Viterbo: la macchina e la Gloria

È mancata per due anni al gioioso entusiasmo dei viterbesi. Come accaduto al Palio nella città di Siena. Come accaduto a tante manifestazioni della tradizione italiana: quelle feste popolari, apparentemente assurde, incomprensibili, eppure sentitissime, anzi irrinunciabili per chi vive nei borghi italiani.

Il Covid aveva fatto annullare le edizioni 2020 e 2021, ma finalmente, sabato 3 settembre 2022, la macchina di Santa Rosa tornerà a svettare tra le strette vie medievali del centro storico di Viterbo. Una tradizione patrimonio dell’umanità, come l’ha dichiarata l’Unesco una decina di anni addietro.

Come molte delle tradizioni italiane, le origini della macchina risalgono al medioevo, per la precisione alla seconda metà del tredicesimo secolo, quando, per ricordare la traslazione del corpo di Santa Rosa dalla chiesa di S. Maria in Poggio al santuario a lei dedicato, si volle ripetere quella processione, trasportando una statua della santa su un baldacchino.

Dunque, all’inizio, si trattava solo di una normalissima processione, come ce ne sono a migliaia in ogni angolo d’Italia, se non fosse stato per il fatto che la statua della santa, anno dopo anno, cominciò ad assumere dimensioni sempre più colossali, fino a raggiungere quasi i trenta metri d’altezza: come un palazzo di dieci piani.

Oggi queste dimensioni sono stabilite rigidamente da un capitolato ufficiale del Comune di Viterbo, che prevede la costruzione di una macchina “alta 28 metri sopra la spalla dei facchini” per un totale, una volta issata, di poco meno di trenta metri da terra. Il capitolato regola anche alcune misure limite per le larghezze, calcolate in base alle vie del centro storico, visto che nei punti più stretti la macchina può sfiorare grondaie e balconi.

La macchina viene poi sostituita ogni cinque anni, dopo essere stata realizzata da un costruttore, scelto dal comune di Viterbo con appalto pubblico. La durata di cinque anni, può essere tuttavia prorogata. E questo è quanto è avvenuto per “Gloria”, la macchina attuale, inaugurata nel 2015 e che, dunque, sarebbe dovuta andare in pensione due anni fa. Ma i due “anni sabbatici” dovuti alla pandemia, dopo varie discussioni, hanno fatto propendere per una prosecuzione del suo “servizio” fino all’anno in corso.

I facchini

Fulcro e anima della festa di Santa Rosa, sono i cosiddetti Facchini, cioè i portatori della macchina. Mentre, fin dalla mattina, le vie del centro storico vanno riempiendosi di cittadini e visitatori, i Facchini, vestiti nella tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita – il bianco simboleggia la purezza di spirito, il rosso è un omaggio ai cardinali che nel 1258 traslarono per primi il corpo della santa – si recano in Comune, poi in visita a sette chiese del centro, infine in ritiro al convento dei Cappuccini, dove il capofacchino impartisce loro le ultime indicazioni sul trasporto.

Quando il sole tramonta, la città s’immerge nel buio più completo: tutte le luci pubbliche e private vengono tenute rigorosamente spente, ad eccezione delle luci che illuminano la gigantesca macchina. 

A quel punto i Facchini, preceduti da una banda musicale che intona il loro inno, partendo dal santuario di Santa Rosa, percorrono a ritroso il tragitto della macchina, acclamati dalla folla, fino a raggiungere la chiesa di San Sisto, presso Porta Romana, accanto alla “mossa“, cioè al luogo della partenza.

Qui viene impartita loro dal vescovo la cosiddetta benedizione “in articulo mortis”, data la pericolosità del trasporto, che impone di prendere in considerazione eventuali incidenti anche gravi.

Il trasporto vero e proprio inizia all’interno di Porta Romana, dove la macchina era stata assemblata durante i mesi precedenti e celata fino all’ultimo momento da un’imponente impalcatura coperta con teli.

Le ore che precedono il trasporto prevedono una serie di verifiche e infine l’accensione delle luci che fanno parte della costruzione, alcune elettriche e moltissime a fiamma viva.

Il percorso, lungo oltre un chilometro, si svolge nelle vie del centro e si conclude nella piazza antistante il santuario di Santa Rosa. Durante questa fase, si effettuano cinque fermate, nelle quali la macchina viene appoggiata su speciali cavalletti pesanti cento chili ciascuno.

L’ultimo tratto consiste in una ripida via in salita, effettuata quasi a passo di corsa, con l’aiuto di corde anteriori in aggiunta e di travi dette “leve”, che spingono la macchina posteriormente.

I rischi

Trasportare un colosso di quelle dimensioni per le strettissime vie cittadine, non è affatto semplice, nonostante l’allenamento, l’esperienza e le capacità dei Facchini. Più volte, infatti, la macchina è stata al centro di episodi molto rischiosi.

Nel 1967 il trasporto della macchina fu interrotto a metà strada. Quell’anno faceva il suo esordio la macchina denominata “Volo degli angeli”, ideata e realizzata da Giuseppe Zucchi. Una macchina che il costruttore della precedente versione, Pacciosi, subito criticò. La leggenda vuole che egli non si limitò a delle critiche verbali, ma che abbia attuato un vero e proprio boicottaggio, sabotandone alcuni elementi.

Fatto sta che il trasporto si rivelò subito difficile e rischioso, imponendo uno stop anticipato. Boicottaggio o no, il “Volo degli angeli” negli anni successivi – finché rimase in esercizio come macchina ufficiale – svolse egregiamente il suo compito, senza più avere problemi.

Nel 1986, invece, all’arrivo sul sagrato davanti al santuario di Santa Rosa, la macchina “Armonia celeste” – anch’essa al suo esordio – sbandò vistosamente. Per un errore del costruttore, che all’epoca per tradizione gestiva l’ultimo tratto del trasporto, non venne dato il comando di staccare i moschettoni. Perciò, al culmine della salita, la macchina, anziché fermarsi e ruotare come previsto, venne tirata ancora per un metro circa.

Una fila di facchini si trovò così a passare sui primi gradini che portano al santuario, con relativo sbilanciamento della struttura, che s’inclinò prima da una parte e poi dall’altra.

Grazie a sforzi sovrumani dei Facchini, venne però ripreso il controllo della situazione e si evitò per un pelo che la macchina crollasse sulla folla assiepata sul sagrato del santuario.

Infine, il 23 agosto 2007, una tromba d’aria colpì il cantiere dov’era in costruzione la macchina denominata “Ali di Luce”. L’impalcatura si piegò, facendo appoggiare la macchina sul campanile della chiesa di San Sisto. Nei giorni seguenti un lavoro senza sosta degli addetti, permise comunque la messa in sicurezza della macchina, assicurando lo svolgimento regolare del trasporto durante la festa del 3 settembre di quell’anno.

C’è comunque da tenere conto che è anche in questo elemento di rischio, sebbene contenuto, di aleatorietà, di sfida alle leggi della natura e della gravità, uno dei principali elementi di fascino della festa, che, come spesso avviene nelle tradizioni popolari, diventa metafora della vita e contiene dunque in sé anche la possibilità di fallimento, parte irrinunciabile della vita stessa.

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