Quel “Grande Fratello” del ‘700

Sull’isola di Santo Stefano, nell’arcipelago di Ponza, c’è un grande carcere oggi in disuso, rimasto attivo, per quasi due secoli, fino al 1965. Quasi tutti i penitenziari più famosi del passato sorgono su un’isola: da Alcatraz, all’Isola del Diavolo, dallo Chateau d’If del Conte di Montecristo, fino alla nostra Asinara.

Il carcere di Santo Stefano, ha però una particolarità, che gli altri istituti non possono vantare, dovuta alla pianta della sua costruzione. È stato, infatti, uno dei primissimi edifici carcerari al mondo a venire costruiti secondo i principi del Panottico, un sistema tanto razionale e geniale, quanto inquietante, ideato nel settecento dal filosofo inglese Jeremy Bentham.

Il controllo invisibile

Panottico è una parola di origine greca, che sta a indicare una “visione globale”. L’idea di fondo è, tutto sommato, molto semplice. Il concetto è quello di permettere a un unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti di una istituzione carceraria, senza dar modo a questi di capire se siano in quel momento controllati o no.

Per riuscirci, è sufficiente costruire un carcere con pianta semicircolare, come quella dei teatri greci e romani, al cui centro vi fosse la guardiola del sorvegliante. I carcerati, sapendo di poter esser osservati tutti insieme, nello stesso momento, dal custode, grazie a quella particolare struttura della prigione, avrebbero assunto comportamenti disciplinati e mantenuto l’ordine in modo quasi automatico.

Infatti, la percezione da parte dei detenuti di un invisibile controllo da parte del guardiano, li avrebbe condotti a obbedire sempre alla disciplina e alle regole del carcere, come se fossero perennemente osservati. 

Bentham descrisse il Panottico come “Un nuovo modo per ottenere potere sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima”.

Era perciò inevitabile che il Panottico divenisse ben presto una metafora del controllo da parte del potere e, di conseguenza, suggerisse l’idea di un regime totalitario. In questo senso fu citato da numerosi intellettuali, come Michel Foucault, Noam Chomsky, o Zygmunt Bauman, che in un suo saggio lo paragonò ad alcuni meccanismi informatici attivati nel ventunesimo secolo. Pare che anche George Orwell si sia ispirato al Panottico, per concepire il sistema del Grande Fratello, nel suo romanzo “1984”.

Il nome Panottico, richiama alla mente anche la figura di Argo Panoptes, un gigante della mitologia greca, che poteva vantare un centinaio di occhi. Appena tre anni dopo la teorizzazione del Panottico, fatta da Bentham, il re Ferdinando I delle Due Sicilie decise di mettere in pratica quelle idee, nel territorio del suo regno.

Era il 1795. Fu scelta l’isola di Santo Stefano, all’epoca sotto il dominio borbonico. Lì fu costruito un modernissimo carcere a forma semicircolare. Della sua realizzazione si occuparono il maggiore del Genio Antonio Winspeare e l’architetto Francesco Carpi.

La Repubblica camorrista

Nell’ottobre del 1860, il carcere fu al centro di un curioso episodio, che arrivò a fare proclamare Santo Stefano come “repubblica autonoma”. Mentre il grosso dei soldati borbonici di stanza sull’isola erano stati trasferiti in terraferma, per fare fronte all’arrivo dei volontari garibaldini, i detenuti del carcere, quasi tutti appartenenti alla Bella Società Riformata – il nome che aveva all’epoca la camorra – avviarono una rivolta, che arrivò a proclamare l’indipendenza dell’isola dal Regno della Due Sicilie, sotto il nome di “Repubblica di Santo Stefano”.

La Repubblica si diede addirittura uno Statuto, costituito dai seguenti articoli:

1. Qualunque condannato uccidesse un suo compagno a tradimento sarà punito con la morte.

2. Qualunque condannato offendesse i superiori dell’ergastolo o i guardiani, per vie di fatto o per minacce, sarà punito con la fucilazione.

3. Qualunque condannato offendesse la vita e le sostanze degli isolani sarà punito con la morte.

4. Qualunque isolano offendesse l’onore delle famiglie appartenenti ai superiori, guardiani e persone oneste dell’isola sarà punito con la morte.

La Repubblica di Santo Stefano elesse anche un Senato, composto dai camorristi più importanti, che doveva decidere le condanne per coloro che non avessero rispettato lo Statuto.

Ma nel gennaio del 1861, una spedizione di marinai inviati dal regno di Sardegna – che di lì a meno di due mesi sarebbe diventato Regno d’Italia – ristabilì l’ordine, dando fine a quella breve esperienza repubblicana.

Il carcere italiano

Anche sotto la giurisdizione italiana il carcere di Santo Stefano fu ampiamente utilizzato per custodire i detenuti. Detenuti che, durante il ventennio fascista, furono in buona misura detenuti politici. Fra questi, anche detenuti illustri come Umberto Terracini, o come il futuro presidente della Repubblica, Sandro Pertini.

Nel 1965, il carcere di Santo Stefano venne chiuso definitivamente, finendo in stato di abbandono. Da allora si sono susseguiti numerosi progetti di recupero.

Nel gennaio 2016, durante una visita congiunta dell’allora Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, del Ministro per i Beni Culturali, Dario Franceschini e del Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, fu annunciato un piano di recupero e di riutilizzo della struttura, per farne un centro di alta formazione.

Nel 2021 è partito il concorso internazionale per il recupero del carcere, la cui futura scuola di formazione verrà intitolata a David Sassoli, come stabilito poco dopo la scomparsa dell’ex presidente del parlamento europeo.

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