Istituto per sordi: lo Stato fa orecchie da mercante

“Mia figlia è sorda, ha 21 anni e avrà bisogno di un sostegno per l’istruzione e il lavoro. Potete fare qualcosa? Non sappiamo a chi rivolgerci”. È una delle richieste che gli operatori dell’Istituto Statale per Sordi di Roma si sono sentiti rivolgere poco prima che li incontrassimo. Rispondere a questo genere di domanda è uno dei servizi che l’Istituto fornisce quotidianamente, a titolo gratuito, a migliaia di persone con disabilità uditiva e alle loro famiglie. Persone che con la diagnosi di un medico si trovano ad affrontare il tortuoso iter burocratico necessario a ottenere il riconoscimento della sordità e i relativi sostegni di legge e che spesso hanno bisogno di un sostegno anche psicologico. Ma ci sono anche, ad esempio, insegnanti che chiedono indicazioni e strategie per i propri alunni.

L’attività dell’Istituto, però, non si ferma alla consulenza: viene invitato alle audizioni in Parlamento per fornire pareri ai legislatori; organizza corsi di didattica per alunni sordi e di LIS, la lingua dei segni italiana, riconosciuta ufficialmente soltanto l’anno scorso, che qui, nello storico palazzo sulla Nomentana in cui ha sede l’ISSR, ha avuto un luogo di gestazione importante; pubblica testi e materiale multimediale; porta avanti attività di ricerca e di progettazione in ambito europeo e mondiale e organizza persino un Festival internazionale del cinema sordo, il Cinedeaf (la quarta edizione, prima del Covid, ha visto in gara una quarantina di film da tutta Europa, USA, Australia, Nuova Zelanda).

Se sei sordo, la pandemia è più dura

Nell’ultimo anno e mezzo, poi, la mole di lavoro è aumentata perché – ci racconta Elena Mele, coordinatrice dello Sportello sordità e delegata sindacale del Nidil CGIL – il Covid-19 ha fatto emergere nuovi problemi: “La DAD è stata uno dei temi più delicati, perché per uno studente con problemi di udito seguire una lezione a distanza sullo schermo di un computer, diviso a sua volta in tanti quadratini più piccoli è molto difficile”. Ma la pandemia ha portato a galla anche problemi finora sommersi: “L’uso massiccio delle mascherine ha reso molte persone consapevoli di avere problemi di udito che fino a quel momento avevano in qualche misura compensato inavvertitamente con la lettura del labiale”.
Un altro fronte caldo in cui gli operatori dello Sportello di informazione e consulenza sulla sordità dell’ISSR si sono trovati impegnati è stato quello dell’immigrazione. Più volte – ci raccontano – sono stati contattati da organizzazioni e centri per migranti e rifugiati che si trovavano a fare i conti con persone con un doppio problema di comunicazione.

Dopo la chiusura dei centri di Palermo e Milano, l’ISSR è rimasto l’unico ente pubblico a fornire questi servizi gratuitamente e, soprattutto, a dare una risposta integrata a un problema che ha mille sfaccettature: comunicative, giuridiche, psicologiche, sociali, medico-riabilitative.
“Si dice comunemente che nascono sorde 1,5 persone su mille – spiega Luca Des Dorides, lavoratore e delegato Nidil – ma a questi bisogna sommare chi sordo ci diventa, senza contare che la legge concede il riconoscimento solo a chi diventa sordo entro i 12 anni di età. Passata quella soglia si può ottenere soltanto l’invalidità civile, ma gli effetti della sordità li sconti comunque al 100%. Se a queste categorie aggiungiamo anche chi ha problemi di udito per ragioni di età saliamo al 16% della popolazione e sono tutte persone che hanno bisogno di essere assistite in qualche modo”.
Perciò, dopo che la pandemia ha reso familiare l’utilizzo delle videoconferenze, in tanti hanno cominciato a rivolgersi all’Istituto da fuori regione anche per la formazione.

Vent’anni per (non) fare un regolamento

Eppure questo centro di eccellenza sulla sordità fondato nel 1784, di cui la raccolta di testi antichi e moderni sulla sordità conservata presso la sede testimonia la tradizione secolare, rischia di chiudere e i 20 operatori, di cui 8 sordi, di trovarsi su un marciapiede.
“Il 100% dei dipendenti dell’Istituto è precario e viene assunto ogni anno per 11 mesi con contratti di collaborazione coordinata e continuativa”, racconta ancora Des Dorides, “Siamo senza stipendio da sei mesi e da anni i versamenti arrivano in modo irregolare. Negli ultimi due anni e mezzo poi non ci sono stati versati neanche i contributi. Insomma l’Istituto è riuscito ad andare avanti anche perché non versava i contributi e non pagava i fornitori. Questi ultimi, fino a che eravamo nella fase acuta della pandemia, hanno avuto un atteggiamento tollerante. Ora però sono arrivati i solleciti e in questo momento, ad esempio, siamo senza riscaldamento e siamo costretti a portarci la carta igienica da casa”.
Un problema che si ripercuote anche sui soggetti che l’ISSR ospita nell’edificio storico: associazioni legate al mondo della sordità, l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, persino una scuola comunale; alcuni pagano un affitto, altri un comodato d’uso simbolico.

