Gionni lo zingaro

Nino G. D’Attis è uno scrittore d’origine salentina, ma vive da anni a Roma. Tra i suoi romanzi, “Montezuma airbag your pardon”, “Mostri per le masse”, entrambi pubblicati da Marsilio, e “Grandi Sorelle” (Lupo editore). Per Roma Report, ha creato la playlist Qualcosa per la notte.

 

Dorme, Gionni, nell’alba del 90 elettrico che porta alla stazione Termini umani e subumani sporchi di sonno, sudore, lavori notturni sul raccordo, nei cessi di un autogrill, tra cassette di frutta e sacchi della spazzatura. Ronfa nel piumino rosso Ferrari, sotto il cappellino rovesciato dal quale spuntano riccioli unti che cadono su una fronte segnata da una piccola cicatrice, ricordo di una lamata del peruviano. Può andar bene e può andare male con quel sorcio che quella volta s’era fatto rodere il culo perché Gionni aveva fermato la Susana al Giardino della Balena e però era stato gentile, mica le aveva dato della mula ingorda come pure è risaputo. Un gentleman, il Gionni, almeno quando è in giornata buona e non ha ancora cominciato coi giri di gincampari. Ma al peruviano non gli tocchi la sorella. Manco le rivolgi la parola per quanto è pericoloso. Pure il Malinconico ci fa affari con misura e riguardo, di guerre in zona non ne vuole sapere.

   Gionni beccheggia in un sogno di strappone in pellicciotto, stivaletti, perle finte che si chiamano Alexi, Gilda, Amal, Vanessa e Mariastella. Gli ballano la zumba su un barcone ancorato sotto Ponte Milvio, con l’acqua del Tevere che non è acqua ma vevclisciò come quello che si è scolato l’estate passata mentre puliva la casa di una bionda siliconata della televizia insieme a Tadeus e Tabacco. E quella volta Tabacco si era messo un perizoma di pizzo sopra i jeans, aveva impugnato un vibratore giallo banana trovato in un cassetto e si era sparato un selfie, e giù a ridere fino a quando Tadeus gli aveva ricordato che se stavano lì era per lavorare, mica per fare i coglioni con le robe di una sporcacciona. Murine cheri buti! Murine cheri buti!

   Quattro borsoni e un trolley avevano riempito. Dopo Tabacco si era fiondato in cucina e aveva preparato dei panini al prosciutto. Ci aveva spalmato sopra una crema di olive e tartufo che puzzava di gas della bombola però era buona, tempo ce n’era, visto che la biondazza pubblicava a raffica foto dalla villa all’Argentario, dalla barca da quaranta metri del suo fidanzato industriale di ruspe e mattone, le poppe strizzate dentro un costumino amarena che a vederle Gionni si era sentito rimescolare il sangue. Milo manche ciuvia! Mi piacciono le donne, sì. Il suo ciricli avanti e indietro in mezzo a quei palloni, benedetta chirurgia! Pure lo sciampàgne era buono, si era fatta la mezza a vuotare la bozza fino all’ultima goccia e finanche Tadeus poi si era sciolto, la catena d’oro che gli penzolava dal collo sopra la canotta, il perstano con pietra di onice nera all’anulare sinistro, era partito con la storia che lui una volta a una così ci aveva dato penitenza sul serio, altroché. Una disastrata di Corso Francia fresca di divorzio che si voleva togliere lo sfizio di assaggiare la sberla di un lercione vero, sissignore. Ah che tigressa, che animale da circo fuori dalla gabbia. Strabica e fulminata. Crucciata dalle congiunzioni infelici di Luna e Saturno, incrostata di smanie tenebrose che la portavano a scialacquare sostanze in biancheria puttanesca, in attrezzi da spasso carnale all’ingrosso. Dice che l’aveva ammanettato in camera da letto per tre giorni e tre notti, di alzarsi anche solo per scaricare il ciricli al cesso non se ne parlava. Manco dormire, ohi ohi, come quando da piccolo lo prendeva l’asma e respirare era un’impresa da eroi della guerra mondiale. Ohi ohi, ne aveva buttato di sudore senza ritegno, senza decoro in groppa alla malata.

