I Sette Colli erano dieci

Il numero sette, numero magico, è legato fortemente alla Città Eterna. Ci sono i Sette Re di Roma. E ci sono i famosi Sette Colli. Non è raro che si parli dell’Urbe proprio come della “città dei Sette Colli”. E l’elenco di quelle sette colline si impara già alle elementari: Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale, in rigoroso ordine alfabetico.

Sono le sette alture su cui si dice sia stata fondato il nucleo originario della città. D’altronde questi sono proprio i sette colli di cui parlava Cicerone, un coetaneo di Giulio Cesare, quindi se lo dice lui ci si può fidare. Lo stesso elenco lo avrebbe poi fornito anche Plutarco, più di cento anni dopo, a ulteriore conferma.

Come si potrebbe barare, o come ci si potrebbe confondere su delle colline, che sono fisicamente presenti, stabili, immutabili? E però, a quanto pare, ci si può lo stesso confondere e, se si fosse chiesto all’imperatore Diocleziano, o al suo successore Costantino, di dirci a memoria il nome dei sette colli, avremmo avuto già qualche sorpresa.

Alla loro epoca, infatti, l’elenco “ufficiale” delle sette colline romane era cambiato: Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Gianicolo, Palatino e Vaticano. Quirinale e Viminale erano spariti dalla lista e dalla memoria, sostituiti dalle “new entry” Gianicolo e Vaticano. Come si spiega questa apparente incongruenza?

Si spiega con le modifiche urbanistiche che nel frattempo aveva subito la città, con aree un tempo abitate che erano state quasi del tutto abbandonate e altre aree, come quelle sulla sponda destra del Tevere – dove oggi sorgono Trastevere e la zona di San Pietro – che avevano cominciato a prendere vita.

A complicare ulteriormente le cose c’è poi un convitato di pietra, un decimo colle che fa sfoggio di sé al centro di Roma, pur non rientrando nell’elenco ufficiale dei Sette Colli romani, né in quello di epoca repubblicana, né in quello adottato nel tardo impero: il colle del Pincio.

Se però vogliamo essere ancora più cattivi, ci sarebbero poi da aggiungere anche le “colline scomparse” dal profilo orografico della città: la Sella, una collina spianata nel primo secolo dopo Cristo per costruire il Foro di Traiano e la Vella, che univa Palatino ed Esquilino, rasa al suolo da Mussolini per creare via dei Fori Imperiali.

Infine c’è da dire che lo stesso Esquilino non è un’altura unica, ma ha tre punte separate, quasi fossero tre distinte colline. Le prime due avevano il nome di Fagutal e Cispius. La terza ha ancora oggi il nome di Colle Oppio, dunque è ancora adesso considerato quasi come se fosse un colle a sé stante.

A questo punto ho perso il conto. A fare bene i calcoli, quanti sarebbero davvero i Sette Colli di Roma? Realmente sette? Oppure nove? Forse dieci? Quattordici? Visto che, nel frattempo, Roma è cresciuta enormemente, inglobando molti altri colli della campagna romana, direi che forse non è il caso di spaccarci troppo la testa.

Teniamoci per buona la lista che ci ha fornito Cicerone, quella mandata e memoria ai tempi delle elementari. E, accanto a quella, ripetiamo pure, come una filastrocca, i nomi dei Sette Re di Roma: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Anche su di loro ci sono molti dubbi, ma a volte, in fondo, meglio una rassicurante bugia di una complicata realtà.

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