di libri usati, cercasse di sopravvivere con difficoltà nel mare magnum del nuovo mondo, quel mondo che rende sempre meno “à la page” il libro cartaceo – tanto più se usato – e sempre più competitive le vendite on line, a discapito dell’antico piacere di sfogliare pagine polverose e vissute, non è un mistero.

 

Due anni di Covid, con la conseguente drastica riduzione dei flussi turistici, la grossa crisi economica planetaria, oltre alle trasformazioni sociali e dei gusti portate dalle nuove tecnologie, non hanno certo aiutato quello storico esercizio a due passi da Piazza del Popolo. Persino la sua pagina Facebook pare non essere stata più aggiornata in quest’ultimo biennio. Segno di un declino ormai di vecchia data.

L’incendio del 9 luglio potrebbe essere, perciò, il definitivo colpo di grazia. Un incendio quasi certamente di natura dolosa. In una Roma che va a fuoco ovunque, nelle sue case, nei suoi parchi, nelle sue campagne, il falò di piazzale Flaminio diventa qualcosa di ancora più odioso. Viene colpita Roma, non solo nei suoi quartieri, nei suoi spazi verdi, nella sua quotidianità, ma persino nella sua anima, nella sua storia polverosa, quella che anche quei libri del “Professore”, nel loro piccolo, rappresentavano.

“Dort, wo man Bücher verbrennt, verbrennt man am Ende auch Menschen” diceva Henrich Heine, ovvero: “Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli esseri umani”. Non è un caso se il rogo di libri è associato, quasi sempre, ai momenti più bui della storia umana, come la tragica epoca della Germania nazista, o come la Firenze fanatica di Gerolamo Savonarola e del suo “Falò delle vanità”.

E forse davvero una “vanità” era il tentativo di resistere a tutto, ai tempi che cambiano, alla morte dell’editoria cartacea, all’agonia del commercio al dettaglio, tutte cose alle quali, senza grossi proclami, la “Bancarella del Professore” provava a mettere un freno, col semplice fatto di esistere, pur con tutti i suoi limiti e i suoi innegabili difetti. Una “vanità”, alla quale, in una notte di luglio, ha forse definitivamente messo fine un terribile “falò”, appiccato da mani ancora ignote.

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