Il Professore delle parole

Luca Serianni era magro, portava giacche sempre un po’ larghe di spalle, camminava un po’ dinoccolato, poteva sembrare fragile.
Ma la capacità pedagogica delle sue argomentazioni e delle sue lezioni era tale da risultare potente come la lingua dei profeti: sapeva costruire comunità.
È stato capace di unire migliaia, decine, centinaia di migliaia di persone che non si conoscevano, nell’amare una materia solo apparentemente appannaggio degli specialisti: la storia delle parole, delle espressioni, dei sistemi linguistici che usiamo per comunicare tra noi.
Le lingue uniscono i poveri e i ricchi, chi sa di più e chi sa di meno, i vivi e i morti, chi è nato in un posto e chi ci è arrivato. Nella lezione su lingua come cittadinanza che fece nel primo di quattro incontri di Grande come una città concluse con un intervento dichiaratamente politico: “Il compito di diffondere l’italiano agli stranieri è compito nostro in generale come società, ed è veramente questo sì un modo per difendere o per proteggere l’italiano, quello di moltiplicarne il più possibile l’uso nei confronti di persone che per contingenze di vita si trovano anche particolarmente esposte a questa esigenza e sono tendenzialmente pronte ad accettarlo”.
Lo fece come sempre in un modo chiaro e analitico che era la forma della sua intelligenza piena di grazia.
Dire che ci mancherà è davvero poco.

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