L’enigma dei Santi Apostoli
“Fldlcsotcecvb”: la nostra storia potrebbe cominciare così, con una parola incomprensibile, astrusa, misteriosa, incisa nel marmo al centro di Roma. Per l’esattezza all’ingresso della basilica dei Santi Apostoli. E, detta così, sembra quasi l’inizio di un nuovo romanzo di Dan Brown, fra misteri vaticani, antichi segreti alchemici e ricerche del sacro Graal.
Poi, proprio come in un romanzo di Dan Brown, alla fine delle ricerche si scoprirà che quella parola non è affatto priva di senso, ma ci svela un segreto che l’architetto incaricato dei lavori aveva pensato bene di custodire, per non incorrere nelle ire del papa.
Non ci si fa subito caso a quella scritta. Per vederla occorre sollevare lo sguardo prima di entrare e puntare l’attenzione in direzione delle statue che sono state poste sopra le arcate d’ingresso. Tredici statue, per l’esattezza, che raffigurano Gesù e i suoi dodici apostoli.
A volerle lì, quelle statue, durante la ristrutturazione della chiesa iniziata alla fine del Seicento, è un cardinale: Lorenzo Brancati, originario di Lauria, in Basilicata. Da qualche tempo era divenuto il guardiano della basilica dei Santi Apostoli, nonché il custode della Biblioteca Vaticana. Viene poi nominato anche cardinale da papa Innocenzo XI.
Quando le tredici statue vengono poste sopra la balaustra che sovrasta il colonnato, nel basamento di ciascuna di loro viene incisa una lettera. Tredici lettere per tredici statue, a comporre quella strana parola piena di consonanti: “Fldlcsotcecvb”.
Qualcuno, a questo punto, potrà pensare che le lettere non compongono una parola, ma sono forse le iniziali del nome dell’apostolo posto sopra al corrispondente basamento. Ma non è così, le lettere non coincidono. A dimostrarlo c’è, ad esempio, il fatto che sotto la figura di Gesù non c’è una “G”, né una “I” a indicare Iesus, bensì una “O”.
Chissà in quale sconosciuta lingua sarà stato scritto quel messaggio inciso nel marmo. E chissà quale importante segreto iniziatico potrà svelarci, una volta svelato l’arcano.
Ebbene, comincio a darvi degli indizi utili. Per prima cosa, sappiate che la lingua utilizzata non è affatto misteriosa. Non si tratta di un qualche dimenticato dialetto celtico, né dell’elfico, o dell’antico sanscrito. È anzi la lingua più comunemente usata per tutte le iscrizioni pubbliche realizzate a Roma in quell’epoca: il latino.
Sì, lo so bene che “Fldlcsotcecvb” in latino non significa nulla. Infatti quella non è una parola misteriosa, bensì un acrostico, cioè una serie di iniziali che vanno a comporre una frase.
C’è da sapere che a quell’epoca solo ai papi era concesso l’onore di vedere impresso il proprio nome sulle chiese di Roma, per poter tramandare ai posteri il ruolo avuto nella costruzione o nell’abbellimento di un edificio pubblico.
In quel caso però, i lavori erano stati commissionati non da un papa ma da un cardinale. L’architetto si trovava così in una difficile situazione: non menzionare il committente, facendogli l’affronto di non ringraziarlo? Oppure incidere il suo nome sul marmo, col rischio però di offendere il papa? Ecco allora che gli venne in mente una geniale soluzione di compromesso.
Le tredici lettere presenti sui basamenti delle statue, infatti, costituiscono le iniziali di una frase latina che, tradotta in italiano, suona più o meno: “Frate Lorenzo Di Lauria, Consultore del Santo Offizio, Teologo, Cardinale, Vescovo, Custode della Biblioteca Vaticana”.
Insomma quella scritta è una dedica, ma sapientemente mascherata. L’architetto ha pensato di tramandare ai posteri la notizia di questa committenza, ma, per non urtare la suscettibilità del papa con una scritta laudativa di un committente che non aveva il ruolo di pontefice, ha pensato a questo acrostico.
Così, soltanto una lettera sotto ogni statua, per una sequenza che in pochissimi potevano comprendere e leggere. Oltre tutto in una posizione al tempo stesso visibilissima e invisibile. È all’ingresso della chiesa, sotto gli occhi di tutti, ma lassù in alto chi ci fa caso? E poi con le lettere poste a distanza fra loro, mescolate e confuse tra le colonnine della balaustra.
Ecco spiegato il mistero, che non ci svela nessun segreto sul senso della vita, non ci fornisce nessuna rivelazione sul vero senso del cristianesimo. Chissà se Dan Brown, scoprendo la verità, non sarebbe rimasto un po’ deluso?