Sex in the Urbe – 5

Le case chiuse

Con l’annessione di Roma al regno d’Italia, la città conosce un periodo di liberalizzazione dei costumi, tenuti a freno, durante i precedenti decenni, da una chiesa divenuta baluardo della conservazione, perennemente sulla difensiva e sempre meno in linea con il progresso dei tempi e coi costumi dell’epoca.

In questo clima “libertario”, in netto ritardo con il resto del paese, a Roma aprivano i battenti le prime case di tolleranza. A fine Ottocento erano circa una ventina, sparse tra le vie del centro storico. Tra le più note e costose c’erano quella di vicolo del Leonetto e quella di via Capo le Case, detta “Le Tre Venezie”. Come accaduto a molti degli ex bordelli romani, oggi, agli stessi indirizzi, al loro posto troviamo degli hotel: rispettivamente l’hotel Due Torri e l’hotel Pincio.

A pochi passi dalle Tre Venezie, per le tasche meno abbienti, aveva invece aperto la cosiddetta “Casa della Stonata”, ubicata al civico numero 10, sempre di via Capo le Case. Via Capo le Case divenne presto la principale via del piacere di Roma, tanto che qualcuno cominciò a pensare che quel “Case” del nome della strada, fosse riferito proprio alle case chiuse.

In realtà l’etimologia ha tutt’altro significato. Nasce da una sorta di miscellanea fra latino e italiano, tra l’espressione “ad capita”, ossia “all’inizio” e, appunto, la parola “case”, ma dove per case s’intendono le normali abitazioni e non le case di tolleranza, in riferimento al fatto che, fino al Cinquecento, la via era al limite dell’abitato capitolino, oltre il quale ci si inoltrava nella campagna.

Altri casini di lusso erano presenti in via degli Avignonesi – dove oggi si trova l’hotel Memphis – e in largo Fontanella Borgese. In via Mario dei Fiori, esisteva poi una casa del peccato, famosa per la presenza di numerosi affreschi erotici. Uun luogo che oggi, completamente ristrutturato, si è trasformato nell’hotel Condotti. 

La casa di tolleranza più economica della città si trovava, invece, non distante da San Pietro, a Borgo Pio. Un altro bordello romano a basso costo – per questo molto frequentato dai militari – era accanto a Campo de’ Fiori, esattamente in via del Pellegrino. Altri templi del sesso si trovavano infine a via dei Cappellari, via Laurina, vicolo del Leuto, Via Capocci, Via della Fontanella, via dei Coronari, Via della Campanella, Via Cimarra, via del Grottino e via del Teatro Pace.

Il nome di “casa chiusa” che venne affibbiato a questo tipo di strutture nel periodo fra Ottocento e Novecento, nasce dall’abitudine di tenerne le finestre perennemente serrate, per impedirne così la vista dall’esterno. Rispetto ai bordelli dei secoli precedenti, nelle case chiuse veniva posta una maggiore attenzione al controllo igienico, oltre che a quello sociale.

Le donne che vi lavorano vengono schedate e controllate non solo da parte della polizia, ma anche dei medici. Ogni due settimane tutte dovevano sottoporsi a una visita che ne attestasse le buone condizioni di salute, mentre ogni sera agenti in borghese passavano per accertarsi che tutto fosse in regola.

Nelle case, i compensi pagati dai clienti solitamente venivano suddivisi per metà ai tenutari del luogo e per metà alle prostitute, che però con quel guadagno dovevano fare fronte alle spese per il vitto, per l’alloggio e per tutti gli articoli igienico-sanitari di cui avevano necessità.

È stato calcolato che, per riuscire a metter da parte qualcosa, mediamente, le ragazze dovessero raggiungere almeno le quaranta prestazioni giornaliere. Il lavoro era poi molto precario. Quasi sempre, infatti, i tenutari delle case operavano un ricambio periodico delle ragazze, sia per fornire novi stimoli ai clienti, sia per non rischiare di far nascere pericolosi legami sentimentali.

All’interno, le case di tolleranza avevano una struttura quasi identica fra loro e che seguiva un ordine consolidato: un ampio salone d’ingresso nel quale si presentavano le donne, permettendo ai clienti di “scegliere” la preferita, sul muro di fondo la cassa dove si riscuotevano i compensi per le prestazioni, infine le scale che portavano alle camere.

Dopo un iter legislativo laborioso e ostacolato da molti, alla mezzanotte del 20 Settembre 1958, la legge proposta dalla senatrice socialista Lina Merlin mise fine alla prostituzione di stato. Le case di tolleranza chiusero a Roma e in tutto il paese, interrompendo definitivamente la storia delle case chiuse, con molte prostitute che si trasformarono in “battone”, cioè in coloro che battono il marciapiede.

Un aneddoto curioso racconta come, quel 20 settembre 1958, molti romani si siano recati in massa presso il bordello preferito, per gustarsi un’ultima notte d’amore prima della chiusura, ma siano poi andati in bianco perché, per un errore d’interpretazione della legge, le case chiusero i battenti alla mezzanotte del giorno precedente.

Prossima puntata: Dalle Passeggiatrici alle App

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