L’Eternale: il grattacielo di Roma

Partiamo dai protagonisti. Da una parte c’è Mario Palanti, milanese di nascita, sudamericano d’adozione, di professione architetto. Visionario il giusto, concreto quanto basta, tra il 1914 e il 1922 ha già realizzato a Buenos Aires i più imponenti palazzi della capitale argentina: dal Palacio Barolo, al Palacio Comercial, oltre al Palacio Salvo di Montevideo. Opere mastodontiche, anche se nulla in confronto a ciò che sta per ideare per omaggiare la Capitale d’Italia. Dall’altra c’è Benito Mussolini, non ancora Dux, sebbene già a capo del governo, un governo ancora di coalizione, anche se a guida fascista.

A unire i due protagonisti, è un progetto faraonico, quello dell’Eternale, o Mole Littoria: un grattacielo di 330 metri d’altezza per 70 mila metri quadri di spazio. Il tutto ricoperto da enormi lastre in marmo di Carrara. La più imponente costruzione mai concepita da mente umana, fino ad allora. Palanti vuole che sia realizzata a Roma, in pieno centro, “Da qualche parte tra Palazzo Chigi e il Tevere”, a eterna gloria del futuro Duce.

Palanti è sicuro di sé e del suo progetto. Sa bene che, qualora venisse realizzato, gli procurerebbe una gloria secolare, pari a quella del Bernini col suo colonnato, o di Michelangelo e della sua cupola. Perciò, portando in dono un levriero, rientra in Italia per ingraziarsi le simpatie di Mussolini. La presentazione ufficiale del grattacielo si ha, qualche tempo dopo, in occasione di una mostra di progettazione, a Palazzo Chigi.

 

L’enorme costruzione prevede che lì, nell’edificio più alto del mondo, troverà sede il Parlamento italiano, oltre a un hotel e poi sale conferenza, biblioteche, grandi impianti sportivi, centrali per le telecomunicazioni e persino un osservatorio astronomico. Il bianco dei marmi sarà visibile fino a decine di chilometri di distanza. Mussolini è entusiasta e firma il libro degli ospiti con una dedica: “Per la Mole Littoria, Alalà”. È il 27 settembre del 1924.

Meno entusiasti saranno invece i giornali stranieri che, pochi giorni dopo, daranno notizia del progetto. Il New York Times, lo citerà in prima pagina, timoroso che quell’opera possa oscurare la supremazia americana nel campo dei grattacieli. Più sferzante il Los Angeles Times, capace di scrivere che quell’edificio renderebbe Roma “una città irritante”. Ferocissimi i giornali tedeschi, come la Deutsche Bauzeitung, che definisce il progetto un “peccato mortale, contro il quale la cristianità mondiale dovrebbe ribellarsi”, o la rivista Stadtebau che parlerà dello “stupro” di Roma.

Ad opporsi all’idea saranno, però, anche diversi gerarchi, che vedono nell’opera una scarsa italianità e inopportune somiglianze con l’architettura americana e sovietica. Ancora più ostile è il più noto architetto del regime, quel Marcello Piacentini, forse invidioso della notorietà che l’opera avrebbe dato al suo collega e rivale Palanti. Per non rischiare di perdere il ruolo di leader tra le archistar fasciste, la bocciatura di Piacentini è totale: “Lo stesso cielo in cui arriva il Duomo di Milano o la cupola di Michelangelo a San Pietro, non può essere condiviso con un grattacielo. Niente grattacieli in nessuna parte d’Italia”.

L’entusiasmo di Mussolini non pare però diminuire e Palanti, per riuscire ad aggirare le critiche, prova a trovare formule di compromesso, abbassando progressivamente il progetto, prima a 300, poi a 140 e infine addirittura a soli ottanta metri d’altezza. Ma con l’altezza del palazzo, quello che va contemporaneamente a scemare, è anche l’entusiasmo del Duce, che non vede più nell’Eternale quell’opera unica e faraonica di cui tutto il mondo avrebbe parlato.

L’opera finisce così nel dimenticatoio, anche per i notevoli problemi di fattibilità e per i costi esorbitanti che avrebbe comportato. Di Mario Palanti non si sentirà più parlare in Italia. Di Marcello Piacentini invece sì e molto. Al punto tale che, ormai dimentico delle parole scritte appena pochi anni prima, sarà proprio Piacentini a firmare, sul finire degli anni Trenta, il progetto del primo edificio d’abitazioni italiano alto più di cento metri: la torre di Genova.

Quando non c’è più il rischio che un architetto venuto dal Sudamerica possa farti ombra, anche il cielo del Belpaese, lo stesso cielo del Duomo di Milano e della Cupola di San Pietro, a quel punto, perché no, può anche essere condiviso con un grande grattacielo. Con buona pace di Michelangelo.

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