La città dei quindici minuti in più

Sta nel programma del sindaco Gualtieri, ma oggi la “Città dei 15 minuti” sembra solo un tema buono per i convegni di urbanistica. Servono un messaggio chiaro e uno slancio del Campidoglio.

 

Il recente allarme su rischio dell’aumento a 2 euro del BIT del Cotral – che non c’entra con il rialzo dei prezzi dell’energia ma è contenuto nel contratto di servizio del 2018 e che ora la giunta regionale uscente sta cercando di bloccare – ha subito messo in ombra il “regalo” del Campidoglio di 4 giorni di mezzi pubblici gratis in occasione delle feste e soprattutto dello shopping di Natale, l’8 dicembre, l’11 dicembre, il 18 dicembre e il 24 dicembre.

 

Tempesta perfetta

I trasporti, a Roma, non se la passano bene. Non è una novità, ma da un po’ sembra essersi scatenata la tempesta perfetta. La linea A della metropolitana chiude alle 21 dalla domenica al giovedì per gli ennesimi lavori (sostituzione di binari, scambi e massicciata) e dopo quell’ora bisogna prendere la navetta bus. La Metro B ha chiuso per alcuni mesi alle 21 nel fine settimana per lavori, ma ultimamente ha subito diverse interruzioni. La Metro C ha subito ritardi per mesi, per mancanza di convogli (ma ora sembra andare meglio: bisogna poi vedere se si rispetterà la scadenza di aprire la fermata Colosseo entro il 2024). La ferrovia Roma-Lido è colpita costantemente da guasti. La Roma-Viterbo ha sempre i suoi problemi. Il tram 8 è fermo fino a gennaio per i lavori di sostituzione dei binari. A questo si aggiunge la situazione dei bus, che sono spesso in ritardo e saltano corse (quelli dell’Atac, mentre per il consorzio Roma Tpl va anche peggio: un mese fa, per esempio, il X Municipio ha chiesto la revoca di tre linee in concessione per “gravi inadempienze”) oltre ad andare a fuoco ancora con preoccupante frequenza.

I disservizi dei mezzi di trasporto pubblico, insieme al timore di contagio sviluppato con la pandemia, spingono i romani a utilizzare di più l’auto o lo scooter. E in effetti il traffico automobilistico è tornato ai livelli del 2019. Anche perché l’incidenza dello “smart working”, in una città ministeriale per eccellenza come Roma, non sembra fare alcuna differenza.

Non solo: i cantieri di vario tipo – ovviamente necessari – ostacolano la circolazione, così come la sosta in doppia fila di massa – non necessaria, anzi dannosa, ma sempre scarsamente punita –  allungando i tempi di percorrenza e aumentando così l’inquinamento dell’aria.

 

Im-mobilità

In questo contesto di im-mobilità, l’idea della Città dei 15 minuti, inserita nel programma elettorale del sindaco Roberto Gualtieri, e per cui esiste anche uno specifico assessorato (e un assessore, Andrea Catarci), sembra una simpatica utopia, uno di quei principi a cui ci si ispira che però poi, lo sappiamo tutti bene, avranno ben scarsa applicazione pratica. E oggi Roma è invece la città dei 15 minuti (quando va bene) in più.

Non perché a Roma, anche senza traffico, si possa o si debba raggiungere tutto in un quarto d’ora, ovviamente (e neanche in mezz’ora, che è l’altro formato indicato da Carlos Moreno, l’urbanista che è da alcuni anni il teorico di questo modello applicato in diverse città, compresa Parigi). Ma perché per ridurre la necessità di spostamento alle persone bisogna offrire alternative concrete: posti di lavoro, servizi e attrazioni. Però, a scorrere l’elenco dei progetti presentati dal Comune e che, negli annunci, saranno realizzati entro il 2023, non sembra. Ci sono, in grandissima parte, aree verdi e sentieri ciclopedonalizzati, piazze risistemate, rifacimenti di strade. Iniziative assolutamente lodevoli, che però non cambieranno probabilmente molto nella mobilità romana.

È chiaro che un anno non basta per cambiare una città, tantomeno una città complicata (per non dire incasinata) come Roma. Quello che manca, da parte del Campidoglio, è prima di tutto un po’ di empatia. Si annunciano grandi progetti come l’Expo Universale 2030, però appunto non si capisce quando e come si dovrebbe superare il caos permanente dei trasporti, si chiede soltanto di avere fiducia. Per carità, non stiamo invocando il modello Raggi, con Gualtieri fotografato mentre aziona lo scambio di un tram o dirige il traffico in uno slargo affollato, col fischietto in bocca. Servirebbe invece un discorso ai romani, per far capire qual è l’obiettivo, cosa serve e quanto tempo serve per realizzarlo e quale deve essere la loro parte. E un ascolto dei romani. Anche se i cittadini di Roma vengono storicamente accusati di essere cinici, probabilmente capirebbero e sarebbero disposti a fare sacrifici (oltre a quelli che fanno già ogni giorno), per uno scopo chiaro e condiviso. L’importante non è solo programmare, ammesso che lo sia sta facendo, ma coinvolgere.

Stop al silenzio

Il Campidoglio potrebbe poi far valere il proprio potere di moral suasion sulle amministrazioni pubbliche e sulle imprese private per estendere lo smart working (il telelavoro, più precisamente) e incentivare l’uso del trasporto pubblico, delle bici e dello sharing (perfino i monopattini) pagando i dipendenti che lo fanno, in moneta o buoni spesa (succede in alcuni Comuni italiani grazie al “Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro”, che esiste dal 2016)

Ancora, il Campidoglio potrebbe attrezzare coworking in vari punti della città utilizzando spazi pubblici oppure cedere in comodato d’uso quegli spazi a startup in grado di farlo. E intervenire sulle scuole per variare gli orari di inizio e fine delle lezioni quotidiane secondo un piano, per evitare l’ingorgo. E rilanciare il programma di “scuolabus a piedi”, utilizzando i volontari (a partire dagli anziani), per incoraggiare i genitori a evitare di usare l’auto, adottando anche il programma di “strade scolastiche”, cioè senza auto, per rendere più sicure le aree attorno alle scuole. E far fare i lavori stradali o di potatura etc non negli orari di picco di traffico (giorni fa, via Merulana era chiusa alle 8 di un giorno feriale per potature).

Il Campidoglio potrebbe avviare un programma di repressione della sosta di massa in seconda fila e anche cominciare a far pagare le auto per la sosta tariffata in tutti i quartieri, perché occorre disincentivare il trasporto privato e finanziare quello pubblico. Potrebbe ridurre il costo dei biglietti e degli abbonamenti (che non corrispondono al servizio di scarsa qualità oggi prestato), moltiplicare le corsie preferenziali dei bus e aprirli alle bici. 

Insomma, potrebbe fare un sacco di cose, anche più di questo, e probabilmente lo sa. Ma non basta saperlo. Bisogna anche volerlo fare, e non in tempi biblici. E spiegarlo ai cittadini aiuta a farlo, meglio.

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