Chi si rivede: la destra alla guida del Lazio

Si terranno probabilmente a febbraio le prossime elezioni nel Lazio, dopo le dimissioni anticipate del presidente Nicola Zingaretti, eletto deputato del Pd. Allo stato attuale, però, sappiamo già che il prossimo presidente della Regione sarà probabilmente di destra, anche se non conosciamo il suo nome. Mentre Alessio D’Amato, il regista della vincente strategia vaccinale anti-Covid, è destinato a fare il capo dell’opposizione.

 

Nel centrosinistra romano c’era chi, oltre un anno fa, avrebbe voluto candidare Alessio D’Amato, assessore alla Sanità uscente del Lazio, a sindaco di Roma, per capitalizzare il successo della Regione nella lotta al coronavirus, grazie alla sua campagna vaccinale. Poi però spuntò il nome dell’ex ministro all’economia Roberto Gualtieri, e per un po’ di tempo sembrò possibile anche una candidatura dello stesso Zingaretti. Ma alla fine fu scelto Gualtieri, che vinse al ballottaggio: al primo turno il Pd era andato con pochi alleati, senza Azione, il partito di Carlo Calenda, e senza il Movimento Cinque Stelle, che aveva governato Roma con Virginia Raggi. 

Da allora, si è parlato di D’Amato come il più probabile candidato del centrosinistra per le elezioni nel Lazio, pur se Daniele Leodori, vice presidente della giunta regionale, o la consigliera Marta Bonafoni, fondatrice del movimento di sinistra Pop, avrebbero voluto (e vorrebbero ancora) affrontarlo alle primarie. Ma oggi D’Amato è il vero frontman del Pd e di Calenda, in una sfida col centrodestra che sembra destinato però a perdere.

 

Lo dicono i numeri

Alla Regione Lazio si vota infatti col turno unico e diventa subito presidente il candidato meglio piazzato, non c’è il doppio turno come nei grandi Comuni. Il centrodestra oggi è in vantaggio sul centrosinistra, stando almeno ai risultati delle elezioni politiche di settembre. Insomma, senza il famoso “campo largo” (Pd, M5S e alleati vari, compreso l’asse Calenda-Renzi), vincerà il centrodestra, anche grazie a quello che potremmo chiamare “effetto Meloni”. La premier di Fratelli d’Italia è infatti stata eletta da poco e ha ancora dalla sua la cosiddetta “luna di miele” con gli elettori. Mentre il centrosinistra romano, con un sindaco – Gualtieri – poco visibile e che finora non pare aver incassato grandi risultati nella gestione della Capitale, fatica.
I numeri dicono chiaramente che per D’Amato la strada è tutta in salita.
Nel 2018, Zingaretti non ebbe la maggioranza assoluta: fu eletto con il 32,9% contro il 31,2% di Stefano Parisi (candidato del centrodestra), mentre a Roberta Lombardi, M5s, andò il 27%. La maggioranza in consiglio regionale fu però garantita di fatto a Zingaretti dall’accordo col M5s, che nel 2021 entrò poi in giunta regionale.

Oggi però il centrodestra è in vantaggio, se si guardano i dati delle elezioni politiche di settembre, con quasi il 45% dei voti. il centrosinistra, ammesso che resti unito – perché Calenda è ostile a Verdi e Sinistra Italiana, che non lo amano: e potrebbero essere tentati di andare da soli – è sotto il 35%, mentre il M5s si ferma a quasi il 15%. I nuovi sondaggi confermano la situazione.

 

Questioni di politica nazionale

L’oggetto del contendere, nell’ex “campo largo”, è in teoria il famoso termovalorizzatore, o inceneritore di rifiuti, che Gualtieri ha promesso per Roma, ispirandosi in realtà al programma elettorale di Calenda. D’Amato è favorevole al termovalorizzatore, anche se l’uscente giunta Zingaretti non lo era, come del resto il M5s, anche a livello nazionale. 

Ma quella del termovalorizzatore di Roma sembra di più una battaglia politica dentro o intorno al Pd e al suo futuro. Calenda ha lanciato da tempo l’altolà “o con noi o con il M5s” e il partito ancora guidato formalmente da Enrico Letta è spaccato al suo interno tra chi sostiene il “campo largo” e chi vorrebbe invece l’alleanza con Calenda (e Renzi). Bisognerà aspettare almeno il prossimo congresso Pd per capire quale linea prevarrà.

 

Il centrodestra non ha ancora un candidato, ma…

Il centrodestra, dominato nel Lazio da Fratelli d’Italia, non ha invece di questi problemi: il suo campo è sempre molto largo, anche se poi la coalizione vacilla quando è al potere. La presidente Renata Polverini, leader del sindacato di destra Ugl, si dimise nel 2012 dopo lo scandalo sull’uso dei fondi per i gruppi consiliari – spiegando di essersi sentita tradita dai partiti – aprendo così la strada, con le elezioni del 2013, alla prima elezione di Zingaretti. 

Il candidato del centrodestra potrebbe essere scelto la settimana prossima, e lo scontro sui nomi è già cominciato. Il più quotato dai media è quello di Francesco Rocca, 57 anni, presidente della Croce Rossa (sia italiana che internazionale). Benvoluto da Gianni Letta, si era già parlato di lui come possibile candidato sindaco di Roma e nei mesi scorsi come ministro della Sanità. Di destra sin dai tempi del liceo, oggi vicino alla destra sociale – ma si occupa di migranti e senzatetto – Rocca è ufficialmente un indipendente. Gli altri possibili candidati, invece, fanno tutti parte della nomenklatura di Fdi: dalla 36enne Chiara Colosimo, appena eletta deputata, a Fabio Rampelli, 62 anni, vice presidente della Camera, nell’entourage più stretto di Meloni, fino a Fabrizio Ghera, 50 anni, consigliere regionale uscente, e Paolo Trancassini, 59 anni, deputato e coordinatore regionale del partito. 

Allo stato attuale, per vincere le elezioni il centrodestra non deve fare altro che aspettare, cioè la strategia che ha seguito alle politiche. Sperando contemporaneamente che centrosinistra e M5s continuino a polemizzare e che la premier romana Meloni continui a profittare del credito degli elettori.

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