   Ma sai tu se è vero. Tadeus spara più fregnacce di quante se ne sentono alla televizia, mica è uomo di pensiero limpido come il Malinconico. Che fantasia. Dice che la piscina della signora era una roba da film americano, tutta cemento armato, porcellana e neon blu, rosa e verdi, le vetrate scorrevoli che davano nel giardino coi dondoli e le fioriere, i pappagallini che scacazzavano spensierati sulle sdraio. Su, su, tesoro, è termoriscaldata! Si era spogliato, tuffato di panza dal trampolino, e l’acqua era diventata nera.

   Biglietto, biglietto…Anvedi questo come s’è spalmato.

   Gionni apre un occhio e conta uno, due, tre controllori Atac. Tre ceffi che lo fissano imponenti e torvi, il più secco è un armadio a tre ante coi deltoidi che scoppiano sotto la maglietta. Brutta faccia. Brutta, brutta, brutta.

   Ma che stavi a dormi’? Scusa il disturbo, eh!

   Gionni sbuffa e getta la testa all’indietro. Sognavo tua phen, fa.

   Che ha detto questo?

   Che manco l’ho visto e già m’ha scucito la fodera del… ecco che ha detto.

   Non la prendono bene. Afferrato di peso, strattonato, scaraventato sul selciato alla fermata Batteria Nomentana tra i fischi, gli applausi, i buuuuuuh dei passeggeri.

   Brutte facce. Brutte, brutte, brutte.

   Fammi vedere un documento.

   Ce l’ho il biglietto.

   Voglio vedere un documento.

   A che serve il documento se ho il biglietto?

   Non fare il furbo.

   Non faccio furbo.

   Vidimato?

   Eh?

   Capisci la lingua italiana?

   Capisco, capisco. Tu non alzare la voce.

   Hai timbrato il biglietto quando sei salito?

   Salito su bus?

   Esatto.

   Timbrato, sì.

   Gentilmente, ce lo puoi mostrare?

   Ecco qui, co’ data e tutto.

   Dai qua.

   C’è data e ora precise, vedi?

   Dove?

   Qui sopra. Timbro di macchinetta gialla, capo. A volte funziona, a volte no. Oggi funziona.

   Cazzo, è vero.

   Bucio!

   T’ha detto bene, t’ha detto…

   Gionni sorride da un orecchio all’altro. Saluta i tre mastini e si allontana strascicando le sue Ozweego blu che, fatti due passi, si mettono a calciare pigramente un palloncino rosso forse caduto da un balcone, dalla festa di compleanno di un bambino coi tranci di pizza calda, le bottiglie di aranciata e la torta di pan di Spagna spruzzata di panna, i compagni di scuola che strillano e corrono scalmanati da tutte le parti. Gionni non li sopporta i bambini, più o meno perché da quando è nato non ricorda di aver festeggiato un compleanno, neanche per sbaglio. La festa di Zia Bibi, quella di San Giorgio. La festa coi fuochi in cielo in onore del Malinconico uscito da Rebibbia, quelle sì.

   Mani in tasca, in cerca di un bar aperto per un caffè corretto con la sambuca, i pensieri che tornano al sogno con Alexi, Gilda, Amal, Vanessa e Mariastella, poi alla Susana del peruviano che un po’ somiglia a Sammy Corazon di Pornhub e se smettesse di fare le smorfie da santerellina la porterebbe via da San Basilio, sopra una barca che scivola su un fiume di vevclisciò, o dentro una casa con la piscina come quella della signora di Corso Francia. Esisterà davvero? Sbruffone pazzo di papà Tadeus, quante ne pensa e ne dice.

Immagine di Nino G. D’Attis

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