Il 100% dei dipendenti dell’Istituto è precario e viene assunto ogni anno per 11 mesi con contratti di collaborazione coordinata e continuativa

Per capire come possa succedere bisogna ripercorrere i passaggi salienti di una delle tante commedie burocratiche dell’assurdo di cui lo Stato italiano è inesauribile fonte. La legge Bassanini (1997) interviene sull’Istituto e ne ridisegna confini e attività. La vecchia scuola per sordi, con la fine della “segregazione” e l’integrazione scolastica, lascia le funzioni scolastiche e i propri iscritti all’Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi Magarotto, una scuola mista per sordi e udenti, e diventa un ente autonomo che dipende dal Ministero dell’Istruzione. In sostanza l’ISSR si trasforma in ente di supporto all’integrazione dei sordi nel sistema formativo e, al pari degli altri “istituti atipici” coinvolti dalla Bassanini, è soggetto a un riordino.
La legge istituisce una dotazione di 3 milioni di euro l’anno per i tre centri di Roma, Palermo e Milano, ma l’effettivo versamento dei fondi statali nelle casse dell’Istituto è subordinato all’approvazione di un regolamento di emanazione governativa che ne disciplini le funzioni e disegni la pianta organica del personale, consentendo anche di effettuare assunzioni a tempo indeterminato. Un regolamento che dopo più di 20 anni nessun governo ha saputo (o voluto) approvare.

Una bozza del 2003 viene bocciata dalla Corte dei Conti nel 2004, poi il regolamento si arena nelle sabbie mobili della politica e ci vogliono altri 14 anni perché, nel marzo del 2017, il CdM approvi in prima lettura un nuovo schema di regolamento. Poi però il governo cade e il testo si ferma al Consiglio di Stato.
Il MIUR, che non ha risposto a una nostra richiesta di spiegazioni, nel frattempo pare abbia continuato a incassare i fondi destinati all’ISSR (almeno fino al 2016), ma gli ha versato, fino al 2009, un obolo di 40.000 euro, poi neanche più quello.
Il governo Renzi versa stanzia un’una tantum di un milione di euro, inserita nella Legge per il Sud, ma non basta: Palermo e Milano hanno chiuso i battenti da anni, solo i lavoratori di Roma resistono caparbiamente. Per pagare le spese utilizzano i proventi degli affitti dei locali, che però a poco a poco si riducono. “Fino al 2013 qui c’erano gli uffici della Provincia di Roma, e dal canone ricavavamo una parte importante delle risorse necessarie a tirare avanti. Ora quel cespite è venuto a mancare e oltre tutto per valorizzare l’edificio bisognerebbe accollarsi i costi della manutenzione, perché i segni del tempo cominciano a farsi notare: il tetto è pericolante, la caldaia andrebbe cambiata”.

Dal 2011 non viene neppure più rinnovato il direttore dei Servizi Generali e Amministrativi, figura chiave per l’Istituto, mentre dal 2007 l’ente è commissariato. Il ministro dell’istruzione dell’epoca, Giuseppe Fioroni, nomina Ivano Spano, docente di sociologia da qualche anno in pensione. Nel 2019 il sito Romah24 racconta che Spano per svolgere il suo delicato incarico arriva da Padova il mercoledì e vi fa ritorno il venerdì e lui stesso confessa di svolgere l’incarico “per passione” in cambio di “un rimborso di 10 euro a pasto e il biglietto del treno”.

I lavoratori, gli unici a difendere l’Istituto

Dietro alle tante storie surreali come questa in realtà si cela spesso una spiegazione razionale.
“La sensazione – è l’amara conclusione di Des Dorides – è che preferiscano lasciar morire l’Istituto piuttosto che assumersi la responsabilità di chiuderlo e affrontare l’imbarazzo di giustificare dove siano finiti i fondi messi a bilancio e mai versati”. Finora i lavoratori hanno resistito, nonostante tutto, difendendo i propri posti di lavoro, ma anche un Istituto che per loro non è un posto di lavoro qualsiasi. In questi anni, di fronte a uno Stato che ai sordi faceva orecchie da mercante, hanno risposto impegnandosi in una sorta di “autogestione non dichiarata” che è persino riuscita ad ampliare il raggio d’azione dell’ente. “Perché quando più persone da diversi luoghi ti segnalano lo stesso problema alla fine come operatore tendi a cercare di dare delle risposte, a differenza di quello che probabilmente succederebbe in una gestione più burocratica”, spiega un’altra lavoratrice, Francesca Di Meo. Ora però andare avanti così non è più possibile.

I lavoratori stanno attuando una sorta di “autogestione non dichiarata” che è persino riuscita ad ampliare il raggio d’azione dell’ente

Dopo aver incontrato due ministri, sottosegretari, capi di gabinetto ed essersi sentiti garantire innumerevoli volte un interessamento senza esito, oggi i lavoratori chiedono al governo di stanziare tre milioni di euro nella legge di bilancio per dare all’Istituto una boccata d’aria che consenta di tenere aperti i battenti, in attesa di affrontare i problemi strutturali.
“Dopo 20 anni non riusciamo più a sopperire all’assenza dello Stato”, hanno scritto in una lettera indirizzata nei giorni scorsi ai membri del Parlamento, a cui chiedono di aiutarli a “immaginare una soluzione possibile per un istituto così importante per il nostro Paese e per noi lavoratori”.
In attesa di una risposta, che al momento non è ancora arrivata, cercano solidarietà in Italia, ma anche all’estero, “visto che negli anni abbiamo costruito collaborazioni importanti a livello internazionale”. Il 23 novembre saranno in piazza in Largo San Bernardino da Feltre, davanti al MIUR, dalle 9,30 alle 13. Un’occasione per esprimere loro quella solidarietà direttamente.

Ringraziamo Maurizio Maruccelli per la collaborazione fornita per organizzare l’incontro ed elaborare l’articolo. 

 

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