Il primo premier “de noantri”

Il nome di Tommaso Tittoni oggi dice poco. Eppure fu un politico di razza durante il regno d’Italia, più volte ministro, oltre ad essere anche il primo romano a ricoprire l’incarico di Presidente del Consiglio, in questo anticipando di quasi settant’anni colui che fu il secondo capitolino a svolgere quel ruolo, cioè un certo Giulio Andreotti.

Tommaso Tittoni era figlio di Vincenzo, patriota risorgimentale. Il padre fu costretto a scappare da Roma nel 1860 a causa di alcuni atti contro lo Stato Pontificio, per ritornare in città solo dopo gli eventi della breccia di Porta Pia, nel 1870, anno in cui divenne anche deputato del nuovo regno d’Italia. Tommaso seguì presto le orme del padre, venendo anch’egli eletto alla Camera dei Depuati, per la prima volta nel 1886.

Qualche anno dopo, con il secondo governo Giolitti, Tittoni diviene anche ministro, in un dicastero di spicco come quello degli Esteri. Un bel salto di qualità. Tanto che, quando il governo Giolitti cade, è proprio a lui che viene affidato l’incarico di formare un nuovo governo. Sarà il più breve delle storia d’Italia: durerà meno di due settimane, dalla metà alla fine di marzo del 1905.

Di nuovo ministro

Tommaso Tittoni

La sua lontananza dal governo durerà però appena un anno. Nel 1906, dopo una serie di governi a varia guida e di brevissimo respiro, è di nuovo Giovanni Giolitti a diventare Presidente del Consiglio. E Giolitti richiamerà Tittoni come Ministro degli Esteri. Tittoni non sa che si troverà a ricoprire quel ruolo dentro una crisi delicatissima, che si rivelerà determinante per ciò che accadrà pochi anni dopo, allo scoppio della Grande Guerra.

L’Italia, dal 1882, quindi da oltre vent’anni, fa parte della “Triplice alleanza” un trattato che la lega alla Germania e all’Impero Austro Ungarico. L’articolo 7 del trattato, per evitare che Italia o Austria si espandessero nei Balcani, rompendo gli equilibri territoriali e di potere fra i due stati, imponeva all’Austria e all’Italia di fornire compensi territoriali all’altro stato, qualora avesse allargato la propria influenza in quell’area d’Europa. Un articolo che però, fino a quel momento, era rimasto lettera morta.

La crisi per la Bosnia

L’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe

Nell’ottobre del 1908 l’Impero Austro Ungarico decide di annettere la Bosnia Erzegovina. Ecco allora che l’articolo 7 della Triplice Alleanza entra all’ordine del giorno. E sarà proprio Tittoni, in qualità di ministro degli Esteri, a presentare le richieste italiane al governo austriaco. D’altronde la questione di Trento e di Trieste, in quel momento entrambe sotto il dominio asburgico, è ancora aperta.

Ma l’Austria si rifiuta di concedere alcunché all’Italia, nonostante vari tentativi. Per Tittoni è un vero smacco e un colpo per le sue qualità diplomatiche. Eppure nessuno gli chiede le dimissioni. C’è comunque da dire che proprio quell’atto di arroganza austriaco, quell’apparente vittoria asburgica, sarà l’inizio della rovina per il millenario impero guidato dagli Asburgo.

Sei anni dopo, sarà proprio nella capitale della Bosnia Erzegovina, Sarajevo, che l’erede al trono d’Austria verrà ucciso, scatenando così la prima guerra mondiale. E l’Italia, già scottata sei anni prima dall’annessione austriaca della Bosnia, si richiamerà di nuovo all’articolo 7 della Triplice Alleanza, non solo per non entrare in guerra coi suoi alleati, ma per fare presto un voltafaccia che le farà dichiarare guerra all’Austria, contribuendo così alla dissoluzione di quell’impero.

La fine della Grande Guerra

I funerali di Tommaso Tittoni

In tutto questo, Tommaso Tittoni, ritorna a ricoprire il ruolo di Ministro degli Esteri nel 1919. Sarà lui a guidare la delegazione italiana al congresso di pace di Parigi, ottenendo però un nuovo smacco, visto che l’Italia non otterrà quanto richiesto e uscirà sdegnata da quella conferenza, dando il via al mito della cosiddetta “vittoria mutilata”.

Ma il peggiore fra gli accordi sottoscritti da Tittoni, sarà il patto bilaterale fatto con la Grecia, per annettere all’Italia Valona e vari territori dell’Albania, dando in cambio ai greci – per sostenere l’accordo – le isole del Dodecaneso, fino a quel momento territorio italiano. Il tutto al di fuori degli accordi internazionali sanciti dall’accordo di Parigi con cui si era conclusa la Grande Guerra.

Quando l’accordo sottoscritto da Tittoni diviene pubblico, lo scandalo internazionale è tale da portare alla caduta del governo italiano e da costringere il successivo governo Giolitti – che stavolta non richiamerà Tittoni nel ruolo di ministro – a sconfessare e annullare tutti gli accordi fatti con la Grecia, abbandonando ogni velleità in Albania.

Se però si pensa che la carriera politica di Tittoni possa essere stata stroncata da queste débacle, ci si sbaglia di grosso. Tittoni, non più ministro, viene infatti ricompensato con la presidenza del Senato, ruolo che mantiene anche sotto il fascismo, di cui è fervente ammiratore. Nel 1929 ottiene inoltre la presidenza dell’Accademia d’Italia – il più importante istituto culturale fascista – e diventa membro del Gran Consiglio, nel quale siederà fino alla sua scomparsa, che arriverà a 76 anni, nel 1931.

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