Sex in the Urbe – 4

Con il Seicento, la tolleranza che Roma aveva fino ad allora dimostrato nei confronti della prostituzione, cominciò a venire meno. Un fervore moralizzatore cominciò a percorrere la Curia romana, soprattutto sotto il pontificato di Innocenzo XI, che fece della morale pubblica il suo marchio distintivo, chiudendo tutti i teatri e i bordelli della città.

Eppure, le prostitute romane riuscirono ugualmente ad esercitare il proprio mestiere, anche in quegli anni, trovando rifugio nella zona di piazza di Spagna, divenuta una sorta di “porto franco” che permetteva loro di svolgere il proprio lavoro al riparo dalle restrizioni pontificie. Perché? E perché proprio lì? Cosa dava loro questa curiosa garanzia d’impunità?

Piazza di Spagna: un’oasi a “luci rosse”

Lo status di “extraterritorialità” di cui godette per alcuni secoli l’area intorno a piazza di Spagna, prese avvio con la necessità di ricostruire la città dopo il sacco di Roma, operato dai Lanzichenecchi nel 1527. Un evento nel quale, secondo la leggenda, ebbero un ruolo significativo proprio le prostitute romane, le quali, concedendo i propri favori agli invasori, spensero più rapidamente la furia distruttrice dei soldati.

La città si era lentamente ripresa, ma al prezzo di grossi sacrifici economici, necessari per porre in atto la ricostruzione di edifici pubblici, chiese, conventi, ospizi. Il papa domandò perciò un aiuto e un sostegno – sia in denaro che in opere – ai più importanti paesi cattolici, come Francia e Spagna, che proprio nell’area intorno a piazza di Spagna avevano entrambi le proprie legazioni.

La piazza divenne presto un terreno di battaglia diplomatica fra le due nazioni. All’inizio del Seicento, la parte a nord, verso porta Flaminia, era chiamata “piazza di Francia”, mentre piazza di Spagna, all’epoca, era considerata solo quella su cui si affacciava la legazione spagnola, oggi piazza Mignanelli. Fu l’influenza di Isabella Farnese, moglie del re Filippo V di Spagna, insieme al potente ambasciatore Trojano Acquaviva d’Aragona, a far poi pendere la bilancia a favore della giurisdizione spagnola, relegando la zona francese in cima a Trinità de’ Monti, dove oggi è l’istituto francese di Villa Medici.

L’intero quartiere dell’attuale piazza di Spagna, finì così sotto la giurisdizione e la protezione della Spagna, che ottenne anche la facoltà di escludere ogni ingerenza amministrativa e di polizia dello Stato della Chiesa. In pratica il quartiere era diventato una zona franca per ogni attività economica, compreso l’esercizio della prostituzione.

Il “quartiere spagnolo” si estendeva in un’ampia zona, che alla metà del Settecento finì per comprendere, oltre a piazza di Spagna, anche piazza Mignanelli, via Condotti, via della Mercede, via Mario de’ Fiori, via Capo le Case, via Gregoriana, parte di via Sistina, piazza Trinità dei Monti, via Vittoria, via della Croce, via Bocca di Leone, via Frattina.

Non ci fu mai un vero accordo ufficiale fra Spagna e Stato Pontificio, accordo che avrebbe comportato formalmente la cessione a una potenza straniera di una parte della città. Tutto fu stabilito con quello che gli anglosassoni chiamano “gentlemen’s agreement”, rispettato da entrambe le parti. La Spagna esercitava il potere su quell’area, scegliendo di adottare una grande tolleranza verso tutte le attività che rendevano il quartiere più cosmopolita e, dunque, economicamente più dinamico.

Le prostitute furono perciò fra le prime ad operare in zona, attirate, oltre che dallo stato di extraterritorialità della zona, anche dalla relativa vicinanza con Porta del Popolo, la portada cui accedeva la maggior parte dei visitatori e dei pellegrini che giungevano in città, cioè coloro che potevano essere considerati i migliori clienti per il tipo professione svolta dalle meretrici.

La situazione rimase immutata per diversi secoli. Tanto che, ancora nel 1832, quando un editto papale vietò alle prostitute di affacciarsi alla finestra appoggiate ad un cuscino – il più delle volte rosso e decorato in modo vistoso – come era loro usanza per adescare i clienti, il Belli, raccontando questo episodio in un suo sonetto, citò esplicitamente le “puttane de piazza de Spagna”, dimostrando così che la zona, era ancora considerata nell’Ottocento il “quartiere a luci rosse” di Roma:

È un gran birbo futtuto chi sse lagna
de le cose ppiú mmejjo der Governo.
Come! ner cor de Roma cuel’inferno
de le puttane de Piazza de Spagna?!
S’aveva da vedé ’na scrofa cagna
d’istat’e utunno e pprimaver’e inverno,
su cquer zanto cuscino, in zempiterno
a cchiamà li cojjoni a la cuccagna?
Hanno fatto bbenone: armanco adesso
se fotte pe le case a la sordina,
e ccor prossimo tuo come te stesso.
Mo ttutto se pò ffà ccor zu’ riguardo
co cquella ch’er Zignore te distina;
e ar piuppiú cce pò uscí cquarche bbastardo.

A dire il vero, fu considerata così anche per altri cento anni dopo la morte del Belli. È solo con la legge Merlin – quella che nel 1958 chiuse le cosiddette “case di tolleranza” – che la nomea di quell’area venne meno. Fino ad allora, i più famosi bordelli di Roma, rimasero quasi tutti collocati nell’ex “quartiere spagnolo”: in via della Vite, in via Belsiana, in via Capo le Case, in via Mario de’ Fiori e, soprattutto, in via Borgognona, dov’era il più noto ritrovo di piacere frequentato dai gerarchi fascisti.

Prossima puntata: LE CASE CHIUSE

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