Il paese dei Baiocchi

“Pecunia non olet” dicevano i romani, cioè i soldi non puzzano. Quella parola “pecunia” era l’ultimo ricordo di quando a Roma le monete non esistevano ancora, ai tempi dei leggendari Sette Re di Roma, un’epoca in cui tutto si faceva col baratto, usando lo scambio di bestiame, detto appunto “pecus”.

Le prime vere e proprie monete apparse in città erano state importate dalla Magna Grecia, come indica il nome di “Didracma” e venivano coniate a Napoli. Nel 289 avanti Cristo si decise però di creare la prima zecca capitolina dove produrre monete.

La prima zecca

Didracma, Quadrigato, Vittoriato e Denario

La sede fu posta vicina al tempio di Giunone Moneta – cioè ammonitrice – e quel luogo è ancora oggi ricordato da uno dei nomi principali che usiamo come sinonimo di denaro. La zecca coniò quindi la sua prima moneta chiamata “Quadrigato”, così denominata per la presenza su un lato di una quadriga guidata dalla Vittoria, mentre l’altro lato rappresentava una testa bifronte.

Dal Quadrigato si passò agli “Assi”, piccole monete in bronzo. Più tardi si cominciò invece a coniare il “Denario”, altra parola che avrebbe avuto una grandissima fortuna e che deriva da “deni”, cioè “per dieci”, poiché aveva il valore di dieci assi. Il Denario aveva anche sottomultipli: il “Quinario”, equivalente a cinque assi ed il famosissimo “Sesterzio”, di due assi e mezzo, che divenne la moneta più diffusa.

In seguito alle grandi conquiste romane cominciarono ad affluire in città grosse quantità di argento e si coniò una nuova moneta, il “Vittoriato”, pari a tre quarti di Denario, così chiamato per la presenza sul retro della Vittoria. Altre monete, assai più rare, erano in oro, i cosiddetti “Aurei”.

Le riforme imperiali

Sesterzio, Antoniniano, Aureo e Asse

Con l’imperatore Caracalla, vennero introdotte monete con valore doppio rispetto a quelle allora in uso: il “Binione”, che era un doppio Aureo e “l’Antoniniano”, un doppio Denario, che sotto Aureliano fu chiamate anche “Aureliano”.

Con la riforma di Diocleziano del 295 la monetazione romana cambiò nuovamente. Si introdusse una moneta in argento, detta “Argenteo” e anche una nuova moneta in bronzo, il “Follis”. Una riforma che però durò molto poco, appena quindici anni, fino all’avvento di Costantino.

Quella di Costantino del 310, fu l’ultima riforma monetaria dell’impero romano. Come moneta d’oro venne introdotto il “Solido” – da cui la parola “soldi” – mentre come moneta d’argento la “Siliqua” e il “Miliarensis”. Per quanto riguarda le monete in bronzo, il “Nummus Centonionalis” sostituì il Follis”, oltre alla “Maiorina”, una moneta di rame.

Dopo la fine dell’impero

Binione, Follis, Solido e Siliqua

Il sistema monetario di Costantino durò fino alla fine dell’Impero Romano d’Occidente. Dopo la fine dell’impero la zecca di Roma fu gestita dal Papa, che proseguì la coniazione, seguendo prima il sistema monetario bizantino ed in seguito quello carolingio, ovvero il sistema monetario istituito da Carlo Magno.

Questo era basato sul “Denaro”, l’unica vera moneta coniata nel sacro romano Impero. In teoria il Denaro aveva dei multipli: il “Soldo”, che valeva 12 denari e la “Lira” che valeva 20 Soldi. Lira e Soldo, però, erano solo unità di conto, che non esistevano fisicamente.

Dall’anno Mille al XIV secolo, la zecca di Roma non fu più gestita dal Papa ma dal Senato di Roma, che emise Denari in argento. Le monete del Senato di Roma inizialmente riportarono iscrizioni quali “Roma Caput Mundi” o “SPQR“, mentre in seguito compariranno anche i nomi di alcuni Senatori, quali “Carlo I d’Angiò” o “Francesco Anguillara”.

Le monete del Papa

Miliarensis, Maiorina, Denaro e Ducato

Nel XV secolo la zecca di Roma, inizialmente situata nel palazzo Sforza Cesarini e poi nel Banco di Santo Spirito, tornò nuovamente sotto la gestione papale. La prima moneta che fu coniata fu il “Ducato”, una moneta d’oro di origine veneziana.

Nel 1588 fu sostituite dallo “Scudo”, una moneta d’argento di origine francese che rimase la valuta del Papato per quasi trecento anni, fino al 1866. Successivamente, Gregorio XVI riorganizzò il sistema monetario dello Stato pontificio, stabilendo che l’unità fosse lo Scudo, suddiviso in cento “Baiocchi”, ognuno di cinque “Quattrini”.

La moneta da uno Scudo era d’argento, anche se furono coniate monete d’oro da dieci Scudi” e da cinque Scudi, chiamate anche “Gregorine”. Altre monete furono il “Grosso” del valore di Baiocchi, il “Carlino” da sette Baiocchi e mezzo – moneta che diede il nome al famoso quotidiano bolognese “Il resto del Carlino” – il “Giulio”, creata da papa Giulio II, il “Paolo”, il “Testone” e la “Doppia”.

L’arrivo della Lira

Scudo, Baiocco, Grosso e Carlino

Come si vede, a quell’epoca, ogni singola moneta assumeva un suo nome proprio, un po’ come è ancora oggi nel sistema monetario inglese coi suoi Penny e Pound. Per mettere maggiore ordine, nel 1866 Pio IX decise perciò di adottare la “Lira Pontificia” suddivisa in centesimi per farla corrispondere al nuovo sistema monetario italiano ed ai parametri dell’Unione Monetaria Latina.

Il successo del sistema metrico decimale, ritenuto più razionale, aveva cambiato anche la concezione monetaria, che era divenuta in tutta l’Europa continentale, era ora fatta di un’unica moneta nazionale, suddivisa in centesimi.

Quattro anni dopo la riforma di Pio IX, nel 1870, Roma diveniva parte del regno d’Italia e alla Lira Pontificia fu sostituita quella italiana. Da allora la Lira ha accompagnato la vita di molte generazioni di romani, fino all’ultimo e più recente cambiamento, quello avvenuto nel 2002 e che ha introdotto “l’Euro”.

Giulio, Paolo, Lira Pontificia e Lira Italiana